Fiumi e torrenti: il vincolo paesaggistico sussiste a prescindere dall’iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche

di Federico MAURI

 

Il paesaggio è definito dal d. lgs. 42/2004 (Cd. Codice dei beni culturali e del paesaggio o Codice Urbani, dal nome del Ministro dei Beni culturali dell’epoca, Giuliano Urbani) come territorio espressivo di una propria peculiare identità, risultante da elementi naturali, dall’attività umana e dall’interazione fra questi due fattori, e viene dallo stesso Codice tutelato relativamente a quegli aspetti e caratteristiche, rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, quale espressione di valori culturali.

La tutela del paesaggio è una disciplina che ha punti in comune con diverse branche del diritto: la salvaguardia dei beni culturali in primo luogo, ma anche il diritto dell’ambiente e la normativa in tema di edilizia ed urbanistica.

In una recente pronuncia, la Corte di Cassazione (Sez. III Penale, sentenza dell’11 luglio 2013, n. 29733) si è espressa su un ricorso proposto contro una decisione della Corte d’Appello di Catania con la quale era stata confermata una precedente sentenza del Tribunale di Siracusa – Sezione Distaccata di Tempio Pausania che aveva condannato il ricorrente per i reati di cui agli art. 44 lett. c) d.p.r. n. 380/2001 e 181 d. lgs. 42/2004 (d’ora in poi, Codice) per alcuni lavori edilizi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (per la precisione, un torrente in provincia di Siracusa) ed in assenza di valido titolo abilitativo.

Svariati sono i motivi di impugnazione ma l’unico che interessa ai nostri fini è il primo.

Parte ricorrente ha proposto ricorso per vizio di motivazione della sentenza d’appello. La Corte infatti si sarebbe semplicemente limitata a ritenere vigente il vincolo paesaggistico basandosi unicamente sull’iscrizione del torrente Risicone nell’elenco delle acque pubbliche di Siracusa, senza ulteriormente specificare in base a quali documenti ed elementi risultasse detta iscrizione.

A questo punto occorre però una precisazione.

L’art. 134 del Codice distingue infatti tre categorie di beni paesaggistici:

  1. quelli individuati secondo il procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi degli artt. da 138 a 141 del Codice;

  2. quelli individuati ex lege dall’art. 142 del Codice;

  3. quelli individuati dai piani paesaggistici ex art. 143 e 156 del Codice.

L’art. 142 a sua volta individua come di rilevanza paesaggistica diverse tipologie di beni. Fra questi, ai sensi della lett. c) del medesimo articolo, vi sono “i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna”.

La Suprema Corte ha però rigettato il sopracitato motivo d’appello.

Innanzitutto, la censura sollevata è passibile di essere dichiarata inammissibile. Per consolidata giurisprudenza della Cassazione, infatti, è da ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione eccessivamente generico nelle censure mosse (fra i tanti, vedi Cass. Penale Sez. II, sentenza 13 ottobre - 18 novembre 2009, n. 44038: “è inammissibile, per genericità, il motivo di impugnazione con il quale non si esaminano specificamente - per confutarle - le considerazioni svolte dal provvedimento impugnato. Per l'effetto  deve ritenersi inammissibile, per mancanza della specificità del motivo prescritta dall'art. 581, lettera c), c.p.p., il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza appunto cadere nel vizio di "aspecificità", che conduce, ex art. 591, comma 1, lettera c), c.p.p., all'inammissibilità del ricorso”).

I Giudici della Suprema Corte, infatti, fanno notare come il ricorrente non contesti la mancata iscrizione del torrente Risicone all’elenco provinciale delle acque pubbliche ma si limiti semplicemente a chiedere maggiori delucidazioni in merito, ritenendo che la Corte d’Appello non abbia esaustivamente indicato le fonti e gli elementi da cui risulti detta iscrizione.

Il suddetto motivo di ricorso sarebbe pertanto da ritenersi di per sé inammissibile per queste ragioni.

Tuttavia, la Cassazione non si ferma a quest’aspetto della vicenda, bensì entra nel merito della censura ed analizza il motivo d’impugnazione.

In primo luogo viene evidenziato che il comma 3 del medesimo articolo, precisa che gli stessi corsi d’acqua sopra indicati non rientrano tra i beni tutelati, qualora siano ritenuti irrilevanti ai fini paesaggistici. In tal caso sono inclusi in apposito elenco redatto e reso pubblico dalla Regione competente, ferma restando la possibilità per il Ministero di confermare la rilevanza paesaggistica di detti beni con provvedimento adottato con le procedure previste dall’articolo 141 del Codice in materia di integrazione di elenchi.

Per i vari corpi idrici presenti su un dato territorio è pertanto garantita la pubblicità sia dell’iscrizione negli elenchi delle acque pubbliche, e di rimando del relativo vincolo paesistico cui sono ex lege sottoposti, sia della loro irrilevanza ai fini paesaggistici.

Successivamente, la Corte passa all’analisi dell’art. 142 del Codice.

Nel fare ciò, i giudici della Cassazione fanno propria un’interpretazione delle disposizioni in esame data dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. VI n. 657, 4 febbraio 2002), secondo cui i fiumi ed i torrenti sono soggetti a tutela paesistica di per sé stessi, a prescindere dall’iscrizione negli elenchi di cui sopra, mentre solo per i corsi d’acqua diversi dai fiumi e dai torrenti l’iscrizione nei suddetti elenchi ha efficacia costitutiva del vincolo paesaggistico.

L’affermazione è basata principalmente sulla circostanza che, in base ai termini usati dal legislatore, anche i fiumi e i torrenti sono da ritenere corsi d’acqua con la conseguenza che la loro autonoma indicazione assume “una sola, plausibile spiegazione: si è pensato ai fiumi e ai torrenti come acque fluenti di maggiore importanza, e ai corsi d'acqua come categoria residuale, comprensiva delle acque fluenti di minore portata (per esempio ruscelli («piccolo corso d'acqua»), fiumicelli («piccolo fiume»), sorgenti («punto di affioramento di una falda d'acqua»), fiumare («corso d'acqua a carattere torrentizio»), ecc..”.

Il ricorrente non contesta la qualifica di “torrente” al corso d’acqua oggetto di controversia. Pertanto, ciò è sufficiente a considerare fuori discussione la sussistenza del vincolo paesistico e, di conseguenza, la rilevanza penale della condotta.

Quindi, alla luce di quanto sopra esplicato, la Cassazione, pur dichiarando i reati estinti per prescrizione ed annullando la sentenza della Corte d’Appello, ha rigettato in quanto infondato il motivo di ricorso sopra indicato.

 

Dott. Federico Mauri