DISTANZE TRA FABBRICATI
(commento a caldo della sentenza n. 6/2013 della Corte costituzionale, depositata il 23/1/2013)

di Massimo GRISANTI

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 6/2013 depositata in data odierna (23/1/2013), riportata in appendice, è tornata nuovamente sui rapporti tra legislazione statale e regionale in tema di distanza tra fabbricati.

 

Ha confermato che in via primaria la disciplina delle distanze attiene alla materia dell’ordinamento civile, di esclusiva competenza statale, e solo in via accessoria attiene alla materia del governo del territorio (nella quale, in ogni caso, le Regioni sono tenute a rispettare le disposizioni dell’art. 9 del D.M. n. 1444/68).

 

Dichiarando una palese illegittimità costituzionale dell’articolo 1, secondo comma, della legge della Regione Marche 4 settembre 1979, n. 31 (Interventi edificatori nelle zone di completamento previste dagli strumenti urbanistici generali comunali), la Consulta ha nuovamente fatto il punto sulle disposizioni dell’ultimo comma dell’art. 9 del D.M. n. 1444/68, specificando che, per essere valide ed operanti, le deroghe alla distanza tra fabbricati devono essere contenute in strumenti urbanistici di secondo livello.

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Con i limiti derivanti dalla rimessione del Giudizio, la Corte costituzionale non ha ulteriormente analizzato le disposizioni dell’ultimo comma del D.M. n. 1444/68.

 

Orbene, come ha già avuto modo di stabilire la Suprema Corte di Cassazione, SS.UU. civili, con la sentenza 18 febbraio 1997, n. 1486, la deroga, per essere valida ed operante, deve riguardare fabbricati entrambi, o tutti, ricompresi nel medesimo piano particolareggiato. Non può essere validamente prevista la deroga qualora un fabbricato è interno al piano attuativo e l’altro è esterno ad esso.

 

Inoltre, in tema di distanze tra fabbricati le pareti finestrate rilevano nella loro interezza e non per i soli settori in cui sono presenti le finestre (Suprema Corte di Cassazione, SS.UU. civili, n. 14953/2011).

 

Altri aspetti rilevanti del sempre sorprendente art. 9 del D.M. n. 1444/68 attengono alla distanza tra fabbricati con interposte strade, che la giurisprudenza prevalente ha stabilito debbasi applicare a tutte le zone territoriali omogenee (ex plurimis: Cons. Stato, n. 4759/2004: TAR Toscana, n. 1014/2011).

 

Un altro aspetto delle disposizioni dell’art. 9 che non risulta essere mai stato oggetto di disamina in sede giudiziale è il primo periodo dell’ultimo comma.

Per un’analisi più attenta vengo a riportarne il testo integrale:

 

Art. 9 - Limiti di distanza tra i fabbricati.

 

1° co. Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.

2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12.

 

2° co. Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

- ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;

- ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;

- ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

 

3° co. Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

 

Come è agevole comprendere, la deroga consentita dal terzo ed ultimo comma purché contenuta negli strumenti pianificatori di dettaglio NON può MAI spingersi a tal punto che l’altezza massima degli edifici sia maggiore della distanza tra essi intercorrenti, e ciò in quanto le disposizioni contenute nel secondo periodo possono derogare a quelle contenute nei commi 1° e 2°, ma non alle prescrizioni del primo periodo del medesimo terzo ed ultimo comma.

 

In sintesi a distanza tra fabbricati di 10 metri deve essere sempre correlata un’altezza degli edifici minore o uguale a 10 metri.

 

Siffatta disposizione non costituisce niente di nuovo nella disciplina statale edilizia, in quanto:

  • già l’art. 17 della legge n. 765/1967, introducente l’art. 41-quinquies alla legge n. 1150/1942 recitava: “l'altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza degli spazi pubblici o privati su cui esso prospetta e la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire.”;

  • l’art. 39 delle sempre vigenti Istruzioni ministeriali sull’igiene del suolo e dell’abitato emanate con Circolare della direzione della sanità pubblica in data 20 giugno 1896 (la cui sempre vigenza è confermata dall’art. 9 del D.M. Sanità 5 luglio 1975), stabiliscono che “L’altezza delle case prospicienti vie pubbliche non potrà mai essere superiore alla larghezza delle vie stesse, eccezione fatta per le case prospicienti vie con direzioni da Nord a Sud, per le quali l’altezza potrà essere anche cinque quarti della larghezza della strada.”;

  • l’art. 42 delle suddette Istruzioni recita “Le vie private sono soggette alle stesse prescrizioni che le vie pubbliche …”.

 

Così l’incipit delle Istruzioni ministeriali:

“Le condizioni igienico-edilizie di parecchi comuni del regno lasciano pur troppo a desiderare, ed è lodevole la gara risvegliatasi fra i meglio retti di esse per correggerle.

Il Governo non ha mancato, per quanto gli riuscì possibile, di coadiuvare tale intento, col facilitare ai comuni stessi i mezzi per raggiungerlo e col favorirne la migliore riuscita con opportuni consigli e suggerimenti. Ed a questo scopo mirano ancora le istruzioni sulla igiene del suolo e dell’abitato, approvate dal consiglio superiore di sanità, che io prego le SS. LL. a voler portare a conoscenza delle amministrazioni municipali, perché servono loro di norma nella compilazione dei regolamenti locali igienico-edilizii e in tutte quelle opere a cui si accingano, per migliorare l’abitabilità ed i servizi pubblici urbani.

Queste istruzioni contengono, forse, alcune disposizioni alle quali non riuscirà facile a qualche comune il pienamente conformarsi: ma ciò non toglie che, entro i limiti del possibile, i municipii non debbano ad esse inspirarsi, per ottenere che le buone regole igieniche si facciano a poco a poco strada tra le popolazioni e per evitare spese, o inutili o poco proficue, in lavori che poi si debba più tardi sentire il bisogno di rifare con migliore indirizzo.

Nutro però fiducia, che pel maggior numero delle nostre città e dei comuni rurali, queste istruzioni possano servire nel loro complesso di base ai regolamenti locali; nelle cui disposizioni è a desiderare, salvo esigenze tutt’affatto speciali, vi sia uniformità di concetti, in armonia coi migliori dettami della scienza odierna. Il ministro: RUDINI”.

 

Siccome le istruzioni ministeriali, essendo – ab origine - sostanzialmente raccomandazioni, non venivano pienamente applicate, ecco le sussunzioni delle relative disposizioni nelle leggi (n. 765/1967), dei decreti ministeriali aventi forza di legge (D.M. n. 1444/68) e finalmente assunte a rango regolamentare generale con il D.M. sanità del 1975.

 

Penso che ognuno possa fare le proprie riflessioni, anche in ordine al ruolo e alla necessità legislativa delle Regioni nella materia del governo del territorio.

 

Visto il notevole contenzioso che ha sempre involto la Corte costituzionale, siamo proprio sicuri che gli Enti inutili siano le Province ?

 

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In conclusione, ben valutino gli operatori del settore i progetti edilizi che confezionano o che esaminano ed approvano, in quanto MAI la distanza tra fabbricati può essere inferiore all’altezza dell’edificio più alto.

 

Dal momento che queste norme attengono, come più volte ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale e la Suprema Corte di Cassazione, alla sicurezza dei fabbricati e all’igiene dell’abitato (valori costituzionali assoluti), non può esistere alcuna prescrizione dell’azione civilistica di restituzione in pristino trattandosi di disposizioni di esclusivo interesse pubblico e quindi non disponibili nelle parti private.

 

Come sarebbero stati più vivibili le nostre città e paesi se le norme urbanistiche (vigenti da oltre 40 anni) fossero state veramente applicate ?

Le varie forme di inquinamento e di malattie, spazi pubblici raramente esistenti o idonei ecc. ? Tutti problemi inesistenti o altamente ridotti.

 

Meditiamo … e rimeditiamo, pretendendo l’applicazione delle regole impresse nel D.M. n. 1444/68.

 

Quelle regole, compreso la legge n. 1150/1942, che l’urbanistica contrattata e gli pseudo urbanisti vogliono vendere come leggi fallimentari. A vantaggio di chi ?

 

la sentenza è leggibile qui