Cass.Civ. SSUU n. 31240 del 29 dicembre 2017 (Ud. 9 mag. 2017)
Pres. Rodorf. Est. Virgilio Ric. Scarlino
Ambiente in genere.AIA e competenza giurisdizionale

Non sussiste la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche in materia di autorizzazione integrata ambientale perché con essa si è passati da autorizzazioni di tipo settoriale ad un controllo complessivo, con il quale nelle relative valutazioni tecniche sono considerati congiuntamente i diversi danni sull'ambiente causati dall'attività da autorizzare. A fronte, pertanto, di un siffatto strumento giuridico, introdotto all'evidente scopo di razionalizzare e semplificare il procedimento amministrativo nella materia de qua, un frazionamento della competenza giurisdizionale risulterebbe contrario al principio di ragionevolezza e al criterio di efficienza e funzionalità del sistema processuale, e quindi, in definitiva, agli artt. 3 e 111 Cost.

FATTI DI CAUSA


1.1. Nell'ambito di un complesso contenzioso che oppone da vari anni la Scarlino Energia s.r.l. e la Provincia di Grosseto da un lato, e il Comune di Follonica e alcune associazioni ambientalistiche e di cittadini dall'altro, il Comune di Follonica, per quanto ora interessa, impugnò dinanzi al TAR per la Toscana la determinazione del 24 ottobre 2012 del Dirigente dell'area ambiente e conservazione della natura della Provincia di Grosseto, con la quale era stata rilasciata l'autorizzazione integrata ambientale relativa al progetto, presentato dalla detta società nel 2012, di un impianto denominato "termovalorizzatore ed impianto di trattamento rifiuti liquidi di Scarlino", nonché tutti gli atti ad essa presupposti, consequenziali e connessi, tra i quali la delibera della Giunta della Provincia di Grosseto di approvazione del rapporto istruttorio relativo alla valutazione di impatto ambientale e all'autorizzazione integrata ambientale concernenti la medesima opera.

Ricorso analogo venne proposto dall'Associazione WWF Italia, dall'Associazione Forum Ambientalista, dal Comitato per il no all'inceneritore di Scarlino e dalla Federazione provinciale coltivatori diretti di Grosseto. I ricorsi vennero dichiarati improcedibili, con separate sentenze, dal TAR adito per sopravvenuta carenza di interesse, non avendo i ricorrenti impugnato la delibera con la quale, a seguito della scissione di Scarlino Energia s.r.l. in Scarlino Immobiliare s.r.l. e in Scarlino Energia s.r.I., la Provincia aveva volturato l'A.I.A. alla nuova società.

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 163 del 2015, depositata il 20 gennaio 2015, riuniti gli appelli proposti dal Comune di Follonica e dalle associazioni sopra indicate, dopo averli dichiarati procedibili, li ha accolti ed ha annullato i provvedimenti impugnati.

Ha affermato, in sintesi e per quanto qui rileva: a) l'infondatezza dell'eccezione sollevata dalla Scarlino Energia di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quella del Tribunale superiore delle acque pubbliche - basata sul rilievo che la contestata autorizzazione integrata ambientale riguarderebbe anche la gestione di acque pubbliche in relazione agli scarichi dell'impianto nel canale Solmine -, poiché l'autorizzazione integrata ambientale reca l'esito delle diverse valutazioni discrezionali operate con riguardo ai singoli aspetti coinvolti e alle diverse discipline di settore, considerate nel loro insieme ai fini di una determinazione unica, con la conseguenza che il sindacato di legittimità sulla globalità del suo contenuto rientra nel generale contesto della previsione dell'art. 7, comma 1, cod. proc. amm.; b) nel merito, la valenza assorbente della circostanza che lo stato di salute delle popolazioni coinvolte e le condizioni dei corpi idrici presenti nell'area interessata non sono stati convenientemente disaminati e considerati, con conseguente sussistenza dei dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione: in particolare, ha osservato il giudice d'appello, occorreva una specifica attività istruttoria in ordine agli effettivi agenti inquinanti, sia dell'aria che dei corpi idrici, un previo e puntuale studio epidemiologico, basato su dati completi e recenti, sulla popolazione dell'area interessata e, infine, il rifacimento dell'istruttoria relativa alle condizioni di inquinamento del canale Solmine, il tutto nel rispetto delle primarie esigenze di tutela della salute di cui all'art. 32 Cost., le quali esigono che il rilascio dell'A.I.A. avvenga solo in condizioni ab origine rigorosamente prive di qualsivoglia pericolo per la salute umana, ovvero non ulteriormente peggiorabili a causa del progettato impianto.


2. Avverso tale sentenza la Scarlino Energia s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato con memoria, sulla base di due motivi. Hanno resistito il Comune di Follonica, con controricorso e memoria, e congiuntamente, con altro controricorso, l'Associazione WWF Italia, l'Associazione Forum ambientalista e il Comitato per il no all'inceneritore di Scarlino. Gli altri intimati - Comune di Scarlino, Provincia di Grosseto, Azienda U.S.L. 9 di Grosseto e A.R.P.A.T. Dipartimento di Grosseto - non hanno svolto attività difensiva.


3. All'udienza del 5 luglio 2016, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo a seguito del decesso del difensore delle dette Associazioni controricorrenti.

Il ricorso è stato quindi nuovamente fissato per l'odierna udienza. Hanno depositato ulteriori memorie la Scarlino Energia s.r.l. e il Comune di Follonica. L'Associazione WWF Italia ha depositato procura speciale rilasciata a nuovo difensore.

Il Comitato per il no all'inceneritore di Scarlino ha depositato atto di costituzione con procura speciale a nuovo difensore.


RAGIONI DELLA DECISIONE


1.1. Con il primo motivo di ricorso, la Scarlino Energia s.r.l. denuncia - in relazione agli artt. 111, ultimo comma, Cost., 360, primo comma, e 362 cod. proc. civ., 91 e 110 cod. proc. amm. - la violazione e falsa applicazione dell'art. 143, primo comma, lett. a), del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, insistendo nella tesi del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e dell'attribuzione di essa al Tribunale superiore delle acque pubbliche, in ragione della circostanza che il provvedimento impugnato prevede lo scarico delle acque dell'impianto nel canale Solmine.

Osserva, in particolare, che la natura composita dell'autorizzazione integrata ambientale, sottolineata dal giudice a quo, rileva nel solo ambito sostanziale e non ai fini della individuazione della giurisdizione, la quale, peraltro, non è soggetta a spostamento per ragioni di connessione.


1.2. Il motivo è infondato.

Va, in primo luogo, ribadito che nella giurisprudenza di queste sezioni unite è consolidato il principio secondo il quale la giurisdizione di legittimità in unico grado attribuita al Tribunale superiore delle acque pubbliche dal citato art. 143, primo comma, lett. a), del r.d. n. 1775 del 1933, con riferimento ai «ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti presi dall'amministrazione in materia di acque pubbliche», sussiste solo quando i provvedimenti amministrativi impugnati siano caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche (nel senso che concorrano, in concreto, a disciplinare la gestione, l'esercizio delle opere idrauliche, i rapporti con i concessionari o a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all'esercizio ed alla realizzazione delle opere stesse od a stabilire o modificare la localizzazione di esse o ad influire nella loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti), mentre restano fuori da tale competenza giurisdizionale tutte le controversie che solo in via di riflesso, o indirettamente, abbiano una siffatta incidenza; appartengono, pertanto, alla giurisdizione del complesso TAR Consiglio di Stato tutte le controversie che abbiano ad oggetto atti soltanto strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad influire sul regime delle acque pubbliche (tra altre, Cass., 19/4/2013, n. 9534; 20/9/2013, n. 21593; 25/10/2013, n. 24154; 31/7/2017, nn. 18976 e 18977).

E si è anche avuto occasione di affermare che non sussiste la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche in ordine all'impugnazione di un'ordinanza comunale con la quale venga disposto il divieto di utilizzazione come discarica di un'area di proprietà del demanio idrico (coincidente con il corso di un torrente), trattandosi di un provvedimento rivolto esclusivamente a scongiurare il danno ambientale insito nelle discariche incontrollate, privo d'incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche e conseguentemente assoggettato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass., Sez. U., 9/11/2011, n. 23300).


1.3. Deve, inoltre, rilevarsi, come ha esattamente osservato il giudice a quo, che nella fattispecie si discute di una «autorizzazione integrata ambientale», la quale, ai sensi dell'art. 29-quater del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (articolo introdotto dal d.lgs. 29 giugno 2010, n. 128), sostituisce ad ogni effetto, fra le altre, la «autorizzazione allo scarico» prevista nell'allegato IX alla parte seconda del decreto stesso.

L'autorizzazione in esame è definita, appunto, «integrata» perché con essa, al fine di uniformarsi ai principi di integrated pollution prevention and contro! (IPPC) dettati dall'Unione europea a partire dal 1996, si è passati da autorizzazioni di tipo settoriale ad un controllo complessivo, con il quale nelle relative valutazioni tecniche sono considerati congiuntamente i diversi danni sull'ambiente causati dall'attività da autorizzare. A fronte, pertanto, di un siffatto strumento giuridico, introdotto all'evidente scopo di razionalizzare e semplificare il procedimento amministrativo nella materia de qua, un frazionamento della competenza giurisdizionale risulterebbe contrario al principio di ragionevolezza e al criterio di efficienza e funzionalità del sistema processuale, e quindi, in definitiva, agli artt. 3 e 111 Cost.


2.1. Col secondo motivo, la ricorrente denuncia - in relazione agli artt. 111, ultimo comma, Cost., 360, primo comma, e 362 cod. proc. civ., 91 e 110 cod. proc. amm. - la violazione degli artt. 7, commi 4 e 6, e 134 cod. proc. amm., per avere il giudice d'appello ecceduto dai limiti del proprio potere giurisdizionale, «per invasione della sfera riservata alla discrezionalità tecnica e amministrativa, in materia non rientrante nella giurisdizione estesa al merito, in violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti adottati dall'amministrazione ambientale competente all'esito di procedimenti "precauzionali" di valutazione e gestione del rischio».

Lamenta, in sintesi, che il Consiglio di Stato, dietro lo schermo dei rilevati vizi di istruttoria e di motivazione, ha in realtà sostituito le proprie valutazioni di rischio, in una materia squisitamente tecnico scientifica, a quelle - non surrogabili - degli organi tecnici sanitari e ambientali preposti, le quali coinvolgono apprezzamenti non esenti da oggettivi margini di opinabilità e si concludono con l'adozione di provvedimenti, ispirati al principio di precauzione, che si risolvono in una scelta tra rischi e mai in una scelta tra rischio e assenza di rischio; ha così operato - conclude - una valutazione diretta e concreta dell'opportunità e convenienza dell'atto ed espresso una volontà sostitutiva di quella dell'amministrazione, estrinsecatasi in una pronuncia autoesecutiva, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell'autorità competente.


2.2. Il motivo è infondato.

Secondo la costante giurisprudenza di queste sezioni unite, il controllo della Corte di cassazione sulle pronunce giurisdizionali del Consiglio di Stato è limitato all'accertamento dell'eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del massimo organo della giustizia amministrativa, cui non è consentito invadere arbitrariamente il campo dell'attività riservata alla pubblica amministrazione attraverso l'esercizio di poteri di cognizione e di decisione non previsti dalla legge, con conseguente trapasso da una giurisdizione di legittimità a quella di merito, come può accadere, ad esempio, quando il giudice amministrativo compia atti di valutazione della mera opportunità dell'atto impugnato, sostituendo propri criteri di valutazione a quelli discrezionali della pubblica amministrazione, o adotti decisioni finali interamente sostitutive delle determinazioni spettanti all'amministrazione medesima.

Si è perciò affermato che l'eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, ai sensi dell'art. 111, ultimo comma, Cost., è configurabile solo quando l'indagine svolta dal giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, sia stata strumentale a una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell'annullamento, esprima la volontà dell'organo giudicante di sostituirsi a quella dell'amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito che si estrinsechi in una pronunzia che abbia il contenuto sostanziale e l'esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell'autorità amministrativa (tra altre, Cass., Sez. U., 14/1/1997, n. 313; 15/3/1999, n. 137; 22/12/2003, n. 19664; 21/12/2005, n. 28263; 21/6/2010, n. 14893; 28/4/2011, n. 9443; 9/11/2011, n. 23302).

In ordine, poi, alle valutazioni tecniche, si è precisato che anche su di esse è esercitabile in sede giurisdizionale il controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza e che il sindacato non è limitato ai profili giuridico-formali dell'atto amministrativo, con esclusione di ogni eventuale verifica dei presupposti di fatto; compete, cioè, comunque al giudice di vagliare la correttezza dei criteri giuridici, la logicità e la coerenza del ragionamento e l'adeguatezza della motivazione con cui l'amministrazione ha supportato le proprie valutazioni tecniche, non potendosi altrimenti neppure compiutamente verificare quali siano in concreto i limiti di opinabilità dell'apprezzamento da essa compiuto (da ult., Cass., Sez. U., 20/1/2014, n. 1013).


2.3. Alla luce degli esposti principi, la sentenza impugnata si rivela immune dai vizi denunciati.

Come già sintetizzato in narrativa, infatti, il giudice amministrativo ha attribuito «valenza assorbente», ai fini dell'accoglimento degli appelli, alla circostanza che «lo stato di salute delle popolazioni coinvolte e le condizioni dei corpi idrici presenti nell'area interessata dallo stabilimento in questione non siano state convenientemente disaminate e considerate, con conseguente sussistenza al riguardo dei dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione».

In particolare, ha osservato che: a) in base agli atti acquisiti nel corso dell'istruttoria (relazione del consulente del Comune di Follonica del giugno 2012 e nota dell'Azienda U.S.L. n. 9 del settembre 2012, entrambe molto più recenti rispetto allo studio fornito dalla società Scarlino Energia, risalente al 2007), risultava un consistente livello di esposizione ad agenti inquinanti (diossine ed altri) della popolazione coinvolta dall'impianto, livello che «non è stato, di per sé, valutato e considerato adeguatamente in sede di rilascio dell'A.I.A.», laddove sarebbe stata necessaria una «specifica attività istruttoria in ordine agli effettivi agenti inquinanti già presenti e alla potenziale incidenza che su di essi si sarebbe potuta riscontrare a seguito dello svolgimento dell'attività» in questione; b) è mancato anche, al fine di garantire le primarie esigenze di tutela della salute, un previo e puntuale studio epidemiologico dell'area interessata, «che non può certo fondarsi sulle opposte tesi delle attuali parti processuali e sugli incompleti dati istruttori ad oggi disponibili», ma che deve essere condotto su «dati più recenti e ad esclusiva cura degli organismi pubblici a ciò competenti»; c) anche l'istruttoria relativa alle condizioni del canale Solmine va «considerata inadeguata» in relazione ai dati concernenti l'inquinamento di tale corpo idrico.

Risulta evidente da quanto esposto che il giudice amministrativo non ha affatto compiuto alcuna diretta e concreta valutazione dell'opportunità e della convenienza del provvedimento impugnato, né ha adottato una decisione sostitutiva dei criteri di scelta e delle conseguenti determinazioni spettanti all'amministrazione.

Si è limitato, invece, a verificare la legittimità dell'atto sotto il profilo della completezza e della adeguatezza dell'attività istruttoria espletata, ritenuta generica e carente in raffronto agli elementi conoscitivi acquisiti e quindi inidonea a consentire una consapevole ponderazione degli interessi coinvolti, primo fra tutti quello di tutela della salute della popolazione interessata; e ciò ha fatto lasciando del tutto integro il potere dell'amministrazione in merito a future valutazioni e determinazioni.


3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.


4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.


P.Q.M.


La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate, per ciascuna delle due parti controricorrenti, in euro 6700,00, di cui euro 200 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.


Così deciso in Roma il 9 maggio 2017.