Il parere vincolante del Soprintendente nel procedimento di autorizzazione paesaggistica è indefettibile. Sono finite le larghe intese sul paesaggio ?

di Massimo GRISANTI

 

(Commento a Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 4914 del 30/7/2013, depositata il 04/10/2013)

Giusto ieri il Consiglio di Stato, Sezione VI (Pres. Maruotti, Est. Lopilato, Cons. Meschino, Giovagnoli e De Michele), ha depositato in segreteria la sentenza n. 4914 del 30/7/2013 che, la prima a livello di supremo consesso amministrativo, fa finalmente chiarezza in ordine all’indefettibilità, o meno, del parere vincolante del Soprintendente ai fini del successivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da parte della Regione (od ente dalla stessa delegato).

La questione era stata già affrontata dallo scrivente sulla rivista giuridica on-line Lexambiente.it1 del dott. Luca Ramacci, pervenendo alle stesse conclusioni del Consiglio di Stato.

La vicenda fattuale su cui si sono espressi i Giudici riguarda un ricorso in appello proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Prof. Dott. Lortenzo Ornaghi Ministro pro tempore, e dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Salerno e Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, avverso la sentenza n. 2263 del 7/12/2012 del TAR Campania, sez. Salerno, con la quale era stato accolto il ricorso di un privato avverso l’espressione del “provvedimento della soprintendenza bb.aa.pp. sa-av n. 22620/2012 con il quale (è stato) espresso parere contrario sulla richiesta di autorizzazione paesaggistica per opere di sistemazione esterna e riqualificazione di una parte del giardino di pertinenza (di un) fabbricato”.

Il TAR aveva motivato la propria decisione “avuto decisivo ed assorbente riguardo alla evidenziata tardività del contestato parere, in quanto protocollato oltre il termine (di quarantacinque giorni) di cui all’art. 146, 8° comma d. lgs. n. 42/2004”.

Il Consiglio di Stato, invece, ha così deciso la riforma della sentenza:

FATTO e DIRITTO

1.– Con la sentenza impugnata, il Tribunale amministrativo regionale della Campania, Sezione di Salerno, all’esito della camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, ha adottato, sentite le parti, una sentenza in forma semplificata, con la quale ha accolto il ricorso proposto dalla signora Giovanna Cutugno avverso il provvedimento della Soprintendenza, con il quale, si legge nell’intestazione della sentenza, «si è espresso parere contrario sulla richiesta di autorizzazione paesaggistica per opere di sistemazione esterna e riqualificazione di una parte del giardino di pertinenza del fabbricato in località Palazzone in San Giovani a Piro».

Nella parte motiva si afferma quanto segue: «Considerato che la controversia può essere decisa in forma semplificata, avuto decisivo ed assorbente riguardo alla evidenziata tardività del contestato parere, in quanto protocollato oltre il termine (quarantacinque giorni) di cui all’art. 146, comma 8, del d.gs. n. 42 del 2004».

2.– La Soprintendenza ed il Ministero per i beni e le attività culturali, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto appello, rilevando:

a) la nullità della sentenza perché completamente priva delle ragioni di fatto e di diritto;

b) la mancata impugnazione del provvedimento del 5 novembre 2012, n. 9584, con cui il Comune, prima della proposizione del ricorso, ha concluso il procedimento con un proprio atto autoritativo ed ha adottato un diniego espresso in ordine all’autorizzazione paesaggistica (sul punto si fa presente che, con provvedimento del 5 marzo 2013, lo stesso Comune, a seguito della sentenza impugnata, ha rilasciato l’autorizzazione paesaggistica).

2.1.– Si è costituita in giudizio la ricorrente in primo grado, rilevando che:

a) la sentenza è adeguatamente motivata;

b) il provvedimento negativo del Comune, rappresentando l’unico atto conseguente al parere, è automaticamente caducato senza necessità di autonoma impugnazione.

L’appellata ha riproposto i motivi non esaminati dal primo giudice.

3.– L’appello è fondato.

3.1.– L’art. 88 cod. proc. amm. prevede che la sentenza deve contenere, tra l’altro, «la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi».

L’art. 60 consente, ricorrendo determinati presupposti, che la decisione venga assunta in forma semplificata all’esito della camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare.

Nel caso in esame, la sentenza si è limitata ad affermare, senza alcuna descrizione della fattispecie, che il parere della Soprintendenza è tardivo.

Tale motivazione viola la norma sopra riportata, ispirata, pur nel rispetto del principio generale della sinteticità, all’esigenza di assicurare l’“autosufficienza” della motivazione.

In primo luogo, non è, infatti, possibile ricostruire la vicenda amministrativa e le ragioni della decisione mediante l’analisi degli atti del processo, con violazione del diritto di difesa della controparte, impedendole di articolare adeguate ragioni sostanziali di critica avverso la sentenza impugnata.

In secondo luogo, la sentenza ha rilevato la mera tardività del parere reso dalla Soprintendenza, senza esaminare il quadro normativo di riferimento, dal quale si evince che – nel caso di mancato rispetto del termine fissato dall’art. 146, comma 5, così come del termine fissato dall’art. 167, comma 5, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) – il potere della Soprintendenza continua a sussistere (tanto che un suo parere tardivo resta comunque disciplinato dai richiamati commi 5 e mantiene la sua natura vincolante), ma l’interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo, per contestare l’illegittimo silenzio-inadempimento dell’organo statale: la perentorietà del termine riguarda non la sussistenza del potere o la legittimità del parere, ma l’obbligo di concludere la fase del procedimento (obbligo che, se rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal giudice, con le relative conseguenze sulle spese del giudizio derivato dall’inerzia del funzionario).

Poiché nel caso di superamento del termine in questione il Codice non ha determinato né la perdita del relativo potere, né alcuna ipotesi di silenzio qualificato o significativo, va riformata la sentenza con cui il TAR ha rilevato la tardività del parere, senza nemmeno occuparsi delle conseguenze della constatata tardività.

3.2.– La riforma della sentenza appellata comporta:

- l’irrilevanza della questioni di principio se sia autonomamente impugnabile il parere negativo reso dalla Soprintendenza e se il relativo ricorso diventi o meno improcedibile nel caso di mancata impugnazione del provvedimento comunale, conclusivo del procedimento e conforme al parere negativo (come è stato pure dedotto nell’atto d’appello);

- l’irrilevanza, altresì, dell’atto abilitativo che il Comune ha rilasciato, dopo il deposito della sentenza riformata in questa sede.

4.– Per i motivi sin qui esposti, la sentenza deve essere dichiarata nulla, con rinvio, ai sensi dell’art. 105, primo comma, cod. proc. amm., della controversia al primo giudice.”.

 

Il Consiglio di Stato, quindi, ha fatto applicazione degli insegnamenti della Corte Costituzionale, ovverosia ha ribadito l’impossibilità del “silenzio-assenso” in materia di paesaggio.

Peraltro, sempre come ha insegnato la Corte Costituzionale (sentenze n. 232/2008 e n. 101/2010), “con specifico riferimento al procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, (…) «non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme valevole su tutto il territorio nazionale nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica»”.

Ne consegue che le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dagli Enti delegati dalle Regioni in assenza del parere vincolante del Soprintendente sono tamquam non esset, giuridicamente inesistenti. Le opere realizzate da tali “autorizzazioni” sono integralmente abusive ed irrimediabilmente insanabili, qualora sussumibili tra le fattispecie ex art. 167 D.Lgs. n. 42/2004 e ss.mm.ii., e destinate alla demolizione (con diritto di risarcimento del danno del Cittadino che deve essere refuso in solido ed in primis dalla Regione e dalla locale Soprintendenza, e in secundis dagli Enti delegati).

In tutta evidenzia, come già aveva preconizzato P. MADDALENA2, siamo di fronte ad un caso di “saccheggio ambientale” ex art. 419 c.p., causato dalle Istituzioni legislative (Stato-Regioni), le quali – evidentemente nel proposito de facto delle larghe-intese – hanno prodotto un testo normativo (art. 146 D.Lgs. n. 42/2004 e ss.mm.ii.) che si presta, a prima facie, ad arrivare ad una superficiale conclusione di sopravvenuta superfluità del parere soprintendentizio (in caso di inadempimento) per rilasciare l’autorizzazione paesaggistica.

Il fatto che sia stato direttamente il MIBAC, nella persona del Ministro, coadiuvato dall’avvocatura di Stato, ad impugnare la sentenza – offrendo l’interpretazione normativa condivisa dal Consiglio di Stato – eleva il pronunciamento ad una sorta di “interpretazione autentica degli artt. 146 e 167 del Codice”.

Tuttavia si esprimono nutriti dubbi sulla spontaneità di una siffatta presa di posizione del Ministro, specie considerando prima del ricorso in appello il Governo era stato invitato allo “annullamento o revoca in parte qua, in autotutela o in via gerarchica, della Circolare del MIBAC prot. n. DGPBAACS04/ 34.01.04/2089 del 22 gennaio 2010 a firma del Direttore Generale dott. Roberto Cecchi”.

A questo punto, alle Regioni e alle Soprintendenze non rimane che ordinare la demolizione delle opere eseguite in assenza di quella autorizzazione paesaggistica prescritta dal Codice del Paesaggio, l’unica, come statuisce la Consulta, che può assicurare un grado minimale, uniforme e inderogabile di tutela al valore paesaggio (Art. 9 Cost.).

2 Paolo Maddalena (Giudice emerito della Corte Costituzionale) , “DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO DEI BENI COMUNI CULTURALI E AMBIENTALI: APPLICABILITÀ DELL’ART. 419 C. P.”, 21 novembre 2012, Rivista giuridica on-line “Federalismi.it”.