Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3577, del 16 luglio 2015
Ambiente in genere.Legittimità decadenza anticipata concessione di area pubblica sul lungomare per occupazione abusiva di circa 15 mq. al di fuori dell’area assentita

Il provvedimento risulta adeguato e congruo in relazione agli accertamenti eseguiti e agli inadempimenti accertati, non risultando esservi sproporzione tra l’abuso commesso, consistente nell’occupazione abusiva di circa 15 mq. al di fuori dell’area assentita, oggetto di concessione, avente un’estensione di circa 147 mq. . L’azione amministrativa risulta adeguata rispetto alla situazione di fatto accertata e dunque conforme ai principi di proporzionalità e di congruità, ai quali deve essere ispirata l’attività dell’Amministrazione. L’inadempimento degli obblighi previsti in convenzione risulta essere di una certa consistenza e risulta acclarato di per sé con riferimento all’apposizione di arredi e al plausibile utilizzo degli stessi da parte della clientela, sulla duna al di fuori dello spazio concessorio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03577/2015REG.PROV.COLL.

N. 04431/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 4431 del 2015 proposto da Chiosco Bar Paradise Beach di Buniello Roberto s.a.s. , rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Malinconico, con domicilio eletto presso lo Studio Pernazza Malinconico in Roma, Via Nizza n. 53; 

contro

Comune di Latina, n. c. ; 

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO -SEZ. STACCATA DI LATINA, n. 345 del 2 -15 aprile 2105, resa tra le parti, concernente decadenza anticipata da affidamento in concessione di area pubblica sul lungomare di Latina;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 16 giugno 2015 il cons. Marco Buricelli e udito per la parte appellante l’avvocato Giovanni Malinconico;

Sentita la parte stessa ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. ;

 

premesso e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

1. Nel febbraio del 2015 il signor Roberto Buniello, quale legale rappresentante pro tempore della società Chiosco Bar Paradise Beach s.a.s., ha impugnato, davanti al Tar Lazio -sezione staccata di Latina, il provvedimento prot. n. 148508 del 4 novembre 2014 di revoca dell’affidamento in concessione per sei anni (dal gennaio del 2010 al settembre del 2015) di un’area pubblica, sul lungomare di Latina, tratto B –Capoportiere –Rio Martino, “per la prestazione di servizi di miglioramento connessi all’utilizzazione dell’arenile”, deducendo eccesso di potere per errata valutazione e travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

La società ha esposto che con convenzione rep. n. 66786 del 20 maggio 2010 il Comune aveva rinnovato alla odierna appellante l’autorizzazione a occupare, in concessione temporanea, una superficie di 147 mq. al fine d’installarvi un manufatto di facile rimozione per svolgervi, appunto, “servizi di miglioramentodell’utilizzazione dell’arenile”, dopo di che la società aveva ottenuto sempre dal Comune il permesso d’installare un chiosco bar.

Dagli atti risulta che a seguito di un verbale di accertamento del Corpo Forestale dello Stato (CFS), in data 10 luglio 2014, è emerso che una parte della duna litoranea retrostante la struttura del chiosco per una superficie di circa 15 mq ha formato oggetto di scavo e di movimentazione allo scopo di posizionarvi sopra quattro panchine in legno, tre ombrelloni, quattro tavolinetti e sei sgabelli ricavandone quindi un’ulteriore area di pertinenza del chiosco bar, oltre a quella già in concessione. “Lo scavo ha inoltre provocato il danneggiamento della duna e la conseguente distruzione delle specie vegetali protette esistenti”.

L’Amministrazione comunale, acquisite le deduzioni del Buniello, rilevato che dall’esame delle foto accluse alla informativa di reato del CFS si evince con chiarezza, oltre al posizionamento degli arredi, anche la presenza di ombrelloni infissi nel suolo e che pertanto non possa trattarsi di spostamento momentaneo di attrezzature, ha revocato la concessione alla luce degli articoli 10 e 13 della convenzione del 2010, secondo cui (art. 10) “il concessionario decadrà dalla concessione qualora invada la duna o contravvenga al divieto di collocare alcunché al di fuori dell’ingombro progettato e autorizzato, autorizzando il Comune a revocare la presente concessione prima della scadenza pattuita”. L’art. 13 prevede tra l’altro che “il concessionario non potrà eccedere i limiti di superficie assegnategli né variarli; non potrà erigere opere non consentite né variare quelle ammesse, non potrà destinare ad altro uso quanto forma oggetto di concessione…”.

2. Con la sentenza in epigrafe il Tar ha respinto il ricorso -con condanna della ricorrente alle spese a favore del Comune- osservando, per quanto qui più rileva, che la documentazione depositata dall’Amministrazione smentisce la ricostruzione prospettata dalla ricorrente secondo cui non ci sarebbe stata occupazione abusiva di un’area dunale ma solamente una temporanea apposizione di ombrelloni e arredi in occasione dell’esecuzione di attività di pulizia. Dalle foto prodotte risulta confermato quanto rilevato nel provvedimento impugnato e cioè che gli ombrelloni erano infissi nel suolo e gli altri arredi posizionati in modo da consentirne l’uso da parte della clientela (ciò che rende più che plausibile l’assunto per cui l’area, che nelle foto appare perfettamente livellata, sia stata alterata dalla stessa ricorrente e non dall’opera di agenti naturali). L’occupazione abusiva integra la fattispecie prevista dall’art. 10 della convenzione, che disciplina i casi di decadenza dalla concessione.

3.- La società Chiosco Bar ha proposto appello deducendo eccesso di potere per errata valutazione e travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e carenza di adeguata motivazione.

La sentenza, in presenza di tutti gli elementi offerti dall’odierna appellante, avrebbe errato nel ritenere che la documentazione depositata dal Comune smentirebbe l’assunto della ricorrente secondo cui essa non avrebbe occupato in modo abusivo un’area dunale essendosi limitata, in occasione dell’attività di pulizia, ad appoggiarvi arredi e ombrelloni. Il giudizio sul presunto livellamento della duna sarebbe errato in quanto formulato in termini soltanto di plausibilità e di probabilità, senza disporre adempimenti istruttori. Il livellamento dell’area e la conseguente riduzione della duna sarebbero conseguenza diretta di agenti erogeni e non di una –insussistente- attività materiale di scavo. L’area in questione segue un profilo omogeneo. L’attuale conformazione dei luoghi risponde a dinamiche naturali e si è configurata in un lungo lasso di tempo, non potendo essere imputata ad alcuna attività di trasformazione da parte dell’appellante. Il posizionamento degli arredi sull’area demaniale si è verificato per le poche ore necessarie per eseguire l’attività di pulizia dell’arenile in concessione e solo per fornire un momentaneo ricovero ai clienti che non avevano altro luogo per ripararsi. Manca una congrua motivazione sugli effetti negativi della presunta violazione. L’inadempimento contestato sarebbe privo dei requisiti di gravità richiesti. La stessa prova dell’inadempimento sarebbe tutt’altro che inequivoca. Essa riguarda comunque una modesta porzione demaniale di appena 15 mq. e per un tempo assai limitato. Non sussistono i presupposti indicati dall’art. 10 della Convenzione per disporre la decadenza dalla concessione atteso che l’art. 10 va interpretato nel senso che la revoca della concessione può essere disposta qualora si verifichi un’invasione della duna o una collocazione di arredi al di fuori dell’ingombro autorizzato purché grave, costante e reiterata nel tempo. Anche l’art. 10 della convenzione formerebbe oggetto d’impugnazione diretta. Di qui la domanda di riforma della sentenza, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

4.- L’Amministrazione appellata, benché ritualmente intimata, non si è costituita.

5.- L’appello è infondato e va respinto.

La sentenza di rigetto del Tar va confermata essenzialmente perché la violazione, correttamente accertata dal CFS e posta a base del provvedimento impugnato in primo grado, risulta proporzionata e congrua allo scopo di giustificare la disposta revoca della concessione di area pubblica (concessione la cui scadenza naturale era prevista per il 30 settembre 2015).

Al verbale di accertamento del Corpo Forestale dello Stato e alle foto accluse va riconosciuta un’attendibilità intrinseca che non viene inficiata dalle produzioni documentali dell’appellante.

L’impugnato provvedimento di revoca della concessione di area pubblica risulta correlato alla accertata invasione della duna e alla collocazione di attrezzature e arredi vari sulla duna e al di fuori dell’area assentita.

Dall’esame delle foto allegate al verbale di accertamento del CFS si ricava credibilmente che non viene in questione uno spostamento momentaneo delle attrezzature, trattandosi invece di una contravvenzione, tutt’altro che irrilevante, agli obblighi previsti dalla convenzione di non collocare manufatti al di fuori della suindicata superficie e di non invadere la duna circostante l’area assentita.

Dalla lettura dell’art. 10 della convenzione –prescrizione che, diversamente da quanto si sostiene nell’appello, non risulta essere stata impugnata e, comunque, contestata con motivi specifici- si desume che l’esercizio del potere di decadenza ha natura sostanzialmente vincolata, essendo collegato al riscontro dei presupposti richiesti.

Il Collegio concorda con la prospettazione dell’appellante secondo la quale deve sussistere proporzione tra inadempimento accertato e provvedimento lesivo adottato, anche nel senso che l’inadempienza agli obblighi previsti in convenzione dev’essere di una certa serietà e consistenza per giustificare la decisione di revoca, non bastando, a questo fine, un qualsiasi inadempimento.

Nella specie, il provvedimento impugnato in I grado -ritualmente adottato al termine di un regolare contraddittorio procedimentale- risulta adeguato e congruo in relazione agli accertamenti eseguiti e agli inadempimenti accertati, non risultando esservi sproporzione tra l’abuso commesso, consistente come detto nell’occupazione abusiva di circa 15 mq. al di fuori dell’area assentita, oggetto di concessione, avente un’estensione di circa 147 mq. . L’azione amministrativa risulta adeguata rispetto alla situazione di fatto accertata e dunque conforme ai principi di proporzionalità e di congruità, ai quali deve essere ispirata l’attività dell’Amministrazione.

L’inadempimento degli obblighi previsti in convenzione risulta essere di una certa consistenza e risulta acclarato di per sé con riferimento all’apposizione di arredi –e al plausibile utilizzo degli stessi da parte della clientela- sulla duna al di fuori dello spazio concessorio.

In modo condivisibile si è rilevato in sentenza che il fatto che gli ombrelloni risultassero infissi nel suolo e gli altri arredi posizionati in modo da consentirne l’uso da parte della clientela “rende più che plausibile l’assunto secondo cui l’area, che nelle foto appare perfettamente livellata, sia stata alterata dalla stessa ricorrente e non dall’opera di agenti naturali”.

Anche sotto questo profilo, pertanto, provvedimento impugnato in primo grado e sentenza appellata resistono alle argomentazioni dell’appellante.

Alla luce dell’attendibile ricostruzione dei fatti sulla base del verbale del CFS e delle fotografie accluse allo stesso, risultanze istruttorie che non vengono sovvertite dalle produzioni documentali dell’appellante, non sussiste sproporzione tra l’accertata contravvenzione ai divieti prescritti all’art. 10 della Convenzione e la misura decadenziale applicata.

Detto altrimenti, la disposta decadenza non si è concretizzata in una misura eccessiva rispetto alla consistenza effettiva degli inadempimenti accertati e contestati, in una situazione nella quale i fatti, giova ripeterlo, risultano essere stati verificati in maniera corretta.

L’appello va perciò respinto e la sentenza impugnata confermata.

Nulla per le spese, non essendosi costituita l’Amministrazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Carlo Mosca, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Maddalena Filippi, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)