LA NUOVA DISCIPLINA PER TERRE E ROCCE DA SCAVO: IL REGOLAMENTO N. 161

a cura di Gianfranco Amendola

pubblicato su Ambiente e sicurezza sul lavoro 2012, n. 11,

 

Premessa

 

Di terre e rocce da scavo ci siamo occupati di recente su queste colonne in quanto oggetto di alcune modifiche contenute negli ultimi provvedimenti legislativi del governo Monti.

Senza ripetere quanto, anche con accenti critici, già abbiamo scritto1, sembra sufficiente ricordare che, per quanto interessa in questa sede, il governo, dopo aver esteso ai fini della esclusione dalla disciplina sui rifiuti di cui all’art. 185 D.Lgs 152/06, la qualifica di <<suolo>> alle <<matrici materiali di riporto>>, ha previsto un apposito decreto in cui stabilire “le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti ai sensi dell'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006” anche con riferimento a queste matrici materiali di riporto, e cioè ai materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto richiamato, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei” (art. 3 D.L. 25 gennaio 2012 n. 2, coordinato con legge di conversione 24 marzo 2012 n. 28). Aggiungendo che, dalla data di entrata in vigore di questo decreto, sarebbe stato abrogato l’art. 186 D. Lgs 152/06 relativo, appunto, alla disciplina delle terre e rocce da cavo.

In definitiva, cioè, il decreto governativo doveva stabilire le condizioni alle quali terre e rocce da scavo, comprensive delle matrici materiali di riporto, possono essere considerate non rifiuti ma sottoprodotti. Ciò doveva, comunque, avvenire “ai sensi dell’ art 184-bis” che già disciplina, in via generale, i requisiti dei sottoprodotti (comma 1), ed aggiunge, al secondo comma, che “sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti “. Il che vuol dire che il decreto governativo per le terre e rocce da scavo doveva restare rigorosamente nell’ambito generale delineato per i sottoprodotti dall’art. 184-bis, rispetto al quale poteva solo specificare e dettagliare i criteri qualitativi e quantitativi da soddisfare.

 

Il nuovo regolamento: quadro generale

 

Adesso questo decreto è stato emanato. Si tratta del Decreto 10 agosto 2012, n. 161- Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo- pubblicato sulla G.U. n. 221 del 21 settembre 2012, il quale consta di 16 articoli e 9 allegati ed è entrato in vigore il 6 ottobre 2012.

La sua finalità, secondo l’art. 2, è quella di “migliorare l’uso delle risorse naturali e prevenire la produzione di rifiuti” attraverso la definizione dei criteri qualitativi da soddisfare affinchè i materiali di scavo siano considerati sottoprodotti (e non rifiuti) nonché delle procedure e modalità affinche' la gestione e l'utilizzo dei materiali da scavo avvenga senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente, “sulla base delle condizioni previste al comma 1, dell'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni”.

Dopo aver fornito alcune definizioni (art. 1) ed aver stabilito (art. 3) che si applica alla “gestione dei materiali da scavo” (e non ai rifiuti derivanti dall’esecuzione di interventi di demolizione), il nuovo regolamento stabilisce la disciplina base con l’art. 4 (v. appresso)

L’art. 5 (con gli articoli 7, 8 e 9 e l’allegato 5) stabilisce i contenuti e la procedura per il piano di utilizzo del materiale da scavo, specificando, tra l’altro, che il mancato rispetto di una delle condizioni dell’art. 4 o di violazione degli obblighi assunti con il piano di utilizzo fa venir meno la qualifica di sottoprodotto e comporta l’obbligo di gestire il relativo materiale da scavo come rifiuto; mentre l’art. 10 si occupa del deposito in attesa di utilizzo, l’art. 11 del trasporto (con obbligo di documentazione, v allegato 6) e l’art. 12, con l’allegato 7, sancisce l’obbligo di attestare, da parte dell’esecutore, l’avvenuto utilizzo del materiale escavato in conformità del piano di utilizzo. L’art. 6 prevede le eventuali “situazioni di emergenza”, mentre l’art. 14, con l’allegato 8, si occupa dei controlli e l’art. 15 delle disposizioni transitorie per estendere le nuove disposizioni agli interventi in corso. Tra gli allegati vanno ricordati anche il n. 1 e il n. 9 relativi alla caratterizzazione ambientale dei materiali da scavo ed ai materiali di riporto di origine antropica, il n. 4 attinente alle procedure di caratterizzazione chimico-fisiche e accertamento delle qualita' ambientali, nonché (e soprattutto) l’allegato n. 3 che definisce la “normale pratica industriale”.

In estrema sintesi, per quanto interessa in questa sede e limitandoci alle osservazioni di tipo giuridico, i punti principali sono i seguenti.

 

2. I materiali da scavo e da riporto

 

Nell’art. 1, tra le definizioni, occorre evidenziare quella di <<materiali da scavo>>: il suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivanti dalla realizzazione di un’opera quali, a titolo esemplificativo:

- scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee, ecc.);

- perforazione, trivellazione, palificazione, consolidamento, ecc.;

- opere infrastrutturali in generale (galleria, diga, strada, ecc.);

- rimozione e livellamento di opere in terra;

- materiali litoidi in genere e comunque tutte le altre plausibili frazioni granulometriche provenienti da escavazioni effettuate negli alvei, sia dei corpi idrici superficiali che del reticolo idrico scolante, in zone golenali dei corsi d’acqua, spiagge, fondali lacustri e marini;

- residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre, ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un’opera e non contenenti sostanze pericolose (quali ad esempio flocculanti con acrilamide o poliacrilamide).

I materiali da scavo possono contenere, sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti massimi previsti dal presente Regolamento, anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato.

A questa specificazione si collega la definizione di “riporto”: orizzonte stratigrafico costituito da una miscela eterogenea di materiali di origine antropica e suolo/sottosuolo come definito nell’allegato 9 del presente Regolamento.In proposito, l’art. 1 e l’allegato 9 forniscono la seguente definizione di “materiali di riporto di origine antropica”:

I riporti di cui all’articolo 1 del presente Regolamento si configurano come orizzonti stratigrafici costituiti da materiali di origine antropica, ossia derivanti da attività quali attività di scavo, di demolizione edilizia, ecc, che si possono presentare variamente frammisti al suolo e al sottosuolo.

In particolare, i riporti sono per lo più una miscela eterogenea di terreno naturale e di materiali di origine antropica, anche di derivazione edilizio-urbanistica pregressa che, utilizzati nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando un nuovo orizzonte stratigrafico. I materiali da riporto sono stati impiegati per attività quali rimodellamento morfologico, recupero ambientale, formazione di rilevati e sottofondi stradali, realizzazione di massicciate ferroviarie e aeroportuali, riempimenti e colmate, nonché formazione di terrapieni.

Ai fini del presente regolamento, i materiali di origine antropica che si possono riscontrare nei riporti, qualora frammisti al terreno naturale nella quantità massima del 20%, sono indicativamente identificabili con le seguenti tipologie di materiali: materiali litoidi, pietrisco tolto d’opera, calcestruzzi, laterizi, prodotti ceramici, intonaci.

In sostanza, viene pienamente confermato quello che già si capiva leggendo le modifiche apportate al D. Lgs 152/06 dal governo Monti (di cui ci siamo occupati nel precedente articolo) e cioè che il legislatore italiano vuole far rientrare tra i materiali da scavo anche quelli provenienti da siti ed aree pesantemente inquinate da residui di lavorazione e rifiuti provenienti da attività umane, al fine di estendere la possibilità di qualificarli come sottoprodotti ed escluderli dalla disciplina sui rifiuti.

Trattasi di operazione non consentita dalla normativa europea in quanto riguarda suoli escavati contaminati e materiali artificiali: la direttiva 2008/98/CE, al considerando 11 (che ne fa parte integrante) chiarisce, infatti, senza ombra di dubbio che << la qualifica di rifiuto dei suoli escavati non contaminati e di altro materiale allo stato naturale utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati dovrebbe essere esaminata in base alla definizione di rifiuto e alle disposizioni sui sottoprodotti o sulla cessazione della qualifica di rifiuto ai sensi della presente direttiva>>. Principio ribadito altrettanto chiaramente dall’art. 2, comma 1, lett. b) e c) della stessa direttiva, il quale da un lato esclude dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti il suolo contaminato non escavato, e dall’altro il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato a fini di costruzione allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato escavato.

E’, quindi, di tutta evidenza il contrasto con la direttiva, in quanto, se da un lato è vero che per la direttiva il suolo escavato può essere un sottoprodotto (e non un rifiuto), è anche vero che la direttiva si riferisce espressamente solo al suolo escavato non contaminato ed al materiale naturale; escludendo, quindi, i suoli escavati contaminati ed i materiali artificiali, come, invece, dispone la normativa italiana, la quale, in tal modo, restringe illegittimamente l’ambito di applicazione della direttiva sui rifiuti.

Ed è appena il caso di ricordare che, 5 anni fa, analogo tentativo italiano proprio sulle terre da scavo venne solennemente bocciato dalla Corte di giustizia europea, la quale, con riferimento alla direttiva, dopo aver osservato che << è giocoforza constatare che tali disposizioni finiscono per sottrarre alla qualifica di rifiuto, ai sensi dell’ordinamento italiano, taluni residui che invece corrispondono alla definizione sancita dall’art. 1, lett. a), della direttiva>> evidenziò con chiarezza che <<l’art. 2, n. 1, indica quali tipi di rifiuti sono o possono essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva e a quali condizioni, mentre, in linea di principio, vi rientrano tutti i rifiuti corrispondenti alla definizione in parola. Orbene, ogni norma nazionale che limita in modo generale la portata degli obblighi derivanti dalla direttiva oltre quanto consentito dall’art. 2, n. 1, di quest’ultima travisa necessariamente l’ambito di applicazione della direttiva (v., in tal senso, sentenza Commissione/Regno Unito, cit., punto 11), pregiudicando in questo modo l’efficacia dell’art. 174 CE (v., in tal senso, ARCO Chemie Nederland e a., cit., punto 42)>> (Corte UE, terza sezione, 18 dicembre 2007, causa c-194/05).

In più, si consideri che il regolamento, con queste definizioni, considera come materiale da scavo che può essere escluso dalla normativa sui rifiuti, anche i rifiuti di lavorazione frammisti al terreno, senza che essi siano stati sottoposti ad alcuna operazione di recupero che abbia fatto perdere loro questa qualifica. In altri termini, in tal modo si consente che un oggetto, dopo essere stato abbandonato ed essere diventato rifiuto, senza alcun trattamento possa successivamente essere considerato non rifiuto ma sottoprodotto. Ovviamente, in totale contrasto con la disciplina della direttiva UE. Nonché con la monolitica giurisprudenza della Cassazione. Rinviando per ulteriori richiami al nostro articolo precedente, sembra sufficiente ricordare che la suprema Corte ha sempre bocciato ogni tentativo analogo a quello in esame affermando seccamente la illegittimità di qualsiasi “interpretazione autentica” dell’Italia su terre e rocce da scavo tesa ad “escludere dal novero dei rifiuti le terre e le rocce da scavo, qualora si tratti di terra mista ad asfalto, ferro, betonelle per marciapiedi stradali, paletti in cemento precompresso, che costituiscono rifiuti speciali derivanti dalle attività di demolizione, ai sensi del citato art. 7, co. 3 lett. b), del decreto legislativo n. 22/97, attualmente art. 184, co. 3 lett. b), del D. L.vo. 3.4.2006 n. 152”2, puntualizzando più volte che “gli inerti provenienti da demolizioni di edifici o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n.152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l’obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento”3.

 

Le condizioni previste per la qualifica di sottoprodotto

 

Ovviamente il regolamento non può essere in contrasto con la legge, e pertanto deve necessariamente rifarsi alla norma base per i sottoprodotti (l’art. 184-bis D. Lgs 152/06), che viene anche più volte richiamato dal regolamento stesso.

Ciò premesso, conviene mettere a confronto le condizioni relative alla qualifica di sottoprodotto previste in generale dall’art. 184-bis e quelle previste dall’art. 4 del regolamento per il materiale da scavo.

 

 

Articolo 184-bis D. Lgs 152/06

(Sottoprodotto)

 

 

 

1. È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

 

 

 

a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

 

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

 

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

Art. 4 Regolamento n. 161/2012

Disposizioni generali

 

1. In applicazione dell'articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, e' un sottoprodotto di cui all'articolo 183, comma 1, lettera qq), del

medesimo decreto legislativo, il materiale da scavo che risponde ai seguenti requisiti:

 

a) il materiale da scavo e' generato durante la realizzazione di un'opera, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e' la produzione di tale materiale;

 

b) il materiale da scavo e' utilizzato, in conformita' al Piano di Utilizzo:

1) nel corso dell'esecuzione della stessa opera, nel quale e' stato generato, o di un'opera diversa, per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, ripascimenti, interventi a mare, miglioramenti fondiari o viari oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali;

2) in processi produttivi, in sostituzione di materiali di cava;

 

c) il materiale da scavo e' idoneo ad essere utilizzato direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale secondo i criteri di cui all'Allegato 3;

 

d) il materiale da scavo, per le modalita' di utilizzo specifico di cui alla precedente lettera b), soddisfa i requisiti di qualita' ambientale di cui all'Allegato 4.

 

Dal confronto formale emergono subito due notevoli diversità.

La prima riguarda l’origine: mentre per l’art. 184-bis (e per la direttiva) un sottoprodotto deve derivare da un “processo di produzione”, per il regolamento il sottoprodotto-materiale da scavo deve derivare da un’”opera”, che viene definita << il risultato di un insieme di lavori di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro, manutenzione, che di per se' esplichi una funzione economica o tecnica ai sensi dell'articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, e successive modificazioni>> (art. 1, comma 1, lett. a).

Ma non è la stessa cosa. Infatti, appare evidente che i materiali da scavo non sono generati da un processo produttivo ma derivano da un’attività finalizzata alla realizzazione di un’opera. E questo spiega la necessità della modifica italiana.

La seconda riguarda l’”utilizzo legale”, che, secondo la direttiva e l’art. 184-bis significa che “la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”; mentre per il regolamento è sufficiente che “il materiale da scavo, per le modalità di utilizzo specifico di cui alla precedente lettera b), soddisfa i requisiti di qualità ambientale di cui all'Allegato 4”, senza neppure un accenno, peraltro, alla esigenza fondamentale di verificare, caso per caso, l’assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente e sulla salute. Come giustamente rilevato da un autorevole tecnico del settore, <<appare evidente la differenza tra quanto previsto dalla prescrizione della normativa statale e quanto contenuto nel decreto che fa riferimento esclusivamente all'ambiente e non alla salute. L'allegato 4 a cui si rinvia, fondamentalmente fa riferimento alle procedure di caratterizzazione chimico fisiche dei materiali da qualificare come sottoprodotti. Tali procedure pertanto da sole non sono assolutamente sufficienti a garantire che l’impiego di un materiale residuale di scavo in sostituzione di terra o di materiale di cava non determini impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana, e che l’utilizzo dei sottoprodotti garantisca ai prodotti da questi ottenuti i medesimi requisiti dei prodotti ottenuti a partire dalle materie prime (in relazione alla salute e all’ambiente).Solo la validazione e l’autorizzazione all'utilizzo del materiale di scavo in una determinata area, rilasciate dalle Amministrazioni competenti seguendo le procedure di VIA e di AIA, individuate dalla parte II del D.Lgs. 152/06, potranno essere garanzie che tale operazione non determini pregiudizio all’ambiente ed alla salute umana e sia soddisfatto quanto previsto dalla condizione di cui alla lett. d) dell'articolo 184 bis, comma 1.>>4

Ma la diversità più rilevante non è formale, bensì sostanziale, e riguarda la “normale pratica industriale”. Se, infatti, da un lato, la formulazione della lettera c) dell’art. 4 del regolamento ( il materiale da scavo è idoneo ad essere utilizzato direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale secondo i criteri di cui all'Allegato 3) appare formalmente rispettosa della norma base (comunitaria ed italiana) sui sottoprodotti (la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale), quando si va a leggere quali sono questi trattamenti secondo l’allegato 3, ci si trova di tutto.

ALLEGATO 3

(NORMALE PRATICA INDUSTRIALE)

 

Costituiscono un trattamento di normale pratica industriale quelle operazioni, anche condotte non singolarmente, alle quali puo' essere sottoposto il materiale da scavo, finalizzate al miglioramento delle

sue caratteristiche merceologiche per renderne l'utilizzo maggiormente produttivo e tecnicamente efficace. Tali operazioni in ogni caso devono fare salvo il rispetto dei requisiti previsti per i sottoprodotti, dei requisiti di qualita' ambientale e garantire l'utilizzo del materiale da scavo conformemente ai criteri tecnici stabiliti dal progetto. Fermo restando quanto sopra, si richiamano le operazioni più comunemente effettuate, che rientrano tra le operazioni di normale pratica industriale:

- la selezione granulometrica del materiale da scavo;

- la riduzione volumetrica mediante macinazione;

- la stabilizzazione a calce, a cemento o altra forma idoneamente sperimentata per conferire ai materiali da scavo le caratteristiche geotecniche necessarie per il loro utilizzo, anche in termini di umidita', concordando preventivamente le modalita' di utilizzo con l'ARPA o APPA competente in fase di redazione del Piano di Utilizzo;

- la stesa al suolo per consentire l'asciugatura e la maturazione del materiale da scavo al fine di conferire allo stesso migliori caratteristiche di movimentazione, l'umidita' ottimale e favorire

l'eventuale biodegradazione naturale degli additivi utilizzati per consentire le operazioni di scavo;

- la riduzione della presenza nel materiale da scavo degli elementi/materiali antropici (ivi inclusi, a titolo esemplificativo, frammenti di vetroresina, cementiti, bentoniti), eseguita sia a mano che con mezzi meccanici, qualora questi siano riferibili alle necessarie operazioni per esecuzione dell'escavo.

Mantiene la caratteristica di sottoprodotto quel materiale di scavo anche qualora contenga la presenza di pezzature eterogenee di natura antropica non inquinante, purche' rispondente ai requisiti tecnici/ prestazionali per l'utilizzo delle terre nelle costruzioni, se tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile.

In proposito, occorre ricordare che, come recentemente rilevato dalla Cassazione,“il concetto di “normale pratica industriale” non può comprendere attività comportanti trasformazioni radicali del materiale trattato che ne stravolgano l’originaria natura, nonché tutti gli interventi manipolativi del residuo diversi da quelli ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale esso viene utilizzato”, e, pertanto, ne sono, ovviamente, escluse anche tutte le operazioni di recupero di rifiuti5, come sembrano essere buona parte di quelle sopra elencate.

Nello stesso senso, la costante giurisprudenza della Corte europea sui sottoprodotti postula che non vi sia alcuna “trasformazione preliminare”; con la conseguenza che il possibile ulteriore trattamento consentito non deve mai comportare una trasformazione della sostanza o dell’oggetto (con mutamento della struttura e della costituzione fisico-chimica)6. E del resto è la stessa formulazione della norma a configurare questi eventuali trattamenti di normale pratica industriale, come eccezionali rispetto al principio base secondo cui il materiale deve essere utilizzato “direttamente”; al massimo, quindi, deve trattarsi di minimi interventi, che non mutino in alcun modo la struttura, la sostanza e la qualità del prodotto stesso, e, comunque, siano “normali” rispetto al processo di produzione industriale ove avviene il riutilizzo, soprattutto nel senso che non devono consistere in un trattamento tipico di un rifiuto, tanto meno se effettuato, al fine di consentirne il recupero.

Infine, a livello tecnico, si è rilevato che quanto disposto dall’allegato 3 “non potrà risultare in contrasto con quanto previsto dai BREF di settore e dalle norme UNI che definiscono i materiali che i sottoprodotti vanno a sostituire e i prodotti che da essi possono essere ottenuti ed in particolare a quanto previsto dalla Circolare 15 luglio 2005, n.5205.

Né d'altra parte quanto in esso contenuto potrà confliggere con le altre definizioni previste dalla parte IV del D.Lgs. 152/06, …, in particolare con quelle che definiscono i trattamenti di recupero e smaltimento di rifiuti previsti dagli allegati B e C, i quali certamente non potranno essere qualificati come trattamenti rientranti nella normale pratica industriale…”7.

Ed è appena il caso di evidenziare, in conclusione, che ogni diversità del regolamento amministrativo in esame rispetto alla disposizione base della legge (art. 184-bis D. Lgs 152/06) comporta la possibilità per il giudice italiano di disapplicare direttamente la norma regolamentare illegittima. Così come le difformità delle sopra citate norme di legge italiane su terre e rocce da scavo rispetto alla normativa comunitaria possono essere fatte valere con ricorso alla Corte costituzionale8 ed alla Corte di giustizia europea.

 

 

1 Ci riferiamo al nostro Terre da scavo ancora in bilico fra rifiuti e sottoprodotti, in questa Rivista 2012, n. 5, pag. 54 e segg.

2 Cass. pen., sez. 3, c.c. 26 ottobre 2006, n. 39369, Scarinci

3 Cass. pen. sez. 3, 18 giugno 2009, n. 39728, Gioffrè; Da ultimo, cfr. Id, 12 gennaio 2011, n. 16705, Marietta, secondo cui “il fresato d'asfalto proveniente dal disfacimento del manto stradale rientra nella definizione del materiale proveniente da demolizioni e costruzioni, incluso nel novero dei rifiuti speciali non pericolosi”

4 SANNA, Sottoprodotti e terre e rocce da scavo, di prossima pubblicazione in www.Industrieambiente.it

5 Cass. pen., sez. 3, 17 aprile 2012, n. 17453, in www.lexambiente.it

6 Nello stesso senso, cfr Cass. pen, sez. 3, 6 ottobre 2011, n. 45023, Negrini, secondo cui “già solo i procedimenti di stabilizzazione e frantumazione cui vengono sottoposti i materiali (nella specie, inerti da demolizione) si pongono in contrasto con la definizione di sottoprodotto, perché per poter parlare di sottoprodotto, il materiale da riutilizzare non deve necessitare di alcuna trasformazione preliminare”; anche se è doveroso precisare che, nel caso di specie, la Corte si riferiva alla precedente definizione di “sottoprodotto” (ove non era contenuta l’eccezione relativa ai trattamenti rientranti nella normale pratica industriale).

7 SANNA, op., loc., cit.

8 Corte costituzionale 28 gennaio 2010 n. 28