I PRINCIPI FONDAMENTALI CONTENUTI NEL TESTO UNICO DELL’EDILIZIA E LE PRONUNCE DI INCOSTITUZIONALITA (commento della sentenza n. 2147/2012 del TAR Lombardia, MI)

di Massimo GRISANTI

Con sentenza n. 2147 depositata il 27 luglio 2012 il TAR Lombardia, MI (Pres. De Zotti, Est. Zucchini) ha statuito che un permesso di costruire rilasciato prima del deposito della sentenza di incostituzionalità di una legge regionale da parte della giudice delle Leggi per violazione dei principi fondamentali contenuti nella definizione degli interventi edilizi ex art. 3 del D. Lgs. n. 378/2001 mantiene validità.

 

Il Giudice amministrativo ha richiamato, a fondamento della propria decisione, la pronuncia del Consiglio di Stato in adunanza plenaria n. 8/1963.

 

Infine ha dichiarato non meritevole di annullamento il permesso di costruire che non rispetta i limiti di distanza legale e norme costruttive di sicurezza purché in sede di esecuzione del titolo venga ricondotto a conformità.

 

La pronuncia, a mio sommesso avviso, non è condivisile per i seguenti motivi.

 

*

 

Sulla violazione dei principi fondamentali contenuti nel Testo Unico dell’Edilizia.

 

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2 del 7/4/2008 adottata in Adunanza Plenaria, ha ben delineato i rapporti tra le leggi regionali e le disposizioni del Testo Unico.

 

Chiamato ad esprimersi in ordine alle misure di salvaguardia da applicarsi in pendenza dell’approvazione degli strumenti urbanistici statuì:

“(…) Ora, nel momento in cui il legislatore nazionale è intervenuto nella materia, assegnando alle norme contenute nel t.u. dell’edilizia volte al riordino della stessa il carattere di norme di principio (e tale, per le ragioni anzidette, appare la norma di cui si discute), devono ritenersi, per ciò stesso, abrogate le norme delle regioni a statuto ordinario con esse confliggenti e, così - per ciò che attiene alla presente fattispecie - la disciplina di fonte regionale di cui si è detto per contrasto con i principi contenuti nel ripetuto art. 12, comma 3, del t.u. n. 380/2001; ciò in quanto, fino all’adeguamento delle Regioni a statuto ordinario alle norme di principio recate nel testo unico, le norme aventi tale portata in questo contenute sono destinate a prevalere sulle prime (mentre non è questa la sede per argomentare in ordine alle problematiche che potrebbero porre norme regionali, di portata difforme rispetto alla norma del testo unico qui in esame, entrate in vigore successivamente rispetto ad essa).

Tali conclusioni sono corroborate anche dalla citata legge n. 131/2003, che, all’art. 1, comma 2, recante la disciplina transitoria relativa alle normative regionali vigenti in materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale, prevede l’ultrattività di dette normative regionali solo fino al sopravvenire delle norme statati in proposito (con salvezza, naturalmente, degli effetti di eventuali pronunce della Corte Costituzionale); poiché, peraltro, anche la determinazione di principi fondamentali nelle materie di legislazione regionale concorrente risulta “riservata alla legislazione dello Stato”, può coerentemente concludersi nel senso della cedevolezza di tutte le norme regionali di fronte alle norme di principio che siano fissate dallo Stato nella stessa materia. (…)”.

 

Orbene, per comprendere in appieno ciò che ha detto (e ciò che ha fatto intravedere, ma non ha detto) il Consiglio di Stato occorre riportare per extenso le disposizioni di interesse dell’art. 3 del D. Lgs. n. 378/2001:

“Art. 2 (L) - Competenze delle regioni e degli enti locali

1. Le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico.

2. (omissis)

3. Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi.

4. (omissis)

5. (omissis)”.

 

Per lo scrivente è del tutto evidente che l’esercizio della funzione legislativa da parte della Regione è valido solamente se vengono rispettati i principi fondamentali. Ma ancor più evidente è che fino a quando non sussista nel concreto l’adeguamento normativo da parte delle Regioni continuano ad applicarsi le disposizioni del Testo unico.

 

Ne consegue che non è sufficiente l’esercizio della funzione legislativa da parte delle Regioni per ottenere quell’effetto ghigliottina professato da taluni costituzionalisti nei rapporti tra Stato e Regioni in materie concorrenti, ma occorre un riconoscimento dell’adeguamento normativo.

 

Tale riconoscimento può essere di due tipi:

  • a mezzo legge statale di “approvazione” della legge regionale;

  • a mezzo di sentenza del Giudice delle Leggi chiamato ad esprimersi sulla legittimità costituzionale delle disposizioni regionali.

 

In sostanza, almeno nell’edilizia, ciò che le Regioni pensavano essere uscito dalla porta è rientrato dalla finestra (controllo statale sulla produzione normativa regionale) attraverso una disposizione di legge (art. 2 del D. Lgs. n. 38/2001) che è ascrivibile alla materia dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117 Cost.) la cui competenza legislativa esclusiva è dello Stato, in quanto funzionale ad assicurare eguale trattamento di tutti i Cittadini della Nazione (artt. 3, 9, 25, 97 Cost.).

 

In quest’ottica la dichiarazione di incostituzionalità delle leggi regionali che contrastano con le norme di principio contenute nel Testo Unico dell’edilizia non hanno quell’effetto evidenziato dal TAR Lombardia (che ha richiamato la sentenza Consiglio di Stato, n. 8/1963), ma fanno esclusivamente chiarezza sulla disciplina urbanistico-edilizia ancora vigente e con la quale continua a contrastare il provvedimento amministrativo, fatti salvi eventuali profili di responsabilità in capo al legislatore regionale per non aver fatto corretto esercizio della funzione legislativa.

 

*

 

Sul mantenimento del provvedimento amministrativo che contrasta con le distanze legali.

 

Che dire !

 

Nonostante che il legislatore statale abbia previsto ope legis la tolleranza (in ogni caso nei limiti del 2% delle misure autorizzate) in fase esecutiva del progetto approvato, il Giudice Amministrativo ha introdotto ex abrupto – arrogandosi poteri che non gli spettano – una surrettizia sanatoria dell’atto amministrativo illegittimo (tipizzata dal legislatore all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001).

Con obbligo per l’amministrazione comunale non di ordinare la modifica del progetto (che paradossalmente può restare anche lo stesso), ma di controllare che l’opera venga eseguita diversamente da quella progettata ed approvata e così come ordinato dal Giudice, a cui dovrà conseguire – ovviamente, seguendo il percorso (il)logico del Giudice – un certificato di agibilità per un manufatto non conforme a quello approvato.

 

Penso che sia meglio fermarsi qui, riportando in appendice la sentenza in commento.

 

 

 

Scritto il 8 agosto 2012

 

 

APPENDICE

 

N. 02147/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00906/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 906 del 2012, proposto da:

Fernanda Bassi, Fabio Bordoni ed Elio Alberto Bordoni, rappresentati e difesi dagli avv.ti Monica Cabello ed Alessandra Berra, con domicilio eletto presso quest’ultima in Milano, via Pinerolo, 72;

contro

Comune di Sondrio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Angelo Ravizzoli e Rossana Colombo, con domicilio eletto presso il loro studio in Milano, piazza Grandi, 4;

nei confronti di

Luciano Scherini, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maurizio Carrara, Paride Luzzi e Roberta Palotti, con domicilio eletto presso quest’ultima in Milano, viale Lombardia, 25;

per l'annullamento

del permesso di costruire n. 29/P del 21 novembre 2011 del Comune di Sondrio;

di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e conseguente, ivi compreso il parere favorevole espresso sul progetto de quo dalla Commissione per il Paesaggio ed assunto nella seduta del 29/3/2011.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Sondrio e di Luciano Scherini;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2012 il dott. Giovanni Zucchini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in epigrafe, gli esponenti impugnano il permesso di costruire n. 29/P del 21.11.2011, rilasciato dal Comune di Sondrio al sig. Luciano Scherini per un intervento di ristrutturazione, mediante demolizione e ricostruzione, di un complesso edilizio sito in Frazione Ponchiera e posto al confine del fondo dei ricorrenti.

La ristrutturazione avverrà, come ammesso dallo stesso sig. Scherini nella propria domanda di titolo edilizio, con modifica della sagoma dell’edificio esistente.

Questi, in sintesi, i motivi esposti in ricorso, contenente anche istanza di sospensiva:

1) violazione dell’art. 3 del DPR 380/2001 e dell’art. 27, lettera d) della LR 12/2005 come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale 23.11.2011, n. 309, violazione dell’art. 9 delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Sondrio, nonché dell’art. 5 del regolamento edilizio, eccesso di potere per travisamento, contraddittorietà, illogicità manifesta;

2) violazione dell’art. 3 del DPR 380/2001 e dell’art. 27, lettera d) della LR 12/2005 come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale 23.11.2011, n. 309, violazione dell’art. 9 delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Sondrio, nonché dell’art. 5 del regolamento edilizio, eccesso di potere per inidoneità istruttoria, genericità ed indeterminatezza progettuale, travisamento, contraddittorietà ed illogicità manifesta;

3) violazione del DM 1.2.1986 n. 104500, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento, contraddittorietà ed illogicità manifesta;

4) violazione degli articoli 8 e 9 delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Sondrio, eccesso di potere per difetto di istruttoria, genericità ed indeterminatezza progettuale, contraddittorietà ed illogicità manifesta;

5) violazione dell’art. 9 delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Sondrio, nonché dell’art. 873 del codice civile, eccesso di potere per difetto di istruttoria.

Si costituiva in giudizio dapprima il solo sig. Scherini, insistendo per la reiezione del gravame.

In esito all’udienza in camera di consiglio del 10.5.2012, la domanda di sospensiva era accolta con ordinanza n. 664/2012.

Si costituiva successivamente in giudizio il Comune di Sondrio, concludendo anch’esso per il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 12.7.2012, la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Ai fini dell’esatta comprensione e decisione del primo mezzo di ricorso, occorre prendere le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale 23.11.2011, n. 309 (cfr. doc. 8 dei ricorrenti), con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di taluni articoli della legge della Regione Lombardia n. 12/2005 sul governo del territorio e segnatamente degli articoli 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo e dell’art. 103, oltre che dell’art. 22 della legge regionale 7/2010, laddove gli stessi annoveravano nel concetto di “ristrutturazione edilizia”, gli interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici, senza rispetto del limite della sagoma.

In altri termini, le norme dichiarate incostituzionali consentivano, almeno in Lombardia, di qualificare come “ristrutturazione edilizia” anche le ipotesi di demolizione e ricostruzione di edifici, senza rispettare la sagoma dello stabile preesistente poi demolito.

La Corte ha ritenuto che le definizioni delle categorie degli interventi edilizi, contenute nella legge statale ed in particolare nell’art. 3 del DPR 380/2001 (Testo Unico sull’edilizia), costituiscono principi fondamentali della legislazione statale in materia di “governo del territorio” (materia riservata dall’art. 117, comma 3°, della Costituzione, alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni), che devono pertanto essere rispettati da parte delle Regioni nell’esercizio della loro funzione legislativa.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 309/2011 ha immediatamente posto il problema della sua applicazione ai rapporti giuridici pendenti al momento della sua pubblicazione (23.11.2011), posto che, per espressa disposizione dell’art. 136 della Costituzione, le norme dichiarate incostituzionali cessano <<di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione>>.

Con riguardo agli effetti delle sentenze della Corte Costituzionale sui titoli edilizi o – meglio – sui rapporti giuridici nascenti dai titoli stessi (permesso di costruire, oppure DIA o SCIA, anche se questi ultimi non costituiscono provvedimenti amministrativi), è opinione diffusa, anche in dottrina, che le sentenze come quella di cui è causa possano esplicare effetti anche su titoli già rilasciati, purché l’attività edilizia sia ancora in corso e non siano ultimati i lavori assentiti, trattandosi di rapporti giuridici pendenti e non ancora esauriti o definiti (giacché solo in tale ultima ipotesi le sentenze del Giudice delle leggi non potrebbero trovare applicazione).

In Lombardia, il legislatore regionale ha ritenuto di dettare una specifica disciplina sulla sorte dei titoli edilizi, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 309/2011, attraverso l’art. 17 della legge regionale 18.4.2012, n. 7 (sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia

20.4.2012).

Ai sensi del comma 1° del citato art. 17, <<In relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza della Corte Costituzionale del 21 novembre 2011, n. 309, al fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati, i permessi di costruire rilasciati alla data del 30 novembre 2011 nonché le denunce di inizio attività esecutive alla medesima data devono considerarsi titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012>>.

Nella presente fattispecie, la domanda di permesso di costruire indica espressamente che l’intervento è di ristrutturazione avverrà con modifica della sagoma (cfr. doc. 4 dei ricorrenti), ed il titolo edilizio è stato rilasciato il 21.11.2011, vale a dire due giorni prima del deposito della sentenza n. 309/2011.

Ciò premesso, si rimarca come nel primo mezzo di gravame si denuncia l’illegittimità del titolo edilizio, in quanto con lo stesso viene consentita una ristrutturazione senza limite di sagoma, in contrasto con la citata sentenza della Corte Costituzionale.

La difesa del controinteressato, dal canto suo, ha invocato a proprio favore l’art. 17, comma 1°, della legge regionale 7/2012, ritenuto applicabile al caso di specie, visto che il permesso di cui è causa è stato rilasciato prima del 30.11.2011.

Gli esponenti, di conseguenza, sia nella discussione orale all’udienza in camera di consiglio sia nelle successive memorie difensive, hanno chiesto al Tribunale di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 succitato, per violazione dell’art. 136 della Costituzione, avendo la norma regionale del 2012 di fatto prorogato gli effetti di una serie di norme dichiarate invece incostituzionali.

Il Collegio, nella propria ordinanza cautelare n. 664/2012, aveva ritenuto, seppure al termine di una cognizione sommaria, che la questione di costituzionalità dell’art. 17, comma 1°, fosse sia rilevante sia non manifestamente infondata, pur riservandosi un necessario

approfondimento in sede di merito.

Orbene, tale approfondimento, assolutamente indispensabile vista la complessità della questione, induce ora il Tribunale alla conclusione che la questione di costituzionalità sia però priva, nel caso di specie, del necessario requisito della rilevanza (si ricordi che, ai sensi dell’art. 23 della legge 11.3.1953, n. 87, la questione è rilevante <<qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale>>).

Infatti, il permesso di costruire di cui è causa (cfr. doc. 1 dei ricorrenti), è stato rilasciato il 21.11.2011, prima (anche se di due soli giorni, ma ciò non rileva), del deposito della sentenza della Corte Costituzionale n. 309 del 23.11.2011, quindi in vigenza della disciplina regionale poi dichiarata incostituzionale.

Il Comune di Sondrio, in altri termini, non ha dato certamente applicazione all’art. 17, comma 1°, né al momento del rilascio del titolo edilizio (non essendo allora ancora intervenuta la pronuncia della Corte), né successivamente, non risultando che l’Amministrazione, d’ufficio o su istanza di soggetti terzi, abbia mai adottato provvedimenti di esecuzione del citato art. 17 (come sarebbe avvenuto, ad esempio, se il Comune, a fronte di una diffida di soggetti interessati, si fosse rifiutato di inibire l’intervento edilizio richiamando la norma dell’art. 17).

La questione di costituzionalità, pertanto, seppure appare al Collegio non manifestamente infondata (non essendo possibile per il legislatore ordinario assicurare una sorta di ulteriore vigenza di norme dichiarate incostituzionali; cfr. fra le tante, Corte Costituzionale, sentenze n. 350/2010 e n. 223/1983); non può però reputarsi rilevante, visto che la valutazione della legittimità di un permesso di costruire rilasciato prima della sentenza della Corte, può – almeno nel caso di specie – prescindere dalla norma dell’art. 17 della LR 7/2012.

In conclusione, il primo mezzo di ricorso deve respingersi, avendo il Comune rilasciato il titolo in applicazione di norme solo successivamente dichiarate incostituzionali e dovendosi escludere che la declaratoria di incostituzionalità di una norma di legge renda di per sé nulli i provvedimenti amministrativi adottati in base ad essa (così la giurisprudenza amministrativa, a partire dalla nota decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 8.4.1963, n. 8), potendo semmai essere esercitato il potere di autotutela amministrativa da parte del Comune di Sondrio sul permesso di costruire di cui è causa.

2. Il secondo mezzo di gravame deve anch’esso essere respinto, per le ragioni già sopra esposte, visto che nel medesimo è lamentata ancora la violazione della sentenza della Corte Costituzionale 309/2011, poiché l’intervento edilizio di cui è causa determinerà un aumento dell’altezza e quindi una modifica della sagoma dell’edificio.

3. Nel terzo motivo, è denunciata la presunta violazione del DM 1.2.1986, n. 104500, recante norme per la sicurezza antincendio dei parcheggi che, all’art. 3.7.2 delle specifiche tecniche allegate, impone per le rampe di accesso una pendenza non superiore al 20%, mentre nel progetto di cui è causa, la pendenza della rampa di collegamento del piano autorimesse alla via pubblica sarebbe pari al 20,58% (cfr. la tavola 4 del progetto, doc. 10 dei ricorrenti, nella quale la pendenza della rampa, per una lunghezza di 19,5 metri, è in effetti indicata nella misura del 20,58%).

La censura appare però infondata, in quanto lo scostamento, seppure minimale (0,58%), dalla misura prevista dalla norma, dovrà essere corretto in sede di esecuzione dell’opera, con conseguente obbligo di vigilanza in tal senso dell’Amministrazione comunale; in altri termini la questione della corretta pendenza della rampa di accesso – sempre che il valore del 20,58% non sia il frutto di un mero errore di calcolo, come adombrato in ricorso – attiene alla fase di realizzazione dell’opera ma non inficia di per sé la legittimità del titolo edilizio.

4. Nel quarto motivo, ancora relativo alla rampa di accesso di cui sopra, si sostiene che quest’ultima, per le proprie caratteristiche costruttive, dovrà necessariamente qualificarsi come “nuova costruzione” e come tale si porrebbe in contrasto con l’art. 9 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA), del Piano di Governo del Territorio (PGT) di Sondrio, che per la zona di cui è causa (Taf – Tessuti di antica formazione), vieta appunto gli interventi qualificabili come “nuova costruzione”.

La censura non è però meritevole di accoglimento, visto che la struttura della rampa si inserisce nel più ampio progetto edilizio presentato dal sig. Scherini ed assentito dal Comune, quale “ristrutturazione edilizia”, seppure nel significato attribuito alla stessa dalla LR 12/2005 prima dell’intervento della Corte Costituzionale.

5. Il quinto ed ultimo motivo, sempre riferito alla rampa di accesso, lamenta come quest’ultima si collochi ad una distanza di 2,9 metri dal

fabbricato dei ricorrenti, in violazione quindi della distanza minima di tre metri fra costruzioni, prevista dall’art. 873 del codice civile.

Parimenti, si continua, sarebbe violata anche la distanza minima dal confine, fissata dall’art. 9 delle NTA in 1,5 metri, mentre dal progetto

risulterebbe una distanza di 1,4 metri.

Sulla questione, si ritiene di richiamare le osservazioni del precedente punto 3: gli scostamenti – invero minimali – risultanti dal progetto, dovranno essere corretti in sede di esecuzione dell’intervento edilizio, per assicurare la distanza rispettivamente di tre metri dal fabbricato e di 1,5 metri dal confine.

Anche il quinto motivo deve pertanto respingersi.

6. Le spese possono essere compensate, attesa la novità e la complessità delle questioni trattate nel presente ricorso, oltre al mutato orientamento del Collegio rispetto alla fase cautelare.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Giovanni Zucchini, Primo Referendario, Estensore

Concetta Plantamura, Primo Referendario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/07/2012