Consiglio di Stato Sez. II n. 4471 del 22 maggio 2025 
Urbanistica.Demolizione di opere abusive disposta dal giudice penale e dal Comune: autonomia e convergenza dei procedimenti

La sanzione demolitoria disposta dal giudice penale, in quanto presuppone una sentenza di condanna per il reato edilizio, implica l’accertamento dello stesso nei suoi profili oggettivi e soggettivi, sicché non è più possibile mettere in discussione la figura del responsabile dell’abuso. Anche se il Comune, quindi, in via del tutto autonoma reitera il provvedimento, l’aver intimato il ripristino dello stato dei luoghi solo al proprietario non esonera il responsabile, condannato in via definitiva dal giudice penale, dal pagamento delle spese per l’esecuzione in danno che gravano esclusivamente su di lui, quale che sia il procedimento seguito. In motivazione la sezione ha chiarito che la procedimentalizzazione dell’esecuzione della demolizione prende l’avvio con l’individuazione del responsabile dell’abuso e si chiude con l’addebito delle spese allo stesso, sia nel caso di demolizione effettuata dal proprietario, sia qualora a provvedere sia stato il comune, previa acquisizione del bene, ovvero il giudice penale.

N. 04471/2025REG.PROV.COLL.

N. 09939/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9939 del 2022, proposto dal Comune di Casole D’Elsa, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gaetano Viciconte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandro Turco in Roma, via Giovanni Da Palestrina, n. 63;

contro

il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Gian Domenico Comporti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, (Sezione Terza), 5 ottobre 2022, n. 1119, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto il decreto presidenziale n. 1362 del 10 aprile 2025;

Visto l’art. 60 cod. proc. amm.;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2025, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Gaetano Viciconte e l’avvocato Paul Simon Falzini, in sostituzione dell’avvocato Gian Domenico Comporti;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La controversia ha ad oggetto la diffida che il Comune di Casole D’Elsa ha inoltrato, in data 11 novembre 2021, ai signori -OMISSIS-, -OMISSIS-, affinché rimborsino la somma di euro 345.000/00, corrispondente ai costi sostenuti per demolire un consistente abuso edilizio in relazione al quale i predetti hanno patteggiato la pena come da sentenza del Tribunale di Siena n. 171 del 4 novembre 2011.

1.1. In maggior dettaglio, l’illecito sotteso alla vicenda è consistito nella realizzazione di un intero complesso immobiliare mediante un corposo intervento di ristrutturazione e costruzione ex novo, da destinare a struttura turistico-ricettiva con annesso bio-lago balneabile in località “Le Vigne”, zona sottoposta a vincolo paesaggistico in quanto boschiva. L’originario permesso di costruire, n. 117 del 20 ottobre 2006, veniva richiesto e rilasciato all’odierno appellato, all’epoca dei fatti legale rappresentante della Società Le Vigne s.r.l., dichiaratamente costituita allo scopo di effettuare l’operazione immobiliare di cui è causa su mandato di un gruppo di investitori stranieri.

1.2. Il procedimento penale scaturito dalla vicenda, che ha dato anche luogo nel 2007 ad un sequestro dell’intera area, ha visto coinvolti molti altri soggetti oltre alla proprietà, ivi compresi taluni tecnici comunali. Per quanto qui di interesse, la richiamata sentenza del 2011 individuava quali responsabili degli illeciti, in concorso tra di loro, oltre al legale rappresentante della società proprietaria, quelli della ditta esecutrice dei lavori (signori -OMISSIS-) e dell’impresa committente (signor -OMISSIS-). L’appellato, in particolare, patteggiava la pena di mesi sei di reclusione per i reati di cui agli artt. 44, lett. b) e c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 142, comma 1, lett. g) e 181, comma 1-bis, del d.lgs.22 gennaio 2004, n. 42 e 481 c.p. (giusta la contestata falsa rappresentazione dello stato dei luoghi nelle planimetrie a corredo della richiesta di permesso di costruire), legati dal vincolo di continuazione. Tra le imputazioni, peraltro, figurava anche la lottizzazione abusiva che comporta, come noto, la confisca dell’area utilizzata allo scopo.

1.3. Sempre in punto di fatto, è opportuno ricordare come la vicenda ha dato luogo anche ad una causa risarcitoria innanzi al giudice civile, intentata dalla Società ritenendo il Comune di Casole D’Elsa responsabile della cattiva gestione del procedimento edilizio, stante che in prima battuta l’operazione era stata ritenuta in linea con le previsioni urbanistiche e le era stato rilasciato il permesso di costruire successivamente annullato. La Corte d’Appello di Siena, in riforma della sentenza del Tribunale, ha tuttavia escluso la responsabilità dell’Amministrazione, in ragione del concorrente comportamento colpevole della proprietà, che ha sottaciuto elementi essenziali alla corretta istruttoria della pratica (ad esempio, l’insistenza delle opere in zona soggetta a vincolo), ovvero omesso adempimenti/produzioni richiesti dal regime edificatorio di zona (ad esempio, l’apposita convenzione di cui all’art. 95 del piano strutturale), nonché realizzato un intervento comunque del tutto difforme dal titolo rilasciato (Corte d’Appello di Siena, sez. IV, sentenza n. 1100 del 31 maggio 2022, ove si esclude la sussistenza di un affidamento incolpevole della Società - e per essa del suo legale rappresentante dell’epoca, odierno appellato - nella legittimità del titolo rilasciatole, essendo chiaro sin dall’esame dell’atto di compravendita che l’area è sottoposta a vincolo, «di cui pertanto la società acquirente doveva ritenersi a conoscenza, non potendosi dunque dolere di un affidamento sulla validità di un permesso di costruire richiesto all’autorità comunale e ottenuto sulla base di una rappresentazione non fedele e non completa»). In particolare, l’intero § 7 della sentenza, rubricato «I motivi di appello relativi al concorso di colpa del committente», descrive in dettaglio i comportamenti da ascrivere all’appellato, sia in fase di richiesta del titolo, che di esecuzione dell’opera, evidenziando le «macroscopiche violazioni edilizie ed urbanistiche» riscontrate, tali da rendere irrilevante, ai fini dell’esito della vicenda, pure la scelta di non impugnare l’annullamento d’ufficio del titolo edilizio.

1.4. Il ricorso al T.a.r. per la Toscana originariamente promosso avverso l’ordinanza di ingiunzione a demolire adottata dal Comune nel 2013, di cui in dettaglio più avanti, è stato dichiarato perento con apposito decreto presidenziale, presumibilmente in quanto medio tempore l’Amministrazione e la Società (in questo caso in persona del nuovo legale rappresentante, signor -OMISSIS-) hanno interloquito per addivenire alla soluzione demolitoria più consona, una volta appurata con certezza, all’esito peraltro di molteplici proroghe, la consistenza del ripristino ritenuto ineludibile.

2. Punto di snodo essenziale della vicenda è dunque la duplicazione dei procedimenti demolitori: da un lato, infatti, sulla scorta della determinazione del Tribunale penale divenuta irrevocabile il 14 marzo 2012 la Procura della Repubblica di Siena emetteva in data 16 maggio 2012 ingiunzione demolitoria a carico dei quattro soggetti sopra indicati; dall’altro il Comune, dopo aver annullato in autotutela l’originario permesso di costruire (in data 14 novembre 2011), adottava la propria ordinanza n. 37 del 4 marzo 2013, l’inottemperanza alla quale determinava sia l’acquisizione del bene al patrimonio comunale (con determinazione n. 221 del 13 giugno 2016, che nell’allegato 3 individua compiutamente l’area), sia la demolizione in danno limitata ai manufatti che il Consiglio comunale non ha deliberato di mantenere in quanto di pubblico interesse. Da qui la diffida a restituire le somme che si sono rese necessarie per ridetto ripristino, il contenuto della quale, opererebbe, quanto meno secondo la tesi del Comune, una sorta di reductio ad unum dei due procedimenti di cui sopra.

2.1. Per l’esecuzione della demolizione, del cui costo chiede ora ristoro, il Comune si è avvalso di un’anticipazione di somme da parte di Cassa Depositi e prestiti, come consentito dall’art. 32, comma 12, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novembre 2003, n. 326.

3. Il signor -OMISSIS- ha impugnato tale atto innanzi al T.a.r. per la Toscana, lamentandone l’illegittimità da plurime angolazioni. Innanzi tutto egli sarebbe stato indebitamente individuato come responsabile dell’abuso, laddove essendosi il procedimento penale concluso con un patteggiamento e non con una condanna, tale qualifica sarebbe impropria, a maggior ragione alla luce della complessa vicenda nella quale si era trovato coinvolto quale ignaro cittadino straniero che ha fatto affidamento sulla correttezza dell’investimento immobiliare avviato dalla Società, di cui ha avuto la rappresentanza legale per un limitato lasso di tempo; indi il Comune, avendo attivato un autonomo procedimento demolitorio adottando l’ordinanza n. 37 del 2013 nei confronti del nuovo rappresentante legale, con il quale ha finanche concertato le modalità esecutive, non potrebbe ora cercare di coinvolgere l’appellato, ormai estraneo alla controversia, evocando l’autonomo procedimento facente capo all’autorità giudiziaria ordinaria, sol perché evidentemente preoccupato dall’intervenuto fallimento della Società. In denegata ipotesi, ha eccepito altresì l’intervenuta prescrizione del credito ex artt. 28 della l. n. 689 del 1981 e 2947, comma 1, c.c., essendo ampiamente trascorsi 5 anni dall’avvenuto accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza n. 37 del 2013, formalizzato nella determinazione dirigenziale n. 221 del 13 giugno 2016, sulla base del verbale di sopralluogo della Polizia municipale del 14 gennaio 2016.

4. Il T.a.r. per la Toscana, dopo aver ricostruito la cornice giuridica e fattuale sottesa alla vicenda, ha accolto il ricorso, condannando il Comune al pagamento delle spese di lite. Ciò in quanto dal tenore degli atti di causa si evincerebbe con chiarezza l’avvenuta instaurazione da parte dell’Ente locale di un nuovo e distinto percorso sanzionatorio nei confronti della Società, conseguito all’avvenuto annullamento dell’originario permesso di costruire e recante quale destinatario il legale rappresentante subentrato, non a caso coinvolto nelle interlocuzioni finalizzate ad individuare la soluzione fattuale più consona al contesto (v. nota del 4 dicembre 2015, contenente il cronoprogramma dell’ipotizzata demolizione). Anche le delibere con le quali si è affermato l’interesse pubblico al mantenimento del fabbricato principale, in quanto da destinare ad una Fondazione che eroga servizi per tutti i comuni del comprensorio (di Giunta municipale, n. 86 del 24 giugno 2016, poi trasfusa in quella del Consiglio, n. 63 del 15 luglio 2016) fanno sempre e soltanto riferimento agli sviluppi dell’ordinanza ingiunzione a demolire n. 37 del 2013, e non a quella disposta dal giudice penale. In sintesi: «La sequenza di iniziative, atti e provvedimenti assunti dal Comune a seguito dell’annullamento d’ufficio del permesso di costruire e dell’adozione dell’ordinanza demolitoria n. 37/2013 dimostra la volontà di dare esecuzione a quest’ultima, e non anche all’ordine di demolizione contenuto nella sentenza penale a carico del signor -OMISSIS-. L’univoco tenore testuale degli atti esaminati è in linea, del resto, con il già delineato riparto di attribuzioni fra autorità amministrativa e autorità giudiziaria penale, ciascuna preposta all’esecuzione dei propri atti: si vuol dire che il Comune ha dato esecuzione alla propria ordinanza n. 37/2013 e non avrebbe potuto essere diversamente, giacché la titolarità dell’esecuzione della sentenza penale spettava e spetta alla Procura della Repubblica (la quale, lo si è visto, aveva attivato e riattivato l’esecuzione in danno, senza tuttavia andare oltre la richiesta preliminare di informazioni e senza mai investire il Comune o altri soggetti di ulteriori adempimenti)».

5. Avverso tale pronuncia ha proposto appello il Comune di Casole d’Elsa articolando due motivi di gravame, come di seguito sintetizzati.

5.1. Con un primo motivo (rubricato sub I) ha lamentato violazione e/o falsa applicazione degli artt. 63 e 64 c.p.a., dell’art. 31, commi 3, 5 e 9, del d.P.R. n. 380/2001, e dell’art. 32, comma 12, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novembre 2003, n. 326, nonché illogicità e/o contraddittorietà della motivazione. Il T.a.r. per la Toscana avrebbe errato nella ricostruzione della cornice normativa, stante che la demolizione ordinata dal giudice penale non è né recessiva, né preminente rispetto al parallelo potere esercitato dall’Amministrazione. A fronte dell’inerzia degli intimati sia avuto riguardo all’ingiunzione della Procura del 16 maggio 2012, sia a quella del Comune del 2013, quest’ultimo si è visto costretto ad intervenire per dare esecuzione anche alla prima, come implicitamente richiesto nella corrispondenza intercorsa tra il 2012 e il 2016 dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena. In particolare, esso ha agito in coerenza con la prospettazione di ridetta Procura nella nota del 2 febbraio 2016, in conformità con la prescrizione dell’art. 32, comma 12, del d.l. n. 269 del 2003, e soprattutto attingendo la qualifica di responsabili dell’abuso dalla sentenza n. 171 del 2011 del Tribunale di Siena.

5.2. Con un secondo motivo di censura, rubricato sub II, ha lamentato l’illegittimità della decisione impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31, commi 3 e 5, del d.P.R. n. 380/2001, e degli artt. 63 e 64 c.p.a. da altro punto di vista. Nella stessa si è trascurato il dato oggettivo che l’ordinanza comunale di demolizione è stata inviata in copia anche all’appellato, oltre che alla Procura della Repubblica, a dimostrazione del compenetrarsi della vicenda penale con quella amministrativa ai fini del loro coordinamento in fase di esecuzione. Il contratto di finanziamento tra il Comune di Casole D’Elsa e la Cassa Depositi e prestiti, stipulato ai fini del reperimento delle risorse necessarie per la demolizione delle opere abusive, menziona nelle premesse - lettere b) e c)- solo l’ordinanza n. 37/2013 e la deliberazione di Consiglio comunale n. 63/2016 per consentire l’individuazione degli immobili da demolire. Anche la determinazione del responsabile dell’ufficio tecnico comunale n. 603 del 16 dicembre 2016, di autorizzazione del ricorso all’anticipazione del finanziamento da parte di Cassa Deposito e prestiti, il verbale della conferenza dei servizi del 5 novembre 2018, di approvazione del progetto esecutivo dei lavori di demolizione, e la delibera consiliare n. 63 del 15 luglio 2016, richiamano solo l’ordinanza n. 37 del 2013 per l’esclusiva ragione di voler documentare la volontà del Comune di adempiere agli obblighi normativamente impostigli, coordinando altresì procedimento amministrativo e procedimento penale. L’esistenza della sentenza n. 171/2011, che contiene l’ordine di demolizione, e il successivo coinvolgimento dell’Amministrazione nella sua esecuzione da parte del Pubblico Ministero, lo legittimavano a rivalersi nei confronti dei soggetti obbligati in forza di tale ordine penale.

6. Si è costituito in giudizio il signor -OMISSIS- per resistere all’appello, versando in atti copiosa documentazione afferente lo stesso.

7. Con separata nota ai sensi degli artt. 55 e 56 c.p.a. la difesa civica ha formulato istanza cautelare, chiedendo in particolare il sequestro ex art. 671 c.p.c. di beni dell’appellato specificamente individuati, in quanto necessario a scongiurare il depauperamento del suo patrimonio a scopo elusivo del debito gravante sullo stesso (in concorso con gli altri intimati) nei confronti del Comune.

8. Con memoria in data 30 aprile 2025 l’appellato ha a sua volta ricordato i passaggi procedimentali che dimostrano l’esclusivo coinvolgimento del signor -OMISSIS- nel procedimento demolitorio attivato dal Comune con l’ordinanza n. 37 del 2013, nonché richiamato gli esiti della causa civile di responsabilità promossa verso l’Amministrazione, il progettista e il direttore dei lavori, che, sebbene risoltasi in appello a sfavore della Società, confermerebbe, anche sulla base dei rilievi di apposita CTU, che «se l’amministrazione avesse posto in essere controlli più puntuali e adeguati sull’area interessata dall’intervento edilizio, non avrebbe emesso il permesso a costruire nei termini in cui è stato concesso» (sentenza della Corte d’appello di Siena n. 1100 del 2022, cit. supra).

8.1. Ha quindi eccepito l’inammissibilità della richiesta di sequestro per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

9. Con il decreto presidenziale segnato in epigrafe l’istanza cautelare è stata respinta, sull’assunto, sub fumus, che la complessità della vicenda meritasse una delibazione approfondita anche in relazione alla tipologia di misura richiesta.

10. In data 1° maggio 2025 la difesa del Comune ha versato in atti rinuncia a tale istanza, e segnatamente alla richiesta di sequestro conservativo, riferendo che ne sarebbero venuti meno i presupposti, giusta l’appreso perfezionamento dell’atto di compravendita di tutti i cespiti immobiliari individuati quali possibili garanzie del credito.

11. Alla camera di consiglio del 6 maggio 2025, dato avviso alle parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a. e acquisitone l’assenso, come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

12. Il Collegio ritiene di poter definire la controversia con sentenza breve ai sensi dell’art. 60 c.p.a., non ostando al riguardo l’avvenuta presentazione di rinuncia all’istanza cautelare da parte dell’appellante.

12.1. Preme infatti ricordare come la ratio del c.d. “giudizio immediato” all’esito della camera di consiglio cautelare vada ravvisato nel principio, costituzionalmente garantito, di economia processuale, che rende inutile il differimento della trattazione del merito laddove la stessa sia già possibile purché evidentemente non intaccando in alcun modo le garanzie difensive delle parti. In linea generale, ciò è consentito senza necessità di cambiare rito ove siano stati rispettati i termini a difesa della fase cautelare, vale a dire «siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso» (v. art. 55, comma 5, che impone di esaminare la domanda cautelare nella prima camera di consiglio utile successiva al perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione, nel caso di specie avvenuto il 9 aprile 2025, avuto riguardo peraltro ad un’istanza cautelare sopravvenuta dopo anni dal deposito del ricorso).

12.1.1. Come noto, la giurisprudenza, nel chiaro intento di valorizzare tale principio, che costituisce una delle più significative declinazioni del diritto al “giusto processo”, ha legittimato il ricorso al c.d. giudizio immediato anche in caso di mancata comparizione in camera di consiglio della parte alla quale è stato ritualmente notificato il ricorso o i successivi motivi aggiunti, ovvero nonostante il dissenso manifestato dalle parti stesse. Quello che conta è che il giudice, cui è rimessa in toto la relativa opzione procedimentale, ritenga sussistenti i presupposti della “semplificazione”, ovvero da un lato la completezza dell’istruttoria, vale a dire il grado di maturazione della causa ai fini del decidere, dall’altro l’integrità del contraddittorio. Ed è su tale aspetto che deve concentrarsi l’attenzione del Collegio, valorizzando la portata dinamico-funzionale e non genetica dell’eventuale vizio riveniente da tale mancata verifica.

12.2. In altre parole, nel caso di specie l’avvenuta presentazione della rinuncia non può risolversi in un obbligo di rallentamento del processo decisionale, ma deve valorizzare in maniera più penetrante la posizione delle parti, consentendo loro di ottenere un differimento della trattazione non solo laddove, avendone ancora la possibilità, manifestino l’intenzione di presentare ricorso incidentale, motivi aggiunti ovvero di promuovere regolamento di competenza o di giurisdizione, ma anche se dichiarino semplicemente di necessitare di una maggiore tempistica per organizzare la propria strategia difensiva in vista del merito e non della sola decisione cautelare.

L’avviso dato dal collegio alle parti assume dunque in tali casi portata di richiesta di consenso a sviluppare da subito le difese nel merito: ove gli interessati, come accaduto nel caso di specie, non muovano alcun rilievo alla soluzione prospettata, ferme restando ovviamente le doverose verifiche d’ufficio della sussistenza dei richiamati presupposti di legge, non vi è ragione di prescindere dalla definizione del giudizio in forma semplificata. L’integrità del contraddittorio e l’avviso alle parti, da un lato, la non necessità di istruttoria ovvero la completezza di quella già effettuata, dall’altro, costituiscono cioè idonea garanzia di correttezza procedurale. La semplificazione motivazionale, a sua volta, non si risolve affatto in lacunosità della cognizione, ovvero della motivazione stessa: in quanto speculare della ravvisata possibilità di decidere “allo stato degli atti”, non essendo emersa la necessità di integrazioni, essa pure contribuisce pertanto a garantire una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111, comma 2, della Costituzione, nel contempo dando effettività alla richiesta tutela giurisdizionale.

13. Nel merito, l’appello va accolto, alla luce e nei limiti delle considerazioni di seguito esposte.

14. Al fine di correttamente perimetrare i termini della questione in controversia, il Collegio ritiene necessarie alcune precisazioni di diritto.

15. Come noto, il sistema sanzionatorio previsto dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, T.u.ed., si articola su due livelli, nel senso che alle sanzioni per così dire principali, di natura penale o amministrativa, si sommano quelle amministrative di tipo ripristinatorio, previste obbligatoriamente per i casi di maggiore gravità, ovvero afferenti alla carenza o alla grave difformità dal permesso di costruire. Nel caso di specie, gli illeciti accertati sono addirittura plurimi, in quanto riferiti alla realizzazione, con titolo che peraltro è stato anche successivamente annullato, di un massiccio intervento di costruzione, in parte previa demolizione di preesistenze, di più immobili, dalla volumetria e superficie diversa dal pregresso, ovvero più radicalmente difforme dalle possibilità tipologiche ammesse nel Piano integrato degli interventi, in zona peraltro sottoposta a vincolo.

16. Destinatari dell’ingiunzione a demolire, nel sistema sanzionatorio a cura del Comune, sono sia il proprietario dell’immobile che i responsabili dell’abuso. Il primo, tuttavia, viene coinvolto non in forza di una sua responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell’illecito edilizio (che ricade esclusivamente sui soggetti di cui all’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001), ma in ragione del suo rapporto materiale con la res che lo rende tale agli occhi del legislatore. A tale titolo egli è dunque investito di situazioni giuridiche passive di tipo sussidiario consistenti in un pati (non potendosi opporre alla demolizione di quanto abusivamente realizzato) e in obblighi di collaborazione attiva da adempiersi mediante iniziative dirette, come la rimozione dell’abuso a spese dei responsabili, o indirette, come l’inoltro di diffide di carattere ultimativo rivolte verso eventuali soggetti terzi che detengano l’immobile.

16.1. Il proprietario assume, quindi, una responsabilità di tipo “sussidiario”, nel senso che, pur quando non sia in alcun modo l’autore dell’abuso, è tenuto a dare esecuzione all’ordine di demolizione, purché ciò gli sia materialmente possibile. Da qui la richiesta notifica dell’ingiunzione a demolire anche allo stesso, la cui mancanza non si ritiene inficiante la validità dell’atto, ma influente sulla regolarità dell’avvio della procedura ripristinatoria, come tale anche sollecitatorio dell’esercizio delle facoltà e del diritto di difesa dello stesso. In caso di inottemperanza, infatti, è il proprietario che subisce la assai più pesante sanzione di secondo livello rappresentata dalla perdita del bene, acquisito di diritto e gratuitamente al patrimonio comunale.

16.2. Tale apparente deviazione dal sistema delle responsabilità trova un momento di saldatura con i principi generali nella previsione di cui al comma 5 dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001: la demolizione dell’opera conseguente alla sua acquisizione avviene sempre «a spese del responsabile dell’abuso», ovvero del/dei soggetti di cui al richiamato art. 29 del T.u.ed., tra i quali astrattamente il proprietario potrebbe non essere ricompreso.

17. La natura penale dell’illecito consistente nella realizzazione di opere in assenza o totale difformità dal permesso di costruire, per giunta in zone sottoposte a vincolo, ovvero nella effettuazione di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio (art. 44, comma 1, lett. b) e c) del T.u.ed.) fa sì che anche il giudice chiamato a conoscere dal fatto-reato sia coinvolto nel sistema delle tutele a supporto di un corretto sviluppo (o conservazione) del territorio.

18. Per tale ragione, l’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001 contiene una norma, di evidente chiusura del sistema, che al fine di conferire allo stesso concreta effettività demanda al giudice, appunto, l’adozione dell’ordine di demolizione delle opere nell’ambito della sentenza di condanna per i reati di cui al richiamato art. 44, ma soltanto laddove la stessa «non sia stata altrimenti eseguita».

18.1. La disposizione, proprio per la sua (teorica) portata residuale e suppletiva, non contiene una disciplina di dettaglio sovrapponibile a quella prevista per i casi di demolizione intimata dal Comune: a ciò consegue da un lato che i destinatari dell’intimazione si identifichino naturaliter con i soggetti individuati come responsabili nella sentenza di condanna; dall’altro che, quand’anche a scopo conoscitivo venga informata la proprietà, pur incolpevole, ciò risponde all’esigenza di garantirne il necessario coinvolgimento nella susseguente demolizione, senza che tuttavia all’inottemperanza conseguano le conseguenze ablatorie che l’art. 31, comma 3, collega alla mancata esecuzione spontanea dell’ordine comunale.

19. La totale autonomia tra i due distinti procedimenti è un dato acquisito nella prassi e nella giurisprudenza. Essa va tuttavia letta in senso teleologicamente orientato all’obiettivo finale, che è quello di ottenere il ripristino dello stato dei luoghi, sicché eventuali interferenze o indebite commistioni dell’uno nell’altro in tanto rilevano, in quanto invadano indebitamente altrui competenze, ostacolando il raggiungimento di tale obiettivo. Diversamente opinando la duplicazione dei procedimenti si paleserebbe a dir poco diseconomica, essendo sufficiente l’utilizzo da parte dell’Amministrazione preposta al controllo dello strumentario giuridico a sua disposizione per garantire il ripristino del corretto assetto del territorio, oltre che della legalità lesa con la realizzazione dell’intervento abusivo. Il legislatore, cioè, ha voluto far convergere verso l’unico risultato atteso due strade ipoteticamente separate: laddove la prima, ovvero quella per così dire fisiologicamente preposta allo scopo, subisca deviazioni, subentra la seconda, che in quanto successiva ad un accertamento di responsabilità effettuato in sede giudiziaria, non ammette deroghe ovvero tolleranze alcuna. I percorsi, dunque, non sono paralleli, ma convergenti, in quanto inevitabilmente tutte le modifiche legittimamente apportate dal Comune con le proprie scelte non possono non incidere sul perimetro oggettivo dell’intimazione del giudice.

20. La vera differenza, dunque, tra i due autonomi procedimenti, ove riguardati dall’ottica dei presupposti, risiede nel fatto che a monte dell’ordine del giudice si pone l’accertamento di un reato, nei suoi elementi costitutivi, materiale e psicologico (indifferentemente il dolo o la colpa, trattandosi di illecito penale di tipo contravvenzionale) e quindi del responsabile della sua commissione; laddove a monte dell’intimazione da parte del Comune si colloca lo stesso fatto, ma valutato quale abuso ex se, integrante un illecito amministrativo, i cui effetti la demolizione intimata (anche) al proprietario incolpevole ha la finalità di cauterizzare.

21. L’esecuzione della demolizione disposta dal Comune è soggetta a regole diverse rispetto a quelle che sovrintendono a quella intimata dal Pubblico ministero. In particolare, di essa si occupa l’art. 41 del d.P.R. n. 380 del 2001, che nella versione vigente ratione temporis prevedeva il ricorso anche alla trattativa privata, sulla base di una valutazione tecnico-economica predisposta dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio competente e approvata dalla Giunta comunale, per individuare le ditte affidatarie. La norma è stata di recente novellata dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, che ha avocato agli uffici territoriali del Governo la relativa competenza in caso di mancata attivazione del Comune entro il termine di 180 giorni dall’accertamento dell’abuso, fermo restando l’avvalimento degli uffici del comune nel cui territorio ricade l’abuso edilizio da demolire per ogni esigenza tecnico-progettuale. «Per la materiale esecuzione dell’intervento, il prefetto può avvalersi del concorso del Genio militare, previa intesa con le competenti autorità militari e ferme restando le prioritarie esigenze istituzionali delle Forze armate» (art. 41, comma 1, secondo periodo). Come pure rimarcato dal T.a.r. per la Toscana la modifica, siccome non riguarda la gestione dell’esecuzione da parte del giudice penale, non ha alcun impatto sulle considerazioni sin qui svolte.

22. Accanto alle (oggettive) difficoltà di mettere in pratica le disposizioni sopra richiamate, al di fuori peraltro di un quadro programmato di opere pubbliche, si sono da sempre poste anche quelle di natura economico-finanziaria, in quanto spesso le amministrazioni locali sono prive delle risorse finanziarie necessarie a far fronte al fenomeno dell’abusivismo edilizio dando seguito alle ingiunzioni demolitorie.

23. Proprio al fine di rafforzarne l’effettività, troppo spesso rimasta sulla carta come dimostrato dalla scarsa incidenza casistica delle demolizioni rispetto agli abusi accertati, il legislatore, con il d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla l. 20 novembre 2003, n. 326, ha istituito presso la Cassa Depositi e Prestiti un apposito Fondo, denominato significativamente « Fondo per le demolizioni delle opere abusive», al quale i Comuni possono attingere finanziamenti per procedere alle esecuzioni in danno, estendendo espressamente la facoltà di farvi ricorso ai casi di demolizione disposta dall’autorità giudiziaria. La norma ha notoriamente creato problematiche interpretative in ordine all’inquadramento della natura giuridica dei prestiti elargiti e alla loro incidenza sul piano contabile, ma per quanto qui di interesse costituisce una innovativa risposta alle evidenziate difficoltà economiche, che troppo spesso hanno rappresentato il motivo, se non il pretesto, per non dare seguito alle ingiunzioni a demolire, con quanto ne è conseguito in termini di consolidarsi di situazioni di incertezza giuridica, degrado e deterioramento della qualità del suolo. L’idea di considerarla solo uno dei possibili strumenti per realizzare politiche di buon governo del territorio è poi confermata dal fatto che essa si inserisca nell’ambito della disciplina del c.d. “terzo condono”, volta a favorire la regolarizzazione degli abusi edilizi di minore entità commessi sino a una certa data -irrigidendone i requisiti rispetto alle sanatorie precedenti - ma nel contempo facendosi carico di eliminare quelli non sanabili o comunque non sanati.

24. La reciproca autonomia fra la demolizione ordinata dal giudice penale e i poteri sanzionatori del Comune è dimostrata dal fatto che sono soggette al sindacato del giudice dell’esecuzione penale le deliberazioni comunali sopravvenute che, a vario titolo, sottraggano alla demolizione l’opera abusiva, in tal modo impedendo che l’ordine impartito con la sentenza di condanna sia eseguito ed, anzi, imponendone la sospensione e/o il ritiro (cfr. Cass. pen., sez. III, 10 febbraio 2021, n. 20941; id., 23 novembre 2021, n. 46194, richiamata anche nella sentenza impugnata a comprova della mancata incidenza della riforma del 2020 sul quadro giuridico delineato).

25. Al di fuori di tali ipotesi, tuttavia, come del resto riconosciuto anche dal T.a.r. per la Toscana, «il coordinamento fra l’intervento del giudice penale e quello generale di carattere amministrativo è destinato infatti a realizzarsi nella fase esecutiva e non in quella cognitoria (fra le moltissime, cfr. Cass. pen., sez. III, 13 novembre 2020, n.1300; id., 14 febbraio 2000, n. 702)». Il che significa che un coordinamento deve pur sempre esserci, in quanto se così non fosse, come già detto, i due procedimenti potrebbero sfociare in esiti antitetici, anche in relazione ai soggetti coinvolti, ovvero, più banalmente, duplicare spese, sia di progettazione che di esecuzione. Pur restando il pubblico ministero il regista dell’operazione che nasce dalla sua diffida e il giudice dell’esecuzione l’autorità competente a conoscere delle eventuali controversie insorte in itinere, non si può infatti escludere che vengano a crearsi punti di contatto tra i due procedimenti.

26. La disposizione contenuta nell’art. 32, comma 12, del d.l. n. 269 del 2003, come ulteriormente dettagliata dal decreto del 23 luglio 2004 del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dall’apposita circolare n. 1254/04 della Cassa Depositi e prestiti, con il suo richiamo esplicito anche alle esecuzioni disposte dal giudice penale, costituisce un innegabile tentativo di creare un trait d’union pure formale tra i due distinti procedimenti, valorizzando il ruolo centrale dei Comuni in quanto preposti alla vigilanza sul (proprio) territorio. La circostanza peraltro che in essa si faccia riferimento solo ai Comuni quali soggetti titolati ad accedere al previsto finanziamento, così tagliando fuori, ad esempio, le altre amministrazioni competenti in relazione ai vincoli paesaggistici ed ambientali che ai sensi dell’art.27, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, hanno egualmente titolo a procedere alle demolizioni di loro iniziativa (Soprintendenze e Regione), ne rafforza il ruolo centrale nella gestione delle relative attività.

Ciò ha trovato altresì conferma nel punto 2 della circolare n. 1254/04 della Cassa Depositi e Prestiti, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 5 novembre 2004, laddove si afferma, appunto, che «gli unici soggetti legittimati a richiedere le anticipazioni a valere sulle risorse del Fondo sono i Comuni, anche nell’ipotesi in cui alla demolizione debba provvedere altra autorità pubblica (autorità giudiziaria, soprintendenze, prefetti, ecc». Salvo precisare, correttamente, che «per coprire le spese da sostenersi in ordine ai provvedimenti demolitori, tali soggetti, [autorità giudiziaria compresa], dandone contestuale comunicazione all’Istituto, devono rivolgersi all’amministrazione comunale territorialmente competente, che è l’unico interlocutore della Cassa Depositi e Prestiti per quanto concerne le procedure di finanziamento». Trattandosi cioè di interventi originariamente di competenza del Comune, appare logico che la legge abbia previsto di imputare a tale Ente le spese di demolizione delle opere abusive, indipendentemente dal fatto che siano eseguite dal Sindaco, dal Magistrato o da altra Autorità di controllo.

27. Va detto che di regola il coinvolgimento del Comune dovrebbe collocarsi a valle della progettualità esecutiva del pubblico ministero, che deve attivarsi al riguardo, preoccupandosi anche dell’affidamento dell’incarico e dell’indicazione dell’importo, salvo, appunto, comunicarla all’Amministrazione comunale, affinché si faccia carico di assumere l’anticipazione delle relative somme da parte della Cassa Depositi e prestiti previa verifica della regolarità della documentazione trasmessa. Il Comune cioè provvederà al pagamento delle somme indicate dal magistrato, in favore del soggetto che avrà effettuato la demolizione, salvo poi procedere al recupero - anche tramite iscrizione nel ruolo di riscossione dei tributi - dal soggetto responsabile.

28. Ricostruito come sopra il quadro normativo, appare chiara l’incoerenza rispetto allo stesso della prospettazione seguita dal primo giudice.

29. La diffida impugnata, infatti, addebita le somme spese dal Comune per la demolizione dell’abuso ai soggetti che ne sono stati dichiarati responsabili in sede di giudizio penale (in verità inspiegabilmente omettendo di coinvolgere uno dei nominativi presenti nella sentenza del 2011, per il quale, a quanto consta in atti, non sussisterebbero ragioni giustificatrici dell’espunzione). Tale individuazione non costituisce una scelta discrezionale dell’Amministrazione, ma dà attuazione ad una precisa disposizione normativa, che con riferimento all’ingiunzione a demolire n. 37 del 2013, va ravvisata nella previsione di cui all’art. 31, comma 3, del T.u.ed.; in relazione all’intimazione del P.M., si radica nella sentenza del Tribunale. A ben guardare, dunque, l’individuazione del provvedimento a monte dell’esecuzione d’ufficio - l’ordinanza n. 37 del 2013 ovvero quella del pubblico ministero del 2012 o entrambe - appare neutra rispetto all’obbligo di sopportare i costi della demolizione. Essa infatti, seppure intimata (anche) al proprietario, dal punto di vista dei costi grava -solo- sul responsabile.

30. Né ad escludere tale coinvolgimento può bastare la circostanza che il Comune di Casole D’Elsa ha erroneamente rivolto l’ordine demolitorio al solo legale rappresentante della Società proprietaria del bene all’attualità: ciò sia in quanto per lo meno l’appellato era stato comunque reso edotto formalmente dell’atto, che gli era stato comunicato formalmente, sia perché lo stesso, insieme agli altri, resta responsabile dell’abuso, sicché niente gli impediva di chiedere di essere coinvolto nelle scelte esecutive, ove interessato a contenerne i costi, ovvero di rivalersi sulla (nuova) proprietà per non averlo interessato al procedimento.

31. La circostanza poi che egli sia responsabile dell’abuso consegue inequivocabilmente alla sentenza penale, non rilevando in senso contrario il contenuto di patteggiamento e non di condanna. Con riferimento agli abusi edilizi, infatti, la giurisprudenza penale ha da sempre operato ritenendo imprescindibile l’irrogazione della sanzione demolitoria nei confronti degli imputati, sì da equiparare a tale scopo la relativa pronuncia a quella di condanna, nominativamente prevista dall’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001.

32. In sintesi, pur avendo il Comune attivato un nuovo procedimento ripristinatorio nei confronti della Società, esso non può far venire meno l’accertamento delle responsabilità sottese al giudizio penale dal quale è scaturita la precedente intimazione. La procedimentalizzazione dell’esecuzione della demolizione prende l’avvio, infatti, con l’individuazione del responsabile dell’abuso e si chiude con l’addebito delle spese allo stesso, vuoi che la demolizione sia stata effettuata dal proprietario, vuoi che a provvedere sia stato il Comune, previa acquisizione del bene, ovvero altra Autorità che ne ha competenza, quale in particolare il giudice penale.

33. L’ordine di demolizione irrogato in sentenza, costituendo una misura amministrativa caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell’organo istituzionale al quale ne è appunto attribuita l’applicazione, non passa in giudicato essendone sempre possibile la revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità intervenuti anche successivamente. Ma nel caso di specie l’ordinanza sopravvenuta non è affatto incompatibile con la diffida del P.M., bensì si presenta arricchita in termini contenutistici dalle scelte di mantenere taluni manufatti perché di interesse pubblico. È lo stesso Procuratore della Repubblica di Siena che documenta per tabulas tale ritenuta coerenza, di fatto “accettando” che l’esecuzione venga portata a compimento dal Comune. Da ultimo nella nota del 2 febbraio 2016, infatti, prende atto dell’avvenuta adozione dell’ordinanza n. 37 del 2013, ne monitora l’evoluzione, anche in relazione ai contenziosi insorti, e conclude chiedendo conto della sua attuazione al fine di eventualmente attivarsi per procedere alla propria. Egli, cioè, non evidenzia alcuna ipotesi di sconfinamento e di indebito esercizio di competenze riservate alla giurisdizione penale, che potessero interferire su eventuali incidenti di esecuzione attivati in tale sede. Al contrario, assumendola come punto di partenza, chiede contezza in termini di dati sull’individuazione degli immobili e sull’attuale stato dei medesimi e ricorda che il costo della demolizione, sulla base della convenzione all’epoca vigente tra Ministero della Giustizia, Ministero delle infrastrutture e Ministero della Difesa del 15 dicembre 2005, nonché delle circolari della Cassa Depositi e Prestiti, «compete al Comune, che poi provvederà a ripetere le somme dall’esecutato». Né risulta in atti che successivamente alla demolizione la vicenda penale abbia avuto ulteriori sviluppi, evidentemente inutili.

34. Pur non essendo dunque di regola ipotizzabile che l’esecuzione d’un provvedimento adottato dal giudice venga affidata alla pubblica amministrazione, essendone l’organo promotore il Pubblico Ministero (Cons. Stato, sez. VI, 24 novembre 2015, n. 5324), la scelta di quest’ultimo di raccordarsi costantemente con il Comune, nonché il disposto normativo dell’art. 32, comma 12, del d.l. n. 269/2003, rendono comprensibile, oltre che condivisibile, l’opzione di accedere al finanziamento senza attendere la nomina del consulente tecnico della Procura e l’esito dell’analisi di mercato effettuata dallo stesso.

35. Per tutto quanto sopra detto, l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso (n.r.g. 1537/2021) deve essere respinto.

36. La complessità e parziale novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.a.r. per la Toscana n. 1119/2022, respinge il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellato e gli altri soggetti individuati come responsabili dell’abuso.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Oberdan Forlenza, Presidente

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore

Francesco Guarracino, Consigliere

Ugo De Carlo, Consigliere