Governo del territorio e tutela del paesaggio  tra Cedu, legislazione statale e legislazione regionale

di Alberto ROCCELLA

 

Consiglio Superiore della Magistratura

Incontro di studio su

I crimini in danno dell’ambiente e del territorio

Roma, 2-4 luglio 2012

 

Governo del territorio e tutela del paesaggio

tra Cedu, legislazione statale e legislazione regionale

di Alberto Roccella

 

 

Sommario: 1. I rapporti tra normativa statale e legislazione regionale. – 2. La potestà legislativa di Stato e Regioni nel nuovo art. 117 Cost. – 3. La nuova ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni. – 4. La definizione delle materie. – 5. L’individuazione dei princìpi fondamentali. – 6. Governo del territorio, autonomia regionale e paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 309 del 2011. – 7. Pianificazione urbanistica e pianificazione paesaggistica.

 

1. I rapporti tra normativa statale e legislazione regionale.

 

Il tema di questa relazione impone di affrontare diversi ordini di problemi: il ruolo delle leggi regionali, i rapporti tra leggi regionali e leggi statali, e infine i rapporti tra le materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio.

Prima ancora di esaminare i recenti cambiamenti della legislazione ordinaria, e soprattutto di quella statale, appare obbligato riferirsi al quadro costituzionale tenendo conto degli elementi di continuità e di innovazione introdotti nel 2001 dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione1.

La giurisprudenza della Corte costituzionale aveva già chiarito in precedenza che le leggi regionali sono leggi in senso tecnico, e non semplici regolamenti amministrativi. Esse quindi non sono suscettibili di essere disapplicate dalle autorità giurisdizionali2, ai sensi della legge del 1865 sull’abolizione del contenzioso amministrativo3.

Solo nei rapporti tra l’ordinamento nazionale e quello comunitario, ora europeo, a seguito della sentenza della Corte costituzionale nota come sentenza Granital4, l’autorità giudiziaria ha il potere, e anzi il dovere, di non applicare, per la soluzione della controversia, la fonte normativa nazionale contrastante con il diritto europeo immediatamente applicabile. La sentenza Granital segnò l’adeguamento dell’ordinamento italiano all’orientamento espresso negli anni precedenti dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con la sentenza Simmenthal5, che aveva affermato l’obbligo per le autorità giurisdizionali di far prevalere il diritto comunitario immediatamente applicabile sul diritto interno, e poi con la sentenza Fratelli Costanzo, nella quale si era affermata la rilevanza degli effetti delle direttive comunitarie anche nei confronti delle autorità amministrative6. Il principio è ormai consolidato: il giudice ordinario al quale si presenti un caso regolato prima da un regolamento comunitario e poi da una legge interna, dovrà cercare fra le possibili interpretazioni del testo normativo prodotto dagli organi nazionale quella conforme alle prescrizioni della Comunità. Nel caso, però, in cui si presenti una irriducibile incompatibilità fra la norma interna e quella comunitaria direttamente applicabile, quest’ultima prevale in ogni caso. Questo principio, affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza Granital con riferimento alla legislazione ordinaria statale, vale senza dubbio anche con riferimento alla legislazione regionale, la quale è anch’essa suscettibile di disapplicazione in caso di contrasto con regolamenti europei.

La differenza rispetto al regime interno delle leggi regionali è netta. La violazione dei limiti costituzionali delle potestà legislative regionali, in particolare la violazione delle regole costituzionali sul riparto di potestà legislativa tra Stato e Regioni, non legittima né i singoli operatori, né le autorità amministrative, né infine le autorità giurisdizionali a disapplicare le leggi regionali, ma comporta sempre un problema di legittimità costituzionale, soggetta in via esclusiva alla giurisdizione della Corte costituzionale. Il regime interno delle leggi regionali è dunque analogo a quello che la Corte costituzionale aveva affermato, nei rapporti fra le fonti interne e quelle comunitarie, con la sentenza Icic del 19757, poi superata appunto dalla sentenza Granital: in quella sentenza la Corte costituzionale aveva ravvisato un problema di legittimità costituzionale delle fonti interne contrastanti col diritto comunitario, per violazione dell’art. 11 della Costituzione.

Naturalmente vale anche nei rapporti delle leggi regionali con quelle statali la regola generale che presiede a tutte le antinomie normative: in caso di contrasto di una disposizione di legge regionale con una disposizione che costituisca limite costituzionale alla potestà legislativa regionale, bisogna in primo luogo accertare se sia possibile risolvere il conflitto in via interpretativa; solo in caso negativo, si potrà (e dovrà) sollevare la questione di legittimità costituzionale della disposizione di legge regionale.

Questi principi, nei loro aspetti generali, appaiono ormai consolidati nella giurisprudenza, compresa quella della Cassazione. Se ne trova una limpida enunciazione in una recente sentenza della Cassazione, proprio in tema di reati urbanistici: «Nel caso di apparente incompatibilità tra una disposizione di legge statale che richiede un certo titolo abilitativo per un intervento edilizio e una norma di legge regionale che sembri adottare una diversa soluzione, al giudice penale è vietata la disapplicazione della disciplina regionale che appaia in contrasto con una legge dello Stato. Lo stesso giudice, però, per evitare possibili questioni di legittimità costituzionale deve anzitutto risolvere in chiave interpretativa l’apparente contrasto tra norme»8.

Vale, dunque, il principio della interpretazione conforme a Costituzione9, un principio di cui per la verità nella giurisprudenza amministrativa sembra di poter riscontrare qualche abuso10. In effetti l’applicazione non rigorosa del principio si presta a costituire una facile scorciatoia che evita il giudizio di fronte alla Corte costituzionale e assicura una sorta di giustizia sostanziale e accelerata, ma giuridicamente inaccettabile, del caso concreto.

È opportuno, infine, notare che la ripartizione di potestà legislativa tra Stato e Regioni non è questione esclusiva dei soggetti istituzionali interessati, ma ha un rilievo generale. Un limite al giudizio della Corte costituzionale su questo riparto rimane, anche dopo la riforma costituzionale del 2001, nella nota asimmetria del giudizio in via principale sulle leggi. La Corte costituzionale, sulla base del nuovo testo dell’art. 127 Cost.11, ha confermato che le Regioni possono far valere il contrasto di disposizioni di legge statale con norme costituzionali diverse da quelle attributive di competenza solo ove esso si risolva in una lesione di sfere di competenza regionali, mentre sono inammissibili motivi di ricorso diversi12. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, invece, può impugnare le leggi regionali deducendo qualsiasi vizio di costituzionalità. Ma questa differenza non riguarda il giudizio incidentale di legittimità costituzionale il quale non è condizionato dalla mancata impugnazione in via principale e non è soggetto a limitazioni: il giudice a quo può sollevare questioni di legittimità costituzionale senza limiti quanto alle censure deducibili, e dunque anche per violazione del riparto costituzionale di potestà legislativa tra Stato e Regioni. Le questioni di legittimità costituzionale sollevabili in via incidentale possono avere per oggetto, dunque, non soltanto le leggi regionali (per qualsiasi vizio) ma anche le leggi statali, per lesione dell’autonomia legislativa regionale.

 

 

2. La potestà legislativa di Stato e Regioni nel nuovo art. 117 Cost.

 

La riforma costituzionale del 2001 ha introdotto profonde novità sulla ripartizione di potestà legislativa tra Stato e Regioni e sui limiti delle potestà legislative di entrambi i soggetti.

Il nuovo testo del primo comma dell’art. 117 Cost.13 è molto diverso dal testo originario14 e comporta due grandi novità. In primo luogo la potestà legislativa deve intendersi divisa tra Stato e Regioni: il nuovo art. 117 integra l’art. 70 Cost. che, attribuendo alle Camere la funzione legislativa15, esprimeva il principio di separazione dei poteri nella versione più tradizionale, come distinzione rispetto al potere esecutivo e al potere giudiziario. Il nuovo testo dell’art. 117, primo comma, Cost. in combinazione con l’art. 70 esprime la divisione del potere legislativo anche su base territoriale. Il potere legislativo, distinto dagli altri due poteri classici, è a sua volta diviso tra Stato e Regioni, cosicché le Camere sono titolari del potere legislativo solo per la parte in cui questo potere spetta allo Stato, e non per la parte in cui esso spetta alle Regioni. In secondo luogo le fonti normative interne, sia statali che regionali, sono state subordinate ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, con il superamento della tradizionale concezione dualistica degli impegni internazionali. Gli statuti di quattro Regioni speciali prevedevano già il limite del rispetto degli obblighi internazionali per la potestà legislativa primaria16 e la Corte costituzionale aveva dato rilievo a questo limite17. Ma per le leggi statali si tratta di una vera novità, giacché in passato si riteneva che la violazione degli impegni internazionali da parte del legislatore statale rilevasse solo nei rapporti internazionali, mentre invece ora rileva anche sul piano interno: fermo restando quanto acquisito con la sentenza Granital, i vincoli derivanti dell’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali hanno assunto il ruolo di ulteriore parametro per il giudizio di legittimità costituzionale delle fonti normative interne.

La Corte costituzionale ha fatto uso del nuovo testo dell’art. 117, primo comma, Cost., innanzi tutto per leggi regionali18. La rilevanza della novità costituzionale è emersa poi ancora più chiaramente con le due note sentenze della Corte costituzionale del 2007 in tema di indennità di espropriazione per le aree edificabili e di risarcimento del danno da occupazione acquisitiva19. Queste sentenze hanno chiarito il ruolo nell’ordinamento italiano della Cedu, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, risolvendo definitivamente le contrastanti ricostruzioni operate dalle autorità giurisdizionali che si erano occupate del problema20, con una soluzione che deve ritenersi pienamente valida anche dopo la ratifica e l’entrata in vigore del trattato di Lisbona21. Le sentenze hanno fatto segnare una forte integrazione dell’ordinamento italiano nel sistema costituzionale europeo fondato sulla Cedu. D’altra parte, per quanto riguarda i rapporti con l’ordinamento europeo, la soluzione affermata dalla Corte non è in contrasto con la sentenza Granital, ma rafforza il primato del diritto europeo poiché attribuisce al Governo uno strumento aggiuntivo, il ricorso in via principale alla Corte costituzionale contro le disposizioni di legge regionale, che consente di espungere tali disposizioni dall’ordinamento prima ancora che sorga un caso concreto in cui disapplicarle. Il rimedio, inoltre, vale ad assicurare la conformità della legislazione regionale anche al diritto europeo non immediatamente applicabile; ugualmente è diventato possibile, ove la questione venga sollevata in via incidentale, assicurare la conformità della legislazione statale al diritto europeo non immediatamente applicabile22. Per quanto riguarda invece i rapporti con la Cedu, le sentenze della Corte mostrano l’importanza della Convenzione europea in un ambito, quello della tutela della proprietà di fronte ai poteri pubblici di governo del territorio, che in precedenza era stato ripetutamente affrontato dalla Corte costituzionale, ma con soluzioni che essa, a fronte della giurisprudenza della Corte europea, ha ora superato.

L’importante ruolo della Cedu nell’evoluzione dell’ordinamento italiano è stato ben colto dalla Corte di Cassazione che non solo ha pubblicato il rapporto annuale degli orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo per il 2011, ma, attraverso il suo ufficio del massimario e del ruolo, ha dedicato anche una pregevole relazione ai rapporti tra la propria giurisprudenza e quella della Corte EDU nel 201123. Inoltre il Presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, ha dedicato ampio spazio al ruolo della Cedu nella sua Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 201124.

L’importanza del ruolo della Cedu nel campo specifico dei poteri di governo del territorio è confermata da due decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di confisca di terreni abusivamente lottizzati, a sensi dell’art. 44, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato col d.P.R. 380/200125. Alla seconda di queste decisioni il legislatore statale italiano ha dato seguito con una disposizione nascosta in un comma inserito in un decreto-legge in sede di conversione, ma che costituisce un’importante integrazione, sia pure non testuale, dell’art. 44 del predetto testo unico26. Ma quelle decisioni hanno avuto un seguito anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, investita dalla Corte d’Appello di Bari della questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 3, del predetto testo unico, «nella parte in cui impone al giudice penale, in presenza di accertata lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei terreni e delle opere abusivamente costruite anche a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti», ha deciso per l’inammissibilità della questione. A tal fine la Corte ha osservato che la rimettente, pur postulando che l’interpretazione dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 debba mutare a seguito della sopravvenuta giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non aveva tratto da ciò alcuna conseguenza nell’esercizio dei propri poteri interpretativi, pur a fronte di una formulazione letterale della disposizione impugnata che, in sé, non appare precludere un siffatto tentativo. La Corte costituzionale ha confermato che, in presenza di un apparente contrasto fra disposizioni legislative interne ed una disposizione della CEDU, anche quale interpretata dalla Corte di Strasburgo, può porsi un dubbio di costituzionalità, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost., solo se non si possa anzitutto risolvere il problema in via interpretativa. Infatti al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, «entro i limiti nei quali ciò è permesso dai testi delle norme» e qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, egli deve investire la Corte delle relative questioni di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.27. Spetta, pertanto, agli organi giurisdizionali comuni l’eventuale opera interpretativa dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 che sia resa effettivamente necessaria dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. Solo ove l’adeguamento interpretativo, che appaia necessitato, risulti impossibile o l’eventuale diritto vivente che si formi in materia faccia sorgere dubbi sulla sua legittimità costituzionale, la Corte potrà essere chiamata ad affrontare il problema della asserita incostituzionalità della disposizione di legge28.

Questa giurisprudenza ha esercitato, a cascata, la sua influenza anche sulla giurisprudenza della Cassazione penale in tema di elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva, ai fini della confisca29. A seguito della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di quella della Corte costituzionale, la Cassazione penale ha modificato il proprio orientamento30 e ha affermato (anche in sede di decisione di ricorsi avverso provvedimenti cautelari di sequestro preventivo) che occorre ravvisare almeno una condotta colposa in capo al terzo acquirente per procedere alla confisca in caso di lottizzazione abusiva. La confisca conseguente a lottizzazione abusiva deve, infatti, essere considerata una pena e pertanto presuppone necessariamente l’esistenza di un elemento soggettivo di responsabilità nella condotta del partecipante alla lottizzazione che sia destinatario della confisca, per cui l’applicazione della confisca in danno di soggetto di cui non sia stata accertata una condotta dolosa o colposa di partecipazione alla lottizzazione abusiva violerebbe l’art. 7 della Cedu e l’art. 1 del primo protocollo addizionale sulla tutela della proprietà. L’acquirente può essere considerato terzo estraneo al reato di lottizzazione abusiva ove egli dimostri di aver agito in buona fede e cioè di non essersi reso conto di partecipare a un’operazione di illecita lottizzazione pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento dei doveri di informazione e conoscenza. Quando invece l’acquirente sia consapevole dell’abusività dell’intervento – o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza – la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore e in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria indivisibile diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio, mentre le posizioni sono separabili se risulta provata la malafede dei venditori nel senso che gli stessi, con l’inganno, hanno convinto gli acquirenti della perfetta legittimità delle opere31.

In un caso clamoroso, quello dei cosiddetti borghetti agricoli in Comune di Riano, la Cassazione ha però anche opportunamente precisato che l’obbligatoria allegazione all’atto di vendita del certificato di destinazione urbanistica dell’area interessata dimostrava che l’acquirente era in grado di sapere che la lottizzazione avveniva su un terreno agricolo ancora sottratto a programmi di urbanizzazione. Era infatti percepibile e concreta la predisposizione di una zona agricola in cui non era consentita l’edificazione; inoltre non esistevano opere di urbanizzazione, tanto che erano stati realizzati servizi comuni per lo smaltimento delle acque, una viabilità interna ai singoli agglomerati edificati e non erano state avanzate richieste al Comune per incrementare le opere di urbanizzazione. D’altra parte, la stessa individuazione degli insediamenti come borghetti agricoli e atelier d’artista avrebbe dovuto indurre sospetti negli acquirenti32. In altri casi la Cassazione ha chiarito che non può determinare una situazione di immediata evidenza di buona fede il solo fatto che il notaio abbia garantito la commerciabilità del bene o che l’istituto bancario del ricorrente abbia fatto eseguire una perizia per la concessione del mutuo, trattandosi di accertamenti aventi diverse finalità; del resto il ruolo di garanzia del notaio rogante è sminuito dalla possibilità di dispensa dalle verifiche espressamente conferibile dagli interessati. Anche la circostanza di essere stato subacquirente è stata considerata irrilevante, poiché l’utilizzazione delle modalità dell’acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di lottizzazione negoziale33

La Cassazione ha così escluso troppo facili scappatoie per la responsabilità dei terzi.

 

 

3. La nuova ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni.

 

La l.c. n. 3/2001 ha inoltre profondamente innovato le regole di ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni ordinarie. Vi sono ora tre tipi di potestà legislativa: quella esclusiva dello Stato, che si esercita nelle materie indicate nell’elenco, a carattere chiuso, del secondo comma dell’art. 117 Cost; la potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, che si esercita nelle materie indicate nell’elenco, sempre a carattere chiuso, del terzo comma dell’art. 117 Cost.; infine la potestà legislativa residuale delle Regioni, in tutte le materie diverse da quelle dei commi precedenti (art. 117, quarto comma, Cost.)34.

L’inversione del criterio di enumerazione delle materie, per cui sono ora enumerate le materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato e quelle di potestà legislativa concorrente, secondo un modello storicamente proprio degli ordinamenti federali, costituisce una novità che è stata subito colta Corte costituzionale che, nella sua prima sentenza sulla potestà legislativa regionale dopo la l.c. 3/2001, ha affermato: «La risposta al quesito, se la legge impugnata rispetti i limiti della competenza regionale, ovvero ecceda dai medesimi, deve oggi muovere - nel quadro del nuovo sistema di riparto della potestà legislativa risultante dalla riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione realizzata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 - non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell’intervento regionale, quanto, al contrario, dall'indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale»35. Ma una significativa novità deriva anche dal nuovo testo del terzo comma dell’art. 117, sulla potestà legislativa concorrente. Il vecchio testo dell’art. 117 si limitava ad attribuire potestà legislativa alle Regioni; il nuovo testo dell’art. 117, terzo comma, invece, ripartisce la potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni: il secondo periodo del terzo comma stabilisce infatti che nelle materie di legislazione concorrente la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato36. Anche su questo punto la Corte costituzionale ha dato un importante chiarimento, proprio nella stessa sentenza prima ricordata: «La nuova formulazione dell’art. 117, comma 3, rispetto a quella previgente dell’art. 117, comma 1, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina»37. Già prima della l.c. 3/2001 si era posto il problema della legittimità di norme statali di dettaglio nelle materie di competenza legislativa regionale; la Corte costituzionale aveva ammesso che le leggi statali recante nuovi princìpi fondamentali potessero contenere anche norme di dettaglio, a carattere suppletivo e cedevole, al fine di assicurare che l’inerzia regionale non vanificasse i nuovi princìpi fondamentali38; ma al di fuori di questo caso era prevalente la tesi che le leggi statali non potessero sostituirsi alle leggi regionali nel porre nuove norme di dettaglio. Si può ricordare, al proposito, proprio in materia di urbanistica, il caso di una disposizione di legge statale che aveva previsto un’ipotesi di conferenza di servizi nei procedimenti di autorizzazione all’insediamento di attività produttive con effetto di variante dello strumento urbanistico anche nel caso di dissenso della Regione39: la Corte costituzionale aveva riconosciuto che la disposizione era lesiva dell’autonomia regionale40.

Dopo la riforma costituzionale, nuove norme statali di dettaglio, anche regolamentari oltre che legislative, a carattere suppletivo e cedevole in materie di potestà legislativa concorrente possono essere ammesse, sulla base dell’art. 117, quinto comma, e dell’art. 120, secondo comma, Cost., se giustificate dall’esigenza del rispetto di obblighi comunitari41. Ma al di fuori di questi casi la potestà legislativa concorrente è regionale nel senso che essa è riservata alle Regioni.

La materia del governo del territorio ha dato ancora occasione alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla questione. Si può ricordare in particolare che quattro Regioni hanno impugnato l’art. 58, comma 2, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in l. 6 agosto 2008, n. 133. La Corte ha accolto i ricorsi regionali ravvisando nella ratio dell’art. 58 profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare degli enti, e tuttavia, avuto riguardo all’effetto di variante dello strumento urbanistico generale attribuito alla delibera che approva il piano di alienazione e valorizzazione, ha riconosciuto carattere prevalente alla materia del governo del territorio, rientrante nella competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni. La sentenza ha quindi affermato che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., nelle materie di potestà legislativa concorrente lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, mentre spetta alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio. La relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri e obiettivi, mentre è riservata alla seconda l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi42. La norma censurata, stabilendo l’effetto di variante dello strumento urbanistico generale ed escludendo la sottoposizione della variante a verifiche di conformità, con l’eccezione dei casi previsti nell’ultima parte della disposizione (la quale pure contempla percentuali volumetriche e termini specifici), aveva introdotto una disciplina non finalizzata a prescrivere criteri e obiettivi, ma tale da risolversi in una normativa dettagliata senza lasciare spazi d’intervento al legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il menzionato parametro costituzionale43.

La Corte ha così confermato la soluzione che essa aveva dato due anni prima a una questione analoga: essa aveva, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 98, comma 2, del c.d. Codice dei contratti pubblici44, secondo cui l’approvazione da parte del consiglio comunale dei progetti definitivi di infrastrutture di trasporto, viabilità e parcheggi costituiva variante urbanistica a tutti gli effetti45.

Più di recente, infine, la Corte costituzionale si è pronunciata sui limiti del potere legislativo dello Stato nella materia del governo del territorio decidendo il ricorso della Regione Toscana relativo alla disciplina posta dalla legge finanziaria 2010 mirante a ottenere le risorse necessarie a soddisfare le esigenze infrastrutturali e alloggiative delle Forze armate attraverso l’alienazione di immobili militari. A tal fine la legge aveva previsto la costituzione, d’intesa con i comuni, di uno o più fondi di investimento immobiliare e il trasferimento in loro favore degli immobili militari che potevano costituire oggetto di appositi accordi di programma di valorizzazione con i comuni di relativa ubicazione. La delibera del consiglio comunale di approvazione del protocollo d’intesa, corredato dello schema dell’accordo di programma, aveva efficacia, secondo la disposizione impugnata dalla Regione Toscana, di autorizzazione alle varianti allo strumento urbanistico generale, senza necessità di verifica di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni, fatta salva soltanto l’ipotesi di variazioni volumetriche superiori al trenta per cento dei volumi esistenti46. In seguito la disposizione era stata abrogata dal codice dell’ordinamento militare47; essa, tuttavia, era rimasta in vigore per circa nove mesi e, in mancanza della prova che non avesse ricevuto applicazione, la Corte costituzionale ha escluso la possibilità di una pronuncia di cessazione della materia del contendere. Nel merito la Corte ha ricordato la sua giurisprudenza, secondo cui, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., nelle materie di legislazione concorrente lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio. La relazione tra normativa di principio e di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi. La sentenza ha dunque confermato i princìpi che essa aveva affermato da ultimo, sempre con riferimento alla materia del governo del territorio e in relazione a una disposizione analoga, con la prima sentenza più sopra ricordata. Nel caso in esame la norma impugnata, stabilendo l’effetto di variante ed escludendo la necessità che la variante stessa dovesse essere sottoposta alle verifiche di conformità alla pianificazione sovraordinata (sia pure con l’eccezione ricordata), aveva introdotto una disciplina che non era finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolveva in una normativa dettagliata tale da non lasciare spazi d’intervento al legislatore regionale, con conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117, comma terzo, Cost.48

Si può ricordare, infine, che la Cassazione penale si è ripetutamente pronunciata sul regime urbanistico delle opere precarie, in particolare con riferimento all’installazione di roulottes, caravan e simili, anche nei campeggi, precisando la nozione di opere precarie non soggette a titolo edilizio49. Sul tema è intervenuto di recente, proprio al fine di superare la giurisprudenza della Cassazione penale, l’art. 3, comma 9, della l. 23 luglio 2009, n. 99, secondo cui le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento, anche permanenti, per l’esercizio dell’attività entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive all’aperto regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non costituiscono in alcun caso attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici. Le regioni Toscana e Lazio hanno impugnato la disposizione denunciando la lesione della loro autonomia legislativa in materia di governo del territorio. La Corte ha deciso la questione ricordando che secondo il testo unico in materia edilizia il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è dato da un duplice elemento: precarietà oggettiva dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso50. La sentenza ha poi riconosciuto che la disposizione impugnata, in quanto dettata per finalità di miglioramento dell’offerta turistica e in quanto concernente talune strutture turistico-ricettive, interseca la materia del turismo. Tuttavia, la disposizione è stata ricondotta alla materia del governo del territorio poiché il suo oggetto principale o nucleo essenziale è costituito dalla disciplina urbanistico-edilizia relativa all’installazione di mezzi mobili di pernottamento. La sentenza tuttavia ha ravvisato nella disposizione il carattere di norma di dettaglio, in quanto avente per oggetto una disciplina limitata a specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti. Alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri e obiettivi, mentre alla normativa di dettaglio è riservata l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi mentre la disposizione aveva introdotto una normativa dettagliata e specifica, senza lasciare alcuno spazio al legislatore regionale, con conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltrepassando essa i confini delle competenze che spettano al legislatore statale in materia di governo del territorio51.

La sentenza ha risolto un problema di ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni, ma si può osservare che essa ha anche aperto spazio a leggi regionali di contenuto analogo a quello della disposizione statale dichiarata illegittima. Essa, in effetti, ha già avuto seguito con l’art. 20 della l.r. Sardegna 8 novembre 2011, n. 21 che (sostituendo il comma 4 bis dell’art. 6 della l.r. 14 maggio 1984, n. 22, introdotto dalla l.r. 7 agosto 2009, n. 3) ha stabilito l’irrilevanza a fini urbanistici, edilizi e paesaggistici degli allestimenti mobili di pernottamento nelle aziende ricettive all’aria aperta: ma questa disciplina si è prestata a sua volta a essere impugnata davanti alla Corte costituzionale, per violazione di altre disposizioni costituzionali e dei limiti alla potestà legislativa regionale della Sardegna52

In definitiva la materia del governo del territorio ha dato ripetutamente occasione alla Corte per ribadire la limitazione della potestà legislativa statale nelle materie di legislazione concorrente ai soli princìpi fondamentali. Questa limitazione, del resto, è stata fatta valere in via politica dalle Regioni nel corso del 2009 ancora nella materia del governo del territorio in occasione della diffusione da parte del Governo di uno schema di decreto-legge, datato 19 marzo 2009, recante Misure urgenti per il rilancio dell’economia attraverso la ripresa delle attività imprenditoriali edili. Il Governo ha rinunciato all’emanazione del progettato decreto-legge, che recava normativa di dettaglio, e ha ripiegato su un’intesa in Conferenza unificata Stato-Regioni e Stato-città53, evitando così un sicuro contenzioso di costituzionalità in cui prevedibilmente sarebbe risultato soccombente.

 

 

4. La definizione delle materie.

 

La l.c. n. 3/2001 ha lasciato, tuttavia, aperti due problemi emersi già nella precedente esperienza di attuazione dell’ordinamento regionale. Il primo problema è quello della definizione dei confini delle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato e delle materie di competenza legislativa concorrente, un problema acuito dal fatto che adesso gli elenchi di materie sono due (e non più uno soltanto come nel vecchio testo dell’art. 117 Cost.), che le materie sono molto più numerose di prima e che la nuova formulazione delle materie si discosta da quella precedente. Il secondo problema è quello dell’individuazione dei princìpi fondamentali della legislazione statale che costituiscono limiti alla potestà legislativa regionale nelle materie di legislazione concorrente.

La legislazione ordinaria successiva alla riforma costituzionale non offre elementi significativi su nessuno dei due problemi. Per la definizione dei confini delle materie contributi importanti erano stati dati, nel periodo precedente, dai decreti legislativi con i quali erano state realizzate la seconda e la terza regionalizzazione, rispettivamente nel 197754 e nel 199855. I decreti di trasferimento delle funzioni amministrative avevano, infatti, dato alcune definizioni delle materie56 e queste definizioni erano rifluite anche sul piano della potestà legislativa. L’ordine logico risultava inverso rispetto a quello dell’art. 1118 Cost., che attribuiva alle Regioni le funzioni amministrative nelle stesse materie devolute alla loro potestà legislativa, e quindi dava priorità alla definizione delle materie ai fini della loro potestà legislativa, ma la Corte costituzionale aveva avallato questa operazione e in tante circostanze essa, chiamata a risolvere problemi di definizione delle materie di competenza regionale, aveva tratto argomento dalle definizioni date da quei decreti. Ma, come si è visto, i nuovi elenchi di materie sono diversi da quello precedente e non ci sono stati né nuovi trasferimenti di funzioni amministrative, né comunque interventi legislativi statali specificamente preordinati all’obiettivo di definire i confini delle materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato e delle materie di legislazione concorrente. L’onere di risolvere questo ordine di problemi è ricaduto integralmente sulla Corte costituzionale. Per quanto di interesse in relazione ai crimini ambientali, si ricorderà che il testo originario dell’art. 117 Cost. attribuiva potestà legislativa alle Regioni in materia di urbanistica; il nuovo testo attribuisce alle Regioni potestà legislativa concorrente in materia di governo del territorio; lo Stato ha invece potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile e penale57, nonché di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali58; ma, ancora, le Regioni sono titolari di potestà legislativa concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

La Corte costituzionale si è pronunciata ripetutamente sulla definizione di queste materie, che hanno subito posto problemi interpretativi. Ci si è chiesti infatti se il governo del territorio potesse comprendere anche la tutela del paesaggio e se l’edilizia rientrasse nel governo del territorio ovvero dovesse essere tenuta distinta ed essere considerata devoluta alla potestà legislativa residuale delle Regioni59. La Corte costituzionale, quando le è stato richiesto, ha chiarito che la materia dei titoli abilitativi all’edificazione appartiene storicamente all’urbanistica, che a sua volta fa parte del governo del territorio60; la competenza esclusiva statale sulla tutela dei beni culturali non esclude che le regioni possano legittimamente disciplinare, in esercizio della loro competenza concorrente in materia di governo del territorio, anche i centri storici61; per contro, la disciplina delle distanze legali, per quanto attiene ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi, rientra nella materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva statale62. La sanatoria edilizia straordinaria del 200363 ha costituito un’altra occasione in cui la Corte costituzionale è stata chiamata alla definizione dei confini delle materie, in un complicato intreccio tra governo del territorio, interessi di finanza pubblica legati alle entrate straordinarie della sanatoria, ordinamento penale per l’estinzione dei reati per le violazioni urbanistiche64, tanto da richiedere successivi interventi legislativi statali, necessari per adeguare la disciplina statale della sanatoria alla decisione della Corte costituzionale65. Ma proprio il caso della sanatoria edilizia straordinaria del 2003 mostra le difficoltà e le incertezze della ripartizione costituzionale di potestà legislativa derivanti dai nuovi elenchi di materie dell’art. 117 Cost.; la prima e fondamentale sentenza della Corte costituzionale del 2004 è stata seguita da una lunga scia di altre decisioni su problemi di legittimità costituzionale legati anche alla ripartizione di potestà legislativa tra Stato e Regioni sulla sanatoria (oltre che a parametri costituzionali diversi)66.

Di recente la Corte costituzionale, pur confermando che la materia del governo del territorio comprende gli usi ammissibili del territorio e la localizzazione di impianti o attività, ha affermato che essa non comprende invece la sicurezza delle costruzioni la quale non rientra nemmeno nella materia della tutela della salute, giacché il profilo della pubblica incolumità si differenzia concettualmente da quello della prevenzione sanitaria. La disciplina degli impianti negli edifici involge l’individuazione dei requisiti essenziali di sicurezza sia in fase di installazione, sia nelle successive fasi di manutenzione e gestione, in modo che sia assicurato l’obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori degli impianti medesimi, garantendo la loro incolumità, nonché l’integrità delle cose è quindi riconducibile alla materia della sicurezza, attribuita alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.), la quale non si esaurisce nell’adozione di misure relative alla prevenzione e repressione dei reati, ma comprende la tutela dell’interesse generale all’incolumità delle persone e quindi la salvaguardia di un bene che abbisogna di una regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale67.

Ancora più complicati sono stati i problemi di definizione della materia tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, attribuita alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Nella prima sentenza in cui la Corte si è occupata di questa materia, essa ha affermato che la tutela dell’ambiente non è una materia in senso tecnico, poiché non è configurabile come una sfera di competenza dello Stato rigorosamente circoscritta e delimitata, ma al contrario investe altri interessi e competenze con i quali si intreccia inestricabilmente; la materia della tutela dell’ambiente è stata quindi considerata una materia trasversale, al pari della tutela della concorrenza68. Ma negli anni successivi si sono presentati numerosissimi problemi di ripartizione di potestà legislativa tra Stato e Regioni, sia ordinarie che speciali, in relazione alla tutela dell’ambiente e la Corte costituzionale ha progressivamente precisato i suoi orientamenti, integrando e correggendo la sua posizione iniziale. Non è possibile nello spazio di una relazione dare conto compiutamente degli indirizzi della Corte, anche perché la materia si scompone in tanti aspetti diversi quali tutela del paesaggio, parchi nazionali e regionali, tutela della fauna selvatica e disciplina dell’esercizio venatorio, protezione delle foreste, tutela delle acque, emissioni in atmosfera, inquinamento elettromagnetico, impianti a rischio di incidenti rilevanti, smaltimento dei rifiuti, difesa del suolo69.

Tra la molte sentenze relative a questa materia se ne può segnalare una, resa nel 2007 con riferimento alla Provincia di Trento70, che appare particolarmente importante per lo sforzo di sistemazione teorica, di inquadramento generale, ivi operato. Ma si deve ricordare che il c.d. Codice dell’ambiente del 200671 è stato impugnato da parte di dodici Regioni72 le quali hanno sollevato numerosissime questioni di legittimità costituzionale lamentando la lesione di sfere di competenza legislativa loro costituzionalmente garantite, tanto che la Corte ha aggregato in modo omogeneo le diverse questioni proposte e le ha decise con ben undici diverse sentenze73, una delle quali ha premesso alla trattazione delle questioni decise una utilissima ricognizione dello stato della giurisprudenza della Corte sulla materia della tutela dell’ambiente74.

Per quanto qui interessa si ricorderà soltanto che la Corte ha respinto la tesi dottrinaria che il governo del territorio comprenda anche la tutela del paesaggio, la quale è stata invece ricondotta appunto alla tutela dell’ambiente ed è stata quindi fatta rientrare nella potestà legislativa esclusiva dello Stato. In una sentenza particolarmente importante, concernente le modifiche del 2006 al Codice dei beni culturali e del paesaggio, la Corte ha affermato che il paesaggio costituisce un valore primario e assoluto75. L’oggetto tutelato non è il concetto astratto delle bellezze naturali, ma l’insieme delle cose, beni materiali, o le loro composizioni, che presentano valore paesaggistico. Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso e unitario, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni. Questi due tipi di tutela ben possono essere coordinati fra loro ma debbono necessariamente restare distinti. La Corte, anzi, ha confermato che la legge Galasso76, oggi trasfusa nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, contiene norme fondamentali di riforma economico-sociale, idonee a limitare la specifica potestà legislativa in materia di paesaggio, che pure ha carattere esclusivo o primario, attribuita alla Regione Valle d’Aosta dal relativo statuto77.

La potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento penale non richiede invece in questa sede particolari approfondimenti. Già prima della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, la Corte si era orientata in senso molto restrittivo sul possibile rilievo delle leggi regionali in materia penale78. Questo orientamento è stato tenuto fermo dopo la riforma, anche nei confronti della Provincia autonoma di Bolzano, la quale aveva introdotto disposizioni di coordinamento tra la disciplina venatoria provinciale e la disciplina sanzionatoria penale posta dalla l. n. 157 del 1992, nonostante che la statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol contenga una disposizione79 che avrebbe potuto anche giustificare una soluzione diversa80. Per vero, si può dubitare che questo orientamento sia pienamente accettabile: l’ordinamento penale dovrebbe essere altra cosa rispetto alle singole sanzioni penali e la posizione della Corte costituzionale comporta una forte limitazione dell’autonomia regionale. Basta che il legislatore statale abbia disciplinato una fattispecie prevedendo una sanzione penale, perché l’autonomia legislativa regionale si arresti, anche se la fattispecie ricade in materia, come ad esempio la caccia, di spettanza della Regione. Questo orientamento, dunque, nella sua rigidità non si accorda bene con l’ordinamento regionale anche se, allo stato attuale, non sembrano ancora mature le condizioni, innanzi tutto culturali, per una sua revisione.

 

 

5. L’individuazione dei princìpi fondamentali.

 

Anche l’individuazione dei princìpi fondamentali che costituiscono limite alla potestà legislativa regionale nelle materie di legislazione concorrente presenta aspetti problematici.

Prima della revisione costituzionale la l. 28 febbraio 1985, n. 47 nel suo art. 1 si era atteggiata espressamente a legge-cornice (recante anche disciplina di dettaglio), ponendo alcuni princìpi fondamentali nei primi tre capi, dedicati rispettivamente al controllo dell’attività urbanistica e alle sanzioni, allo snellimento delle procedure urbanistiche ed edilizie e al recupero urbanistico di insediamenti abusivi. Mancava però una legge cornice organica per la materia dell’urbanistica.

In seguito la l. 8 marzo 1999, n. 50 aveva previsto (art. 7 e all. 3) la redazione di testi unici misti, recanti norme legislative e regolamentari, in materia di urbanistica e di espropriazione. Sarebbe stato quindi, possibile, sistemare la legislazione statale, indicando chiaramente i princìpi fondamentali. Ma, com’è noto, il Governo ha dato seguito a quella previsione solo per l’espropriazione81 e per l’edilizia82, non per tutta l’urbanistica.

Dopo la riforma costituzionale del 2001 il Governo ha perso un’altra occasione, che pure esso stesso aveva promosso, per l’individuazione dei princìpi fondamentali. La c.d. legge La Loggia83 aveva delegato il Governo a emanare decreti legislativi meramente ricognitivi dei principi fondamentali che potevano trarsi dalle leggi vigenti nelle materie previste dall’art. 117, terzo comma, Cost.: ma la delega non è stata poi effettivamente esercitata per la materia del governo del territorio84.

Infine nella legislatura in corso giacciono in Parlamento tre proposte di legge recanti i principi fondamentali in materia di governo del territorio85: si tratta di iniziative interessanti, ma che nell’attuale contingenza politica appaiono ancora ben lontane dall’approvazione. L’onere dell’individuazione dei princìpi fondamentali ricade dunque essenzialmente sugli interpreti e, nei casi controversi, sulla Corte costituzionale.

Un ausilio nel diritto positivo viene, come si è accennato, dal testo unico in materia edilizia, secondo cui le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei princìpi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni in esso contenute86. In effetti il testo unico in alcune disposizioni ha chiarito gli ambiti rimessi all’autonomia legislativa regionale87 e non ha costituito motivo di contenzioso tra Stato e Regioni. Anche la recentissima e importante modifica della disciplina dell’attività edilizia libera, con integrale sostituzione dell’art. 6 del testo unico, ha definito i limiti dell’autonomia regionale, senza destare, a quanto consta, riserve o contestazioni da parte regionale88.

In effetti la mancanza di una legge cornice in materia di governo del territorio non ha costituito un serio ostacolo all’esercizio della potestà legislativa regionale. Già prima della riforma costituzionale del 2001 varie Regioni hanno profondamente innovato la loro disciplina urbanistica, senza incorrere in impugnazioni da parte del Governo. E il rinnovamento della legislazione regionale in materia di governo del territorio è proseguito anche negli ultimi anni, tanto che le proposte di legge statale recanti i princìpi fondamentali della materia possono per vari aspetti considerarsi la formalizzazione e la elevazione appunto a princìpi fondamentali di orientamenti di riforma già emersi nella più recente legislazione regionale. Rimangono sullo sfondo due problemi di rilievo politico. Ci si può chiedere, infatti, se una legge statale non rimanga comunque necessaria per dare una base sicura a un problema molto delicato che alcune leggi regionali hanno affrontato, quello della perequazione tra le posizioni proprietarie nella pianificazione urbanistica. Si dovrebbe valutare, inoltre, se sia accettabile e adeguato l’indirizzo di riforma che, in nome del principio di sussidiarietà orizzontale, ha sminuito il ruolo della Regione nella pianificazione urbanistica, col nuovo principio dell’autoapprovazione degli strumenti urbanistici da parte degli enti locali competenti alla loro adozione89. L’esperienza mostra che il cattivo uso del territorio dipende innanzi tutto da improvvide decisioni e da inescusabili inerzie dei Comuni e suggerisce piuttosto che vengano potenziati livelli decisionali meno soggetti alle pressioni locali.

 

 

6. Governo del territorio, autonomia regionale e paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 309 del 2011.

 

La Corte costituzionale ha giudicato di recente le questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni di leggi regionali della Lombardia sul governo del territorio che le erano state proposte, in via incidentale, dal tribunale amministrativo regionale della Lombardia90. La legge regionale lombarda sul governo del territorio aveva dato proprie definizioni degli interventi edilizi in sostituzione di quelle poste dalla legislazione statale91, e discostandosi parzialmente da queste ultime. In particolare la legge regionale aveva compreso tra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione parziale o totale nel rispetto della volumetria preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica92, senza riprodurre il limite, previsto invece dalla legge statale, del rispetto della sagoma dell’edificio preesistente93. La legge regionale lombarda aveva dunque attribuito alle disposizioni di legge statale sulle definizioni degli interventi edilizi il carattere di disposizioni di dettaglio, suscettibili di essere sostituite da disposizioni regionali94. La disciplina regionale aveva un significato non solo classificatorio: la qualificazione degli interventi comporta, infatti, conseguenze sul tipo di titolo abilitativo cui l’intervento è assoggettato, il regime del contributo dovuto, la disciplina sanzionatoria. La giurisprudenza amministrativa, tuttavia, aveva contrastato l’intenzione della Regione: essa aveva ritenuto che il limite della sagoma dovesse comunque essere rispettato, ancorché non espressamente richiamato e nonostante la pretesa della legge regionale che le proprie definizioni sostituissero quelle della legge statale95. A questa giurisprudenza, che aveva cercato di dare un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa regionale, la Regione Lombardia aveva reagito con una disposizione di legge di interpretazione autentica, stabilendo espressamente che nella definizione regionale degli interventi di ristrutturazione edilizia la ricostruzione dell’edificio era da intendersi senza vincolo di sagoma96, ponendo così la premessa perché la questione di interpretazione della disciplina regionale si trasformasse nella questione della sua legittimità costituzionale97.

La Corte costituzionale ha accolto la questione ricordando la sua giurisprudenza successiva alla riforma costituzionale del 200198. Di fronte alla questione se l’edilizia rientrasse nel governo del territorio ovvero dovesse essere tenuta distinta ed essere considerata devoluta alla potestà legislativa residuale delle Regioni, la Corte aveva chiarito che la materia dei titoli abilitativi all’edificazione appartiene storicamente all’urbanistica, che a sua volta fa parte del governo del territorio. La Corte aveva dunque ricondotto nell’ambito della normativa di principio in materia di governo del territorio le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi per gli interventi edilizi99: «a fortiori sono principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali. L’intero corpus normativo statale in ambito edilizio è costruito sulla definizione degli interventi, con particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria), dall’altro. La definizione delle diverse categorie di interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato». In base alla normativa statale di principio, quindi, un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell’edificio preesistente – intesa quest’ultima come la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale – configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia.

La sentenza ha trovato conferma di questa sua interpretazione anche nella più recente legislazione statale in materia edilizia100, ma ha invocato altresì ragioni attinenti alla disciplina di tutela del paesaggio. Secondo la sentenza la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi non può non essere dettata in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la cui «morfologia» identifica il paesaggio: e a questo riguardo la sentenza ha citato la relazione illustrativa al disegno di legge presentato al Senato il 25 settembre 1920 dal Ministro della pubblica istruzione Benedetto Croce, disegno di legge che divenne poi la l. 11 giugno 1922, n. 778 «Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico». Il paesaggio veniva ivi considerato come «la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli»101.

Dopo questa citazione, la sentenza ha ricordato la propria recente giurisprudenza. Sul territorio «vengono a trovarsi di fronte» – tra gli altri – «due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni»102. Fermo restando che la tutela del paesaggio e quella del territorio sono necessariamente distinte, rientra nella competenza legislativa statale stabilire la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle degli altri interventi edilizi. Se il legislatore regionale potesse definire a propria discrezione tale linea, la conseguente difformità normativa che si avrebbe tra le varie Regioni produrrebbe rilevanti ricadute sul paesaggio della Nazione», inteso come «aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale» e sulla sua tutela.

La decisione della Corte, ampiamente condivisibile, suscita più di un commento. Si può notare, in primo luogo, che sarebbe stato possibile evitare la controversia se in sede di redazione del testo unico in materia edilizia fosse stata seguita la buona regola di tecnica legislativa di indicare espressamente i princìpi fondamentali costituenti limite per l’autonomia legislativa regionale distinguendoli dalla normativa di dettaglio a carattere suppletivo e cedevole, secondo un’indicazione ufficiale proveniente dal Ministro per gli affari regionali già nel 1982103. E invece il testo unico ha stabilito che «le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel presente testo unico», lasciando quindi agli interpreti il compito di desumere quali disposizioni esprimano princìpi fondamentali104.

Sarebbe stato possibile rimediare successivamente, visto che il testo unico ha subìto numerose modificazioni, la prima delle quali poco dopo la sua emanazione105. Ma le correzioni apportate al testo unico non hanno toccato questo punto. Come si è ricordato, inoltre, per la materia del governo del territorio non è stata esercitata la delega prevista dalla legge La Loggia, né è stata approvata una legge cornice recante i princìpi fondamentali.

E ancora, si nota che i Governi in carica al momento dell’emanazione delle disposizioni di legge regionale della Lombardia sono stati corrivi, giacché non hanno ritenuto di impugnare avanti la Corte costituzionale né la disposizione originaria né quelle di interpretazione autentica, cosicché la questione è pervenuta alla Corte solo in via incidentale, per opera del giudice amministrativo.

Ma anche la Regione Lombardia non è esente da rilievi. Essa ha approvato una disposizione troppo opinabile, senza cercare un previo confronto con lo Stato come pure sarebbe stato opportuno se non proprio doveroso106; poi, di fronte a pronunce giurisprudenziali avverse, ha riaffermato la propria posizione con una disposizione di interpretazione autentica, espressione massimamente politica, salvo infine rinunciare a costituirsi in giudizio, come pure sarebbe stato possibile, per difendere la legittimità costituzionale della propria normativa107.

In definitiva, la sentenza ha chiuso una piccola, ma brutta, pagina dei rapporti tra leggi statali e leggi regionali, un episodio in cui Governi e Regione non hanno ben operato e, infine, la legalità costituzionale è stata ripristinata solo dalla Corte costituzionale, su iniziativa della magistratura amministrativa. Si segnala solo uno strascico, segno della cattiva disposizione con cui la Regione Lombardia ha accolto la sentenza della Corte. Una recentissima disposizione di legge regionale ha stabilito che, in relazione agli interventi oggetto della sentenza della Corte costituzionale in esame, al fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati, i permessi di costruire rilasciati alla data del 30 novembre 2011 nonché le denunce di inizio attività esecutive alla medesima data devono considerarsi titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012108. La Regione Lombardia ha dunque preteso di disciplinare gli effetti temporali della sentenza della Corte costituzionale, prestandosi però alla critica di violazione dell’art. 136 Cost., secondo cui quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge, la norma cessa di avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Il problema è stato colto immediatamente dal tribunale amministrativo regionale della Lombardia che, investita del ricorso avverso un permesso di costruire rilasciato dal Comune di Sondrio il 21 novembre 2011 (quindi due giorni prima del deposito della sentenza della Corte costituzionale), ha considerato, a un primo sommario esame, non irrilevante né manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della citata disposizione di legge regionale della Lombardia, salvo comunque l’approfondimento in sede di merito, e ha sospeso il provvedimento impugnato, per evitare che la defintiva realizzazione dell’opera potesse pregiudicare irrimediabilmente le pretese dei ricorrenti109.

 

 

6. Pianificazione urbanistica e pianificazione paesaggistica.

 

L’assetto generale della pianificazione urbanistica, prescindendo dalle specificità delle leggi regionali, è consolidato ormai da tempo. La legislazione statale prevede due livelli di pianificazione, quello comunale e quello provinciale. La pianificazione generale di livello comunale è essenziale: gli standard urbanistici generali, ossia i limiti dell’attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica comunale, sono (giustamente) tanto stringenti da impedire la possibilità di realizzare legalmente opere edilizie significative. La legge ha voluto che le trasformazioni del territorio avvengano non sulla base di decisioni isolate, ma entro il quadro di una visione d’insieme del territorio comunale che consenta di valutare preventivamente ed equilibratamente le compatibilità e le complementarità nell’utilizzazione edificatoria dei suoli. Il carattere necessario della pianificazione urbanistica comunale è inoltre confermato, per i Comuni con oltre mille abitanti, dalla previsione dello scioglimento dei consigli comunali ove i Comuni siano sprovvisti degli strumenti urbanistici generali e non li adottino entro diciotto mesi dalla data di elezione degli organi110. La necessità della pianificazione urbanistica comunale è integrata da una speciale disposizione anche sul piano finanziario: i Comuni sprovvisti dello strumento urbanistico generale sono esclusi, fino alla sua adozione, da qualsiasi contributo o agevolazione dello Stato in materia di lavori pubblici111. E, infine, si deve considerare che l’approvazione del piano urbanistico generale comunale costituisce il presupposto ordinario per l’espropriazione ai fini della realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità su aree che non appartengano già ai soggetti competenti112. La pianificazione urbanistica generale comunale richiede inoltre aggiornamenti periodici. I vincoli preordinati all’espropriazione, infatti, hanno la durata cinque anni113 e, poiché l’intero territorio comunale è soggetto a pianificazione, alla scadenza occorre esercitare nuovamente il potere di piano e stabilire una nuova destinazione urbanistica, eventualmente anche reiterando il vincolo, salve le conseguenze sul piano finanziario di tale reiterazione114.

La pianificazione territoriale di livello provinciale, disciplinata nei suoi tratti fondamentali dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali115 e poi dalla singole leggi regionali, ha anch’essa carattere necessario, ma si muove su un piano diverso. Essa determina gli indirizzi generali di assetto del territorio e quindi si rivolge essenzialmente alla pianificazione comunale, non agli operatori, tanto che il sistema dell’edilizia privata e anche delle opere pubbliche non trova ostacoli insuperabili alla sua operatività nell’eventuale mancanza del piano territoriale di coordinamento provinciale, la quale si riverbera solo sull’assetto complessivo del territorio interessato.

La vera grande novità della più recente evoluzione della legislazione statale è costituita invece dal profondo rinnovamento della tutela del paesaggio. La pianificazione urbanistica può anche costituire una sede di protezione del paesaggio, ma il sistema è fortemente improntato al criterio della distinzione tra urbanistica, ora governo del territorio, e tutela del paesaggio.

Le radici di questa distinzione sono almeno tre. Storicamente la tutela del paesaggio ha avuto una disciplina legislativa separata, e anzi antecedente alla disciplina urbanistica116. La giurisprudenza della Corte costituzionale sulle garanzie costituzionali della proprietà privata ha nettamente distinto la natura dei vincoli paesaggistici rispetto a quelli urbanistici117. Infine, in sede di prima attuazione dell’ordinamento regionale la tutela del paesaggio è stata trattenuta allo Stato, in quanto distinta dalla materia dell’urbanistica, per la quale invece le funzioni amministrative sono state trasferite alle Regioni118. Nel 1985 la c.d. legge Galasso ha rinforzato la tutela paesaggistica, con il vincolo paesaggistico gravante ex lege (e non imposto per singolo atto amministrativo) su intere e assai ampie categorie di immobili. Quella disciplina rappresentava una sorta di compensazione politica per la prima legge di sanatoria degli illeciti urbanistici, discussa e approvata nello stesso periodo di tempo119, ma portava implicitamente il riconoscimento della insufficienza, per il buon governo del territorio, della disciplina urbanistica, rimessa all’autonomia di Comuni e Regioni, mentre la tutela paesaggistica, nonostante la delega di funzioni amministrative alle Regioni disposta nel 1977 in occasione della seconda regionalizzazione120, lasciava ancora spazio per l’esercizio di funzioni amministrative statali. La distinzione tra urbanistica e tutela del paesaggio è stata del resto confermata dalla legge del 1985 sulla sanatoria degli illeciti urbanistici, con un regime speciale della sanatoria delle opere abusive realizzate su immobili soggetti a vincolo paesaggistico121.

La legislazione successiva ha confermato questa distinzione. La disciplina della terza sanatoria edilizia, anzi, ha reso più rigida la tutela paesaggistica122, come è stato riconosciuto in giurisprudenza: la Cassazione ha affermato che, a seguito delle modifiche introdotte nel 2003, non sono sanabili le nuove costruzioni realizzate, in assenza di titolo abilitativo, nelle aree soggette a vincolo paesaggistico123 e anche di recente ha ribadito, in linea generale, che l’effetto estintivo della sanatoria edilizia non opera nei confronti dei reati aventi oggettività giuridica diversa, come quelli relativi a violazioni di disposizioni dettate dalle leggi in materia di costruzioni in zona sismica, di opere in conglomerato cementizio o di vincoli ambientali e paesaggistici124. Anche la Corte costituzionale, del resto, si è pronunciata nello stesso senso in riferimento ai limiti della potestà legislativa regionale: essa ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione di legge regionale della Basilicata125 che invece pretendeva di limitare il divieto di sanare le opere abusive realizzate su aree sottoposte a vincoli di tutela solo quando questi ultimi comportino l’inedificabilità assoluta126, allargando così l’area degli illeciti sanabili. La distinzione risulta altresì dalla specifica sanatoria degli illeciti paesaggistici disposta nel 2004127; e anche il decreto-legge 28 aprile 2010, n. 62, recante Temporanea sospensione di talune demolizioni disposte dall’autorità giudiziaria in Campania, poi decaduto per mancata tempestiva conversione, aveva stabilito che si procedesse in ogni caso alla demolizione in caso di accertamento della violazione di vincoli paesaggistici previsti dalla normativa nazionale vigente.

Ma le fonti più importanti di questi ultimi anni per la tutela del paesaggio sono costituite dalla riforma costituzionale del 2001 e dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, il c.d. Codice Urbani. La competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, è stata subito intesa come comprensiva della tutela del paesaggio; e certamente la potestà legislativa concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali e ambientali contribuiva a questa interpretazione. Il nuovo quadro costituzionale ha costituto poi una delle motivazioni che ha spinto a rinnovare profondamente la disciplina di tutela del paesaggio, che pure era stata riordinata pochi anni prima nel testo unico del 1999128.

Nella l. 1497 del 1939 la pianificazione paesaggistica era puramente eventuale129 ed erano stati pochissimi i piani effettivamente approvati. Nel 1985 la c.d. legge Galasso aveva potenziato il ruolo della pianificazione paesaggistica che ha ora assunto un ruolo centrale nel nuovo sistema delineato dal Codice Urbani, così come modificato dai decreti legislativi correttivi del 2006130 e del 2008131. I piani paesaggistici non riguardano più soltanto le aree soggette a vincolo (imposto in via amministrativa o ex lege), ma tutto il territorio e devono contenere anche previsioni e prescrizioni ordinate alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate132, quindi aree che hanno perso il loro originario valore paesaggistico. I piani paesaggistici inoltre sono stati posti in posizione giuridica sovraordinata rispetto alle altre pianificazioni, compresa quella urbanistica: le loro previsioni non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette133.

La Corte costituzionale ha pienamente avallato la nuova disciplina statale. In una prima occasione la Corte ha deciso i ricorsi proposti dalle Regioni Toscana, Calabria e Piemonte nei confronti del primo decreto correttivo del Codice, dichiarando inammissibili o infondate tute le censure proposte134. In quella circostanza la Corte ha fatto importanti affermazioni di principio che vale la pena riepilogare. Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso e unitario, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni. Questi due tipi di tutela ben possono essere coordinati fra loro ma debbono necessariamente restare distinti. E in proposito la legislazione statale ha fatto ricorso, ai sensi dell’art. 118 Cost., proprio a forme di coordinamento e di intesa e ha affidato alle Regioni il compito di redigere i piani paesaggistici, ovvero i piani territoriali aventi valenza di tutela ambientale, con l’osservanza delle norme di tutela paesaggistica poste dallo Stato. In particolare, l’art. 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, novellato dall’art. 13 del d.lgs. n. 157 del 2006, ha previsto la possibilità per le Regioni di stipulare intese con il Ministero per i beni culturali e ambientali e con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio per l’elaborazione congiunta dei piani paesaggistici, precisando che il contenuto del piano elaborato congiuntamente forma oggetto di apposito accordo preliminare e che lo stesso è poi approvato con provvedimento regionale; la tutela del paesaggio, che è dettata dalle leggi dello Stato, trova dunque la sua espressione nei piani territoriali a valenza ambientale o nei piani paesaggistici redatti dalle Regioni.

Nel 2008 la Corte costituzionale ha pronunciato un’altra importante sentenza sulla pianificazione paesaggistica. Il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva impugnato la legge regionale piemontese sul Parco fluviale Gesso e Stura nella parte in cui stabiliva che il piano d’area del parco è efficace anche per la tutela del paesaggio ai fini e per gli effetti di cui all’art. 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (e ai sensi dell’art. 2 della l.r. 3 aprile 1989, n. 20, in materia di tutela di beni culturali, ambientali e paesistici)135. Il ricorso denunciava che l’attribuzione al piano d’area del valore anche di piano per la salvaguardia del paesaggio del territorio del Parco avrebbe pregiudicato la sovraordinazione funzionale, ovvero la prevalenza, della pianificazione paesaggistica rispetto non solo alla pianificazione territoriale ed urbanistica degli enti territoriali, ma anche agli atti di pianificazione a incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette, come disposto dai principi fondamentali di cui al d.lgs. n. 42 del 2004. A questa censura la Regione replicava sostenendo che il piano d’area del parco136 non è un semplice atto di pianificazione dell’ente gestore, ma è un piano della Regione che lo approva; esso è quindi strumento di pianificazione paesaggistica regionale, prevale sulla strumentazione urbanistica e territoriale locale di qualsiasi tipo sostituendosi ad essa, e non è recessivo rispetto ad esigenze diverse da quelle paesaggistiche. Il ricorso del Governo è stato accolto dalla Corte, la quale ha dato rilievo al principio di prevalenza dei piani paesaggistici sugli altri strumenti urbanistici, posto dall’art. 145, comma 3, del Codice dei beni culturali, e ulteriormente rinforzato dalle modifiche al codice introdotte, dopo il deposito del ricorso, dal d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63137. La sentenza ha poi richiamato la sent. n. 367 del 2007 per ribadire la distinzione tra gli interessi concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e gli interessi riguardanti il governo del territorio e la valorizzazione di beni culturali e ambientali, attribuiti dall’art. 117, terzo comma, Cost. alla potestà legislativa concorrente. La sentenza ha quindi dichiarato illegittima la disposizione impugnata, riscontrando nella sostituzione del piano d’area del parco Stura al piano paesaggistico un’alterazione dell’ordine di prevalenza che la normativa statale, alla quale è riservata tale competenza, detta tra gli strumenti di pianificazione paesaggistica. Secondo la sentenza l’art. 145, comma 3, del Codice dei beni culturali ha una duplice funzione: è norma interposta in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., ed esprime un principio fondamentale ai sensi del terzo comma dello stesso art. 117, in riferimento alla materia del governo del territorio.

Il principio della subordinazione dei piani di gestione delle aree protette istituite con legge regionale ai piani paesaggistici è stato confermato anche in relazione a una disposizione, analoga a quella piemontese sul parco fluviale Gesso e Stura, di una legge della Regione Lazio sul parco naturale regionale Monti Ausoni e Lago di Fondi138: in questo caso il giudizio si è concluso con una dichiarazione di cessazione della materia del contendere solo perché la disposizione impugnata era stata successivamente modificata in modo da renderla conforme al Codice dei beni culturali e del paesaggio e non aveva avuto applicazione medio tempore139.

Da ultimo il principio è stato ribadito ancora in relazione alla Regione Piemonte, che ha approvato un testo unico sulla tutela delle aree naturali e della biodiversità140. L’art. 26 della nuova legge regionale piemontese prevedeva, per le aree naturali protette classificate parco naturale o zone naturali di salvaguardia, la redazione di un piano di area con valore di piano territoriale regionale in sostituzione delle norme difformi dei piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello; essa attribuiva ai piani naturalistici valore di piani di gestione dell’area protetta e stabiliva che le norme in essi contenute fossero vincolanti ad ogni livello. Alla Corte è bastato il richiamo ai suoi precedenti del 2008 per dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, le quali contrastavano con l’art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004, il quale pone il principio della prevalenza del piano paesaggistico sugli atti di pianificazione ad incidenza territoriale posti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette141.

A questa decisioni ben si collega un’altra sentenza del 2008 relativa non alla pianificazione, bensì al controllo sulle singole iniziative di trasformazione del territorio. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione di legge regionale della Basilicata142 che prevedeva la semplice “verifica di conformità” alle prescrizioni dei Piani paesistici: questa disposizione introduceva una procedura autorizzatoria semplificata consentita, alla stregua di quanto prevede l’art. 143, comma 5, lettere a) e b), del d.lgs. n. 42 del 2004, soltanto a seguito di un piano elaborato d’intesa tra Regione e Ministeri competenti, degradando, in tal modo, la tutela paesaggistica, che è prevalente, in una tutela meramente urbanistica.

Questi precedenti sono stati richiamati dalla Corte costituzionale, in un coerente sviluppo della sua giurisprudenza, nella sentenza con cui è stato deciso il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri avverso alcune disposizioni della legge regionale della Liguria sull’istituzione del Parco naturale regionale delle Alpi Liguri143. Il ricorso censurava in particolare la disposizione che affidava al piano del parco l’individuazione degli interventi da assoggettare o meno al nulla osta di cui all’art. 21 della legge regionale n. 12 del 1995, nonché le ipotesi di acquisizione dello stesso nulla osta mediante autocertificazione di un tecnico a ciò abilitato, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. nonché con gli artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, che stabiliscono contenuti e finalità dei piani paesistici, tenuto conto che l’art. 146 del medesimo d.lgs. n. 42 del 2004 stabilisce la preminenza dell’autorizzazione paesaggistica rispetto agli atti di assenso relativi alle trasformazioni di tipo urbanistico-edilizio del territorio. La Corte ha riconosciuto la fondatezza della censura, per l’attenuazione o, addirittura, la scomparsa della tutela paesistica che la disposizione determinava, anche in considerazione dell’attribuzione al piano del parco del compito della tutela paesaggistica144.

Il senso di questo orientamento della Corte costituzionale appare chiaro: non è consentito alle Regioni integrare la pianificazione paesaggistica nei piani d’area dei parchi regionali, anche se questi piani siano soggetti ad approvazione regionale e siano destinati a sostituire la strumentazione territoriale ed urbanistica di qualsiasi livello, escludendo un problema di rapporti tra la pianificazione paesaggistica regionale, realizzata per i parchi regionali attraverso relativi piani d’area, e pianificazioni diverse. Occorre invece una pianificazione paesaggistica specifica, secondo la disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio, con carattere prevalente sui piani d’area dei parchi regionali.

 

1 L.c. 18 ottobre 2001, n. 3.

2 Corte cost., 14 giugno 1990, n. 285.

3 L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, art. 5.

4 Corte cost., 8 giugno 1984, n. 170.

5 Corte di giustizia CE, 9 marzo 1978, causa C-106/77, Simmenthal.

6 Corte di giustizia CE, 22 giugno 1989, causa C- 103/88, Fratelli Costanzo.

7 Corte cost., 30 ottobre 1975, n. 232.

8 Cass., III pen., 24 giugno 2010, n. 24243 (pres. De Maio, est. Fiale), ric. Giannoni, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/6459-urbanistica-rapporti-tra-disciplina-statale-e-regionale.html.

9 V. G. Sorrenti, L’interpretazione conforme a Costituzione, Milano, Giuffrè, 2006; M. Luciani, Le funzioni sistemiche della Corte costituzionale, oggi, e l’interpretazione “conforme a”, in Giustamm.it, sul web, all’indirizzo http://www.giustamm.it, e in Il Foro amministrativo-T.A.R., 2007, fasc. 7-8, 87-101 (ora anche negli Studi in memoria di Giuseppe G. Floridia, Napoli, Jovene, 2009); M. D’Amico, B. Randazzo (a cura di), Interpretazione conforme e tecniche argomentative. Atti del Convegno di Milano, svoltosi il 6-7 giugno 2008, Torino, Giappichelli, 2009.

10 Tar Veneto, I, 12 maggio 2001, n. 1155, in Quad. dir. pol. eccl., 2002, 704 ss.; Tar Veneto, I, 17 maggio 2007, n. 1498, in Olir, sul web, all’indirizzo http://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4264. Per una illustrazione e una critica di questi casi v. A. Roccella, Gli edifici di culto nella legislazione regionale, in Jus, 2008, 522-525.

11 Il testo originario dell’art. 127 Cost. è stato integralmente sostituito con un nuovo testo dall’art. 8 l.c. 18 ottobre 2001, n. 3.

12 V., ad esempio, Corte cost., nn. 50, 63 e 104/2008; n. 401 del 2007; n. 116 del 2006. In dottrina v. C. Padula, L’asimmetria nel giudizio in via principale. La posizione dello Stato e delle regioni davanti alla Corte costituzionale, Padova, Cedam, 2005.

13 Il testo vigente dell’art. 117, primo comma Cost. è il seguente: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».

14 Si riporta il testo originario dell’art. 117, primo comma, Cost. «La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni: (..)».

15 L’art 70 Cost. dispone che «La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle Camere».

16 Art. 4 St. Friuli-Venezia Giulia; artt. 4 e 8 st. Trentino-Alto Adige; art. 3 st. Sardegna; art. 2 st. Valle d’Aosta.

17 Si veda, ad esempio, Corte cost., 16 marzo 1990, n. 124, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 (nella parte in cui autorizzava l’uccellagione praticata con appostamenti fissi) e degli artt. 2 e 10 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 24 luglio 1969, n. 17, per contrasto con gli artt. 6 e 8 della Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, adottata a Berna il 19 settembre 1979 e ratificata dall'Italia con legge 5 agosto 1981, n. 503.

18 Sul vizio di legittimità costituzionale di leggi regionali per violazione degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria v. Corte cost., 3 novembre 2005, n. 246, annotata da A. Celotto, La Corte costituzionale applica il primo comma dell’art. 117 Cost., in GiustAmm.it, sul web all’indirizzo http://www.giustamm.it; Corte cost., 23 marzo 2006, n. 129, annotata da A. Venturi, Standard qualitativi e strumenti compensativi nella recente legge lombarda sul governo del territorio: incostituzionalità per "incompatibilità" comunitaria?, in Le Regioni, 2006, 981 ss.

19 Corte cost., 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349.

20 V. A. Colella, Verso un diritto comune delle libertà in Europa. Riflessioni sul tema dell’integrazione della CEDU nell’ordinamento italiano, nel Forum di Quaderni costituzionali, sul web, all’indirizzo http://www.forumcostituzionale.it/site.

21 L. D’Angelo, “Comunitarizzazione” dei vincoli internazionali CEDU in virtù del Trattato di Lisbona? No senza una expressio causae (nota a Cons. St., Sez. IV, 2/3/2010, n. 1220 e TAR Lazio, Sez. II bis, 18/5/2010 n. 11984), nel Forum di Quaderni costituzionali, sul web, all’indirizzo http://www.forumcostituzionale.it/site; v. anche F. Polacchini, Cedu e diritto dell’Unione europea nei rapporti con l’ordinamento costituzionale interno. parallelismi e asimmetrie alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale, in Consulta OnLine, sul web, all’indirizzo http://www.giurcost.org.

22 Per un esempio in tal senso v. Corte cost., 28 gennaio 2010, n. 28, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con la direttiva 15 luglio 1975, n. 75/442/CEE, dell’art. 183, comma 1, lett. n), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (nel testo antecedente alle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 20, d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 8), nella parte in cui faceva rientrare tra i sottoprodotti non soggetti alle disposizioni della parte quarta dello stesso d.lgs. n. 152/2006 le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro, provenienti dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro, depositate presso stabilimenti di produzione dismessi, aree industriali e non, anche se sottoposte a procedimento di bonifica o di ripristino ambientale.

23 Il rapporto annuale degli orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo per il 2011 è pubblicato nel sito web della Cassazione, http://www.cortedicassazione.it/, sotto Servizio Novità, all’indirizzo http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Rapporto%20annuale%20CEDU%202011.pdf. V. poi Corte suprema di cassazione, Ufficio del massimario e del ruolo, Rel. n. 23/2011 bis, Rapporti tra la giurisprudenza della Corte di Cassazione e la giurisprudenza della Corte EDU: anno 2011, Roma, 22 dicembre 2011, pubblicata nelle stesso sito web, sotto Servizio novità, http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione%2023%20bis_11.pdf.

24 La relazione è pubblicata sul sito web della Cassazione, sotto Relazioni e provvedimenti del Primo Presidente, all’indirizzo http://www.cortedicassazione.it/DocumentiPrimoPres/InaugurazioneAG/InaugurazioneAG.asp.

25 Entrambe le decisioni riguardano il noto caso di punta Perotti, a Bari: Corte europea dei diritti dell’uomo, 30 agosto 2007 (decisione di ricevibilità sul ricorso n. 75909/01); id. II, 20 gennaio 2009, Sud Fondi srl, MABAR srl e IEMA srl e altri c. Italia, sul sito web Consulta Online, all’indirizzo http://www.giurcost.org/casi_scelti/CEDU/CEDU20-01-09.htm. Su questo caso, v., da ultimo, Corte europea dei diritti dell’uomo, II, 10 maggio 2012, ancora sul sito web Consulta on line, all’indirizzo http://www.giurcost.org/casi_scelti/CEDU/CEDU10-05-12.htm, che, nonostante l’intervenuta revoca da parte del Tribunale di Bari della confisca dei terreni lottizzati, ha riscontrato ancora violazioni dell’art. 7 della Cedu e dell’art. 1 del primo protocollo addizionale e ha condannato lo Stato italiano a pagare alle società ricorrenti, entro tre mesi dalla data della definitività della decisione, la somma complessiva di € 49.000.000, oltre alle somme eventualmente dovute a titolo di imposta, nonché a rinunciare alla richiesta di rimborso delle spese per le demolizioni eseguite.

26 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Si tratta dell’art. 4, comma 4-ter, d.l. 1º luglio 2009, n. 78, inserito, in sede di conversione, dalla l. 3 agosto 2009, n. 102: «4-ter. Fermi restando gli effetti della revoca da parte del giudice dell’esecuzione della confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite ai sensi dell’articolo 44, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, ai fini della restituzione all’avente diritto e della liquidazione delle somme reciprocamente dovute in conseguenza della decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato il contrasto della misura della confisca con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, la stima degli immobili avviene comunque in base alla destinazione urbanistica attuale e senza tenere conto del valore delle opere abusivamente costruite. Ove sugli immobili confiscati siano stati realizzati interventi di riparazione straordinaria, miglioramenti o addizioni, se ne tiene conto al valore in essere all’atto della restituzione all’avente diritto. Ai medesimi fini si tiene conto delle spese compiute per la demolizione delle opere abusivamente realizzate e per il ripristino dello stato dei luoghi».

27 V. Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 348, par. 5 del Considerato in diritto; id., 24 ottobre 2007, n. 349, par. 6 del Considerato in diritto.

28 Corte cost., 24 luglio 2009, n. 239.

29 Sulla confisca penale per la lottizzazione abusiva v A. Fiale, La confisca penale delle costruzioni abusive e dei terreni abusivamente lottizzati, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/184/7960-urbanistica-confisca-penale-delle-costruzioni-abusive-e-dei-terreni-abusivamente-lottizzati.html.

30 Per un’ampia ricostruzione dell’evoluzione, dal 1990 in poi, della giurisprudenza della Cassazione in tema di elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva v. Cass., III pen., 2 ottobre 2008, n. 37472 (pres. De Maio, rel. Fiale), ric. Belloi e altri (che ha anche dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, d.P.R 380/2001), in Lexambiente.it., all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/4485-Urbanistica.%20Lottizzazione%20abusiva,%20confisca%20e%20giurisprudenza%20CEDU.html

31 Cass., III pen., 17 novembre 2008, n. 42741 (pres. Lupo, est. Lombardi), ric. Silvioli e altro, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/4643-urbanistica-lottizzazione-abusiva-e-confisca-terzi-di-buona-fede.html, in un caso di lottizzazione abusiva negoziale per modificazione della destinazione d’uso prevista un piano di lottizzazione da turistico alberghiera a residenziale per uso abitativo privato; id., 19 marzo 2009, n. 12118 (pres. De Maio, est. Marmo), ric. Scalici, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/5421-Lottizzazione%20abusiva.%20Confisca%20e%20soggetto%20estraneo%20e%20possessore%20di%20buona%20fede%20..html; id., 29 aprile 2009, n. 17865 (pres. Lupo, est. Fiale), ric. Pm in proc. Quarta e altri, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/5115-Urbanistica.%20Lottizzazione%20abusiva%20e%20responsabilit%C3%A0%20dell%E2%80%99acquirente%20e%20subacquirente,%20sequestro%20e%20con.html, per analoga fattispecie, con la precisazione che il Tribunale, in sede di riesame di provvedimenti cautelari di sequestro, non è tenuto a verificare la sussistenza di situazioni di buona fede che non risultino immediatamente evidenti; id., 29 maggio 2009, n. 21188 (pres. Lupo, est. Fiale), ric. Casasanta e altri, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/5197-Urbanistica.%20Lottizzazione%20abusiva%20(confisca%20e%20prescrizione%20del%20reato).html; id., 20 settembre 2010, n. 33897 (pres. Onorato, est. Amoresano), ric. Rafaschieri e Colaianni, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/6638-urbanistica-lottizzazione-abusiva-e-confisca.html; id., 29 settembre 2009, n. 42178 (pres. ed est. Lupo, rel. Fiale), ric. Spini e Ventura, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/5672-Urbanistica.%20Lottizzazione%20abusiva,%20confisca%20e%20terzo%20di%20buona%20fede.html; id., 8 ottobre 2009, n. 39078 (pres. Grassi, est. Fiale), ric. Apponi e altri, in Lexambiente.it, all’indirizzo, http://lexambiente.it/urbanistica/160/5601-Urbanistica.%20Lottizzazione%20abusiva%20(oggetto%20e%20buona%20fede%20dell%E2%80%99acquirente%20e%20subacquirente).html, sui “borghetti agricoli” di Riano; id., 20 settembre 2010, n. 33910 (pres. De Maio, est. Sarno), ric. Nomiminato e altri, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/6640-urbanistica-lottizzazione-abusiva-e-buona-fede.html.

32 Cass., III pen., 17 maggio 2010, n. 18537 (pres. Petti, est. Franco), ric. Pellis, in Lexambiente.it, http://lexambiente.it/urbanistica/160/6309-urbanistica-lottizzazione-e-buona-fede-dellacquirente.html. Questa sentenza ha altresì precisato che in sede cautelare l’eventuale carenza dell’elemento soggettivo del reato può essere valutata soltanto allorquando emerga ictu oculi in modo immediatamente evidente e si riverberi sulla componente materiale, incidendo sulla configurabilità stessa del reato; in tal senso v. già, id., 29 aprile 2009, n. 17865, citata alla nota precedente.

33 Cass., III pen., 17 maggio 2010, n. 18537, citata alla nota precedente; id., 7 luglio 2011, n. 26728 (pres. De Maio, est. Rosi), ric. Venditti, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/7390-urbanistica-lottizzazione-abusiva-ed-irrilevanza-verifiche-da-parte-i-notaio-o-istituto-bancario.html; id., 23 settembre 2011, n. 34618 (pres. Petti, est. Rosi), ric. Manzo e altri, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/7545-urbanistica-notaio-e-buona-fede-dellacquirente.html.

34 Restano ferme le specifiche potestà legislative previste per le Regioni ad autonomia differenziata dagli statuti speciali e dunque la potestà legislativa esclusiva, per materie enumerate, delle cinque Regioni speciali e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nonché la potestà legislativa concorrente e quella di integrazione e attuazione, sempre per materie enumerate, previste dagli statuti. Si veda tuttavia l’art. 10 della l.c. 3/2001 che ha inteso assicurare anche alle Regioni speciali, fino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le forme di autonomia concesse alle Regioni ordinarie che risultino più ampie rispetto a quelle loro già attribuite.

35 Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282, par. 4 del Considerato in diritto; v. C.E. Gallo, La potestà legislativa regionale concorrente, i diritti fondamentali e i limiti alla discrezionalità del legislatore davanti alla Corte costituzionale, in Foro amm.-C.d.S., 2002, 2791 ss.

36 In questi termini, tra i primi commenti alla riforma, v. P. Caretti, L’assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione: aspetti problematici, in Le Regioni, 2001, 1226-1227; A. Concaro, Corte costituzionale e riforma del Titolo V della Costituzione. Spunti di riflessione su alcuni problemi di diritto intertemporale, ivi, 1338-1341.

37 Corte cost., 26 giugno 2002, n. 282, par. 4 del Considerato in diritto, su cui v. A. D’Atena, La Consulta parla ... e la riforma del titolo V entra in vigore, in Giur. cost., 2002, 2029-2030.

38 Corte cost., 22 luglio 1985, n. 214, in Le Regioni, 1986, 236 ss., con nota di L. Carlassare, La «preferenza» come regola dei rapporti tra fonti statali e regionali nella potestà legislativa ripartita; su questa sentenza v. anche i commenti di A. Anzon, Mutamento dei « principi fondamentali» delle materie regionali e vicende della normazione di dettaglio, in Giur. cost., 1985, I, 1660 ss.; F. Cuocolo, Il difficile rapporto fra leggi statali e leggi regionali, ivi, 2667 ss.; R. Tosi, Leggi di principio corredate da disposizioni di dettaglio: un’estensione della competenza statale senza sacrificio dell’autonomia regionale, ivi, 2678 ss.; v poi anche Corte cost., 3 dicembre 1987, n. 433, ivi, 1987, I, 2945 ss.

39 D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 25, comma 2, lett. g).

40 Corte cost., 26 giugno 2001, n. 206.

41 Sul punto v. A. Roccella, Rapporti tra fonti normative statali e regionali dopo la riforma costituzionale del 2001, in Amministrare, 2005, 43 ss.

42 In tal senso v. anche Corte cost., 2 luglio 2009, n. 200, paragrafo 25 del Considerato in diritto; id., 24 luglio 2009, n. 237, paragrafo 12 del Considerato in diritto.

43 Corte cost., 30 dicembre 2009, n. 340.

44 D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

45 Corte cost., 23 novembre 2007, n. 401.

46 L. 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 191.

47 D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, art. 2268, comma 1, n. 1083.

48 Corte cost., 26 novembre 2010, n. 341.

49 Cass., III pen., 7 ottobre 2010, n. 35968 (pres. Squassoni, est. Fiale), ric. P.M. in proc. Rusani e altro, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/6699-urbanistica-strutture-turistico-ricettive-lottizzazione-abusiva-e-prescrizione.html; id., 27 maggio 2009, n. 22054 (pres. Lupo, est. Fiale), ric. Frank, ivi, http://lexambiente.it/urbanistica/160/5216-Urbanistica.%20Case%20mobili,%20necessit%C3%A0%20del%20permesso%20di%20costruire.html; id., 11 marzo 2009, n. 10708 (pres. Lupo, est. Petti), ric. Stirpe, ivi, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/4963-Urbanistica.%20Installazione%20prefabbricati.html; id., 20 marzo 2008, n. 12428, (pres. Altieri, est. Fiale), ric. Fioretti, ivi, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/3885-Urbanistica.%20Regolamento%20comunale%20ed%20interventi%20precari.html, con ampie citazioni della conforme giurisprudenza del Consiglio di Stato; id., 31 gennaio 2008, n. 4974 (pres. Lupo, est. Marini), ric. Spaccialbelli, ivi, http://lexambiente.it/urbanistica/160/3656-Urbanistica.%20Lottizzazione%20abusiva%20e%20campeggio.html; id., 19 aprile 2006, n. 13705 (pres. Lupo, est. Iannello), ric. Mulas, ivi, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/2131-Urbanistica.%20Interventi%20precari.html.

50 D.P.R. 380 del 2001, art. 3; questo regime è confermato anche dalla l.r. Toscana 1/2005 e dalla l.r. Lombardia 12/2005.

51 Corte cost., 22 luglio 2010, n. 278.

52 La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata con ordinanza del GIP del Tribunale di Oristano 30 dicembre 2011 (reg. ord. della Corte costituzionale n. 89 del 2012), in G.U. n. 21 del 23 maggio 2012.

53 Provvedimento 1° aprile 2009 (ai sensi dell’art. 8, comma 6, della l. 5 giugno 2003, n. 131), in G.U. n. 98 del 28 aprile 2009.

54 D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

55 D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112.

56 Si veda, ad esempio, la definizione dell’urbanistica data dall’art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

57 Nuovo testo dell’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.

58 Nuovo testo dell’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.

59 V. A. Roccella, Il diritto urbanistico dopo la riforma del titolo V, in B. Pozzo, M. Renna (a cura di), L’ambiente nel nuovo Titolo V della Costituzione, Milano, Giuffrè, 2005, 164 ss.

60 Corte cost., 1° ottobre 2003, n. 303, par. 11 del Considerato in diritto.

61 Corte cost., 16 giugno 2005, n. 232, annotata da A. Roccella, Governo del territorio: rapporti con la tutela dei beni culturali e l’ordinamento civile, in Le Regioni, 2005, 1256 ss.

62 V. ancora la sentenza citata alla nota precedente.

63 D.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in l. 24 novembre 2003, n. 326, art. 32.

64 Corte cost., 28 giugno 2004, n. 196.

65 D.l. 12 luglio 2004, n. 168, conv. in l. 30 luglio 2004, n. 191, art. 5; altre modificazioni alla disciplina del condono sono state poste dal d.l. 9 novembre 2004, n. 266, conv. in l. 27 dicembre 2004, n. 306, art. 16, e dal d.l. 29 novembre 2004, n. 282, conv. in l. 27 dicembre 2004, n. 307, art. 10.

66 Corte cost., sentenze nn. 198 e 199 del 2004; ordinanze nn. 197 e 416 del 2004; sentenze nn. 70, 71 e 304 del 2005; sentenza n. 49 del 2006; sentenza n. 70 del 2008; sentenze nn. 54 e 290 del 2009; ordinanza n. 150 del 2009 (questa ordinanza riguarda un problema diverso dalla ripartizione di potestà legislativa tra Stato e Regioni).

67 Corte cost., 28 gennaio 2010, n. 21.

68 Corte cost., 26 luglio 2002, n. 407.

69 Per un’analisi puntuale della giurisprudenza della Corte si rinvia a Viva Vox Constitutionis, l’annuario di giurisprudenza costituzionale curato da V. Onida e B. Randazzo e pubblicato nella collana del Centro di Studi sulla Giustizia della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, Milano, Giuffrè, (dal 2003 in poi). In questo annuario l’ambiente è trattato al Cap. XVI.

70 Corte cost., 14 novembre 2007, n. 378, annotata da A. Roccella, Autonomie speciali e tutela dell’ambiente, in Le Regioni, 2008, 373 ss. e nel Forum di Quaderni costituzionali, sul web, all’indirizzo http://www.forumcostituzionale.it/site.

71 D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante Norme in materia ambientale, emanato in attuazione della delega legislativa disposta dalla l. 15 dicembre 2004, n. 308.

72 I ricorsi presentati sono stati però tredici, di cui due della stessa Regione, l’Emilia-Romagna

73 Corte cost., sentenze nn. 225, 232, 233, 234, 235, 246, 247, 249, 250, 251 e 254 del 2009.

74 Corte cost., sentenza n. 225 del 2009.

75 Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367.

76 D.l. 27 giugno 1985, n. 312, conv. in l. 8 agosto 1985, n. 431.

77 Corte cost., sent. n. 164 del 2009.

78 Fra le tante decisioni v. Corte cost., 7 luglio 1986, n. 179, in tema di reati urbanistici e sanatoria; id., 6 luglio 1989, n. 370, in tema di sanzioni penali in materia di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi. Per un riepilogo sul problema v. G. Di Cosimo, Regioni e diritto penale, in Le Regioni, 2004, 1307 ss.

79 Art. 23 St. Trentino-Alto Adige: «La Regione e le Province utilizzano – a presidio delle norme contenute nelle rispettive leggi – le sanzioni penali che le leggi dello Stato stabiliscono per le stesse fattispecie».

80 Corte cost., 25 novembre 2008, n. 387, par. 12 del Considerato in diritto.

81 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che raccoglie le disposizioni legislative contenute nel d.lgs. 8 giugno 2001, n. 325, e le disposizioni regolamentari contenute nel d.P.R. 8 giugno 2001, n. 326.

82 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che raccoglie le disposizioni legislative contenute nel d.lgs. 6 giugno 2001, n. 378, e le disposizioni regolamentari contenute nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 379.

83 L. 5 giugno 2003, n. 131, recante Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

84 L’esito complessivo della delega legislativa è stato molto modesto. Sono stati infatti emanati solo tre decreti legislativi: d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30, ricognitivo dei princìpi in materia di professioni; d.lgs. 12 aprile 2006, n. 170, ricognitivo dei princìpi in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici; d.lgs. 18 aprile 2006, n. 171, ricognitivo dei princìpi in materia di casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale ed enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

85 APC, XVI leg., pdl n. 329, d’iniziativa dei deputati Mariani e altri, Princìpi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare, presentata il 29 aprile 2008; APC, XVI leg., pdl n. 438, d’iniziativa dei deputati Lupi, Stradella, Paroli, Princìpi fondamentali per il governo del territorio, presentata il 29 aprile 2008; APC, XVI leg., pdl n. 1794, d’iniziativa del deputato Mantini, Princìpi fondamentali in materia di governo del territorio, presentata il 15 ottobre 2008.

86 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 2, comma 1.

87 V. art. 6, comma 1, per l’attività edilizia libera; art. 9, comma 1, per l’attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica; art. 10, commi 2 e 3 per i mutamenti di destinazione d’uso e gli interventi subordinati a permesso di costruire; art. 13, comma 2, per l’esercizio dei poteri sostituivi in caso di mancato rilascio del permesso di costruire; art. 18, per la convenzione-tipo relativa agli interventi di edilizia abitativa; art. 22, comma 4, per l’ambito di applicazione degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività; art. 32, per le variazioni essenziali al progetto approvato

88 V. d.l. 25 marzo 2010, n. 40, art. 5, comma 1, sostituito, in sede di conversione, dalla l. 22 maggio 2010, n. 73. Per gli ambiti rimessi all’autonomia legislativa regionale v. il nuovo testo dell’art. 6, comma 6, del testo unico.

89 Si ispira a questo orientamento la l.r. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, Legge per il governo del territorio, in seguito ripetutamente modificata.

90 T.A.R. Lombardia, Milano, II, 7 settembre 2010, n. 5122, pubblicata in appendice alla nota di G. Vitella, Ristrutturazione mediante ricostruzione prevalenza della definizione statale o regionale?, sul web, http://www.bosettiegatti.it/novita/100913_TAR_art_27_Vittella.pdf.

91 V. l’art. 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato col d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e successive modificazioni e integrazioni

92 L.R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, art. 27, comma 1, lettera d).

93 D.P.R. 380/2001, art. 3, comma 1, lett. d). Importanti chiarimenti sull’inclusione dell'intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia sono stati offerti dalla Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 7 agosto 2003, n. 4174, Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301. Chiarimenti interpretativi in ordine alla inclusione dell'intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia, in G.U. n. 274 del 25 novembre 2003, anche con richiamo agli orientamenti giurisprudenziali antecedenti.

94 L’art. 103, comma 1, della l.r. 12/2005 aveva disposto la cessazione della diretta applicazione nel territorio della regione di varie disposizioni del d.P.R. 380/2001, tra cui appunto l’art. 3, a seguito dell’entrata in vigore della stesa legge. Si osserva al riguardo che impropriamente la rubrica dell’art. 103 reca Disapplicazione di norme statali: la disapplicazione di norme di legge riguarda unicamente il rapporto tra fonti normative interne e fonti comunitarie, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale con la decisione comunemente nota come sentenza Granital (Corte cost., 8 giugno 2004, n. 170). Il rapporto tra nuove disposizioni di legge regionale e precedenti disposizioni di dettaglio statali si pone invece in termini di cessazione di applicabilità di queste ultime, come correttamente stabilisce il testo del comma 1 dell’art. 103: la rubrica dell’art. 103 non è dunque coerente con il testo dell’articolo.

95 Tar Lombardia, Brescia, 13 maggio 2008, n. 504; Tar Lombardia, Milano, II, 16 gennaio 2009, n. 153, sul web all’indirizzo http://www.bosettiegatti.com/info/sentenze/edilizia/e134_ricostruzione_sedime.pdf, commentata da A. Mandarano, Demolizione e ricostruzione di edifici tra competenze statali e regionali, in Urbanistica e appalti, 2009, 1007 ss., e da A. Celotto, "Limite di sagoma” o “limite di volumetria” nelle ristrutturazioni? Sui limiti dell’interpretazione costituzionalmente conforme (in margine a TAR Lombardia, Milano, sez. II, 16 gennaio 2009, n. 153 e TAR Lombardia, Brescia, 13 maggio 2008 n. 504), in GiustAmm.it, http://www.giustamm.it/; Tar Lombardia, Milano, II, 9 giugno 2009, n. 3939; id.., 2 dicembre 2009, n. 5268. Sul tema v. anche L. Spallino, La ristrutturazione edilizia in Lombardia alla luce della l.r. 7/2010 di interpretazione autentica dell’art.27 l.r. 12/2005, sul web, http://www.studiospallino.it/interventi/ristrutturazione.htm#6.

96 L.r. Lombardia, 5 febbraio 2010, n. 7, art. 22.

97 Il problema posto dalla normativa regionale lombarda esaminata risulta dunque ben diverso da quello concernente il regime sanzionatorio delle violazioni edilizie risolto, in relazione alla disciplina della denunzia di inizio attività posta dall’art. 79 della l.r. Toscana 3 gennaio 2005, n.1, da Cass., III pen., 24 giugno 2010, n. 24243 (pres. De Maio, est. Fiale), ric. Giannoni, in Lexambiente.it, http://lexambiente.it/urbanistica/160/6459-urbanistica-rapporti-tra-disciplina-statale-e-regionale.html.

98 Corte cost., 23 novembre 2011, n. 309, sulla quale v. A. Mandarano, La ristrutturazione edilizia al vaglio della Corte costituzionale, in Urbanistica e appalti, 2012, 300 ss.; A. Celotto, I “pericoli” dell’interpretazione conforme a Costituzione (in margine a Corte cost., sent. n. 309 del 2011), in GiustAmm.it, 2011, n. 12, http://www.giustamm.it/private/new_2011/ART_4257.htm.; P. Urbani, I principi fondamentali della materia: strumento di bilanciamento degli interessi statali nella disciplina concorrente del governo del territorio, in GiustAmm.it, 2011, n. 12, http://www.giustamm.it/private/new_2011/ART_4252.htm.

99 Corte cost., 1° dicembre 2003, n. 303, punto 11.2 del Considerato in diritto.

100 V. l’art. 5, commi 9 e ss., del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia, convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106, che ha regolato gli interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti di volumetria e adeguamenti di sagoma.

101 Il testo completo della relazione al disegno di legge n. 204 è pubblicato in Camera dei Deputati, Servizio studi legislazione inchieste parlamentari, Ricerca sui beni culturali, I, Roma, 1975, 27 ss., nonché nella Rivista della Scuola superiore dell’economia e delle finanze, tra i Documenti storici, sul web, all’indirizzo http://rivista.ssef.it/site.php?page=20040913091214766&edition=2010-02-01.

102 Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367, punto 7.1 del Considerato in diritto.

103 Si veda il Rapporto 1982 sullo stato delle autonomie del Ministro per gli affari regionali Aldo Aniasi, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1982, 70-71.

104 D.P.R. 380/2001, art. 2, comma 1.

105 D.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301.

106 Si veda l’Accordo recante intesa inter-istituzionale tra Stato, regioni ed enti locali, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lett. c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in «Gazzetta Ufficiale», n. 159 del 9 luglio 2002, in particolare il punto II), n.3.

107 V. l. 11 marzo 1953, n. 87, artt. 23 e 25. La mancata costituzione in giudizio può, forse, considerarsi espressione di un dissenso del Presidente (e della Giunta ) nei confronti del Consiglio circa la disposizione contestata.

108 L.r. Lombardia 18 aprile 2012, n. 7, art. 17, comma 1.

109 Tar Lombardia, Milano, II, ord. 11 maggio 2012, n. 664, sul sito web istituzionale della giustizia amministrativa (http://www.giustizia-amministrativa.it/), all’indirizzo http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Milano/Sezione%202/2012/201200906/Provvedimenti/201200664_05.XML

110 D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 141, comma 1, lett. c-bis), aggiunta dall’art. 32, comma 7, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 24 novembre 2003, n. 326.

111 D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 128, comma 8.

112 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 9, comma 1.

113 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 9, comma 2.

114 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 39.

115 D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 20.

116 La prima disciplina di tutela del paesaggio fu posta dalla l. 11 giugno 1922, n. 778, approvata in esito al disegno di legge n. 204, presentato al Senato dal Ministro dell’Istruzione pubblica Benedetto Croce nella tornata del 25 settembre 1920, ben prima quindi dell’approvazione della legge urbanistica (l. 17 agosto 1942, n. 1150).

117 Le sentenze fondamentali della Corte costituzionale sul tema sono la n. 6 del 1966, in tema di servitù militari, e le sentenze n. 55 e n. 56 del 1968, rispettivamente in tema di vincoli urbanistici e di vincoli paesaggistici. Tutta la giurisprudenza costituzionale successiva è stata coerente con l’impostazione di queste sentenze.

118 D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, sul quale v. Corte cost., 24 luglio 1972, n. 141.

119 L. 28 febbraio 1985, n. 47.

120 D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 82.

121 L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 32.

122 L’art. 32, comma 43, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in l. 24 novembre 2003, n. 326, ha integralmente sostituito l’art. 32 della l. 28 febbraio 1985, n. 47.

123 Cass., III pen., 15 febbraio 2007, n. 6431 (pres. Lupo, est. Fiale), ric. Sicignano e altro, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/2627-Urbanistica.%20Limiti%20condono%20in%20area%20vincolata.html. Il principio di diritto affermato in questa sentenza è pacifico nella giurisprudenza successiva.

124 Cass., III pen., 5 luglio 2010, n. 25387 (pres. Lupo, est. Amoresano), ric. PM Tivoli in proc. Agosta, in Lexambiente.it, all’indirizzo http://lexambiente.it/urbanistica/160/6469-urbanistica-sanatoria-e-doveri-del-giudice-penale.html

125 L.r. Basilicata 18 dicembre 2007, n. 25, art. 1, comma 1, lett. c).

126 Corte cost., 27 febbraio 2009, n. 54.

127 L. 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, commi 37-39.

128 D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490.

129 L. 29 giugno 1939, n. 1497, art. 5.

130 D.lgs. 24 marzo 2006, nn. 156 e 157.

131 D.lgs. 26 marzo 2008, nn. 62 e 63.

132 D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 135, comma 1 e comma 4, lett. b).

133 D.lgs. 42/2004, art. 145, comma 3.

134 Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367.

135 L.r. Piemonte 19 febbraio 2007, n. 3, art. 12, comma 3.

136 Il piano d’area del parco è disciplinato dall’art. 23 l.r. Piemonte 22 marzo 1990, n. 12, modificato dall’art. 7 l.r. 21 luglio 1992, n. 36.

137 Corte cost., 30 maggio 2008, n. 180.

138 L.r. Lazio 4 dicembre 2008, n. 21, art. 3, comma 2.

139 Corte cost., ord. 25 marzo 2010, n. 117.

140 L.r. Piemonte 29 giugno 2009, n. 19.

141 Corte cost., 4 giugno 2010, n. 193.

142 L.r. Basilicata 26 novembre 2007, n. 21, art. 1.

143 L.r. Liguria 23 ottobre 2007, n. 34.

144 Corte cost., 29 ottobre 2009, n. 272.