IN TEMA DI RESPONSABILITÀ DEL PROPRIETARIO IMMOBILIARE PER OPERE EDILIZIE ABUSIVE REALIZZATE DA ALTRI

di Pierluigi CIPOLLA


Pubblicato in Giur. merito 11\2011 si ringrazia l'Editore

Sommario:1. Premessa. — 2. Il soggetto attivo dei reati urbanistico-edilizi. — 3. Il proprietario e il comproprietario concorrente «attivo». — 4. Il proprietario (esclusivo o comproprietario) «inerte». — 4.1. Nostra opinione. Cenni sulla proprietà quale fonte di obblighi di facere.— 4.2. (segue). La situazione soggettiva del proprietario quale «posizione di garanzia» ex art. 40 comma 2 c.p. — 4.3. (segue). La posizione di garanzia del comproprietario. — 4.4. (segue). Il problema del nesso di causalità. — 5. Il problema dell'elemento soggettivo (cenni). — 6. Conclusioni.

1. PREMESSA

La quaestio juris sottesa alla vicenda in esame riguarda la posizione del proprietario dell'immobile nei reati urbanistico-edilizi.

In particolare ci si chiede se il proprietario dell' area debba rispondere penalmente a causa della sua situazione soggettiva per non aver impedito la condotta altrui, oppure occorra qualcos'altro. L'estensore della sentenza ha mostrato di aderire a quello che egli stesso definisce l'assunto maggiormente restrittivo della giurisprudenza di legittimità secondo cui «il proprietario risponde dei relativi reati non in quanto tale ma solo se abbia la disponibilità dell'immobile ed abbia dato incarico dei lavori o li abbia eseguiti personalmente mentre se l'incarico sia stato dato da altro proprietario o da altro detentore, non può essere ritenuto responsabile dell'abuso, anche se abbia espresso adesione alla realizzazione dell'opera».

La pronuncia fornisce dunque il destro per ricostruire il diritto vivente in materia ed esporre le argomentazioni pro et contra la tesi ivi accolta.

2. IL SOGGETTO ATTIVO DEI REATI URBANISTICO-EDILIZI

L'art. 29 d.P.R. n. 380 del 2001 (d'ora in poi Testo unico edilizia T.U.E.), peraltro sostanzialmente conforme al previgente art. 6 l. n. 47 del 1985 così recita: «1. Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l'esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso.

2. Il direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni del permesso di costruire, con esclusione delle varianti in corso d'opera, fornendo al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. Nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all'incarico contestualmente alla comunicazione resa al dirigente. In caso contrario il dirigente segnala al consiglio dell'ordine professionale di appartenenza la violazione in cui è incorso il direttore dei lavori, che è passibile di sospensione dall'albo professionale da tre mesi a due anni.

3. Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 c.p. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all'art. 23 comma 1 l'amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari» (1).

Dunque il proprietario «in quanto tale» non è incluso tra i possibili soggetti attivi dei reati urbanistico edilizi. Egli comunque può essere chiamato a rispondere penalmente in quanto titolare del permesso a costruire, in quanto committente ovvero in quanto costruttore. Il problema riguarda il caso in cui l'unico proprietario a conoscenza dell'attività edilizia illecita non impedisca la condotta altrui; ovvero il caso, analogo a quello esaminato nella pronuncia in commento, in cui il comproprietario tenga comunque un atteggiamento inerte.

È opportuno dunque esaminare partitamente le varie ipotesi.

3. IL PROPRIETARIO E IL COMPROPRIETARIO CONCORRENTE «ATTIVO»

Nessun dubbio che il proprietario non titolare del permesso a costruire, non committente né costruttore in proprio, possa rispondere penalmente delle violazioni urbanistiche poste in essere dai soggetti menzionati nel citato art. 6 T.U.E., e ciò sia nel caso in cui si verta in reati «propri» (come ritenuto per lungo tempo dalla Suprema Corte) (2)sia nel caso in cui si tratti di «reati comuni a soggettività particolare» (come ritenuto da larga parte della dottrina e da ultimo anche dalla Cassazione) (3). Anche aderendo alla prima tesi, che appare maggiormente conforme al dettato normativo, non si può non evidenziare come lo stesso codice penale ammetta la possibilità del concorso dell'extraneus nel reato proprio, sia pure introducendo una speciale disciplina nell'ipotesi in cui il fatto sia variamente qualificato (art 117 c.p.). E così, se è vero che il T.U.E. menziona esclusivamente quali soggetti attivi dei reati edilizi il titolare del permesso a costruire, il committente, e il costruttore, nulla esclude che possano rispondere, in quanto concorrenti, i prestatori d'opera (4), il venditore (5), il terzo acquirente in corso d'opera (6), il dirigente comunale (7), il notaio (8)e, quindi, anche il proprietario che si sia inserito con la sua condotta nella consumazione del reato ponendo essere uno o più atti idonei a contribuire alla realizzazione del reato stesso. Occorre ovviamente che il concreto contributo causale sia sorretto da atteggiamento psichico doloso (ossia dalla consapevolezza della natura abusiva dell'attività edilizia) (9)ovvero colposo (in quanto è ammesso il concorso colposo nel reato doloso specialmente di natura contravvenzionale).

Siffatto concorso «attivo» potrebbe consistere, ad es., nello svolgimento dell'attività di materiale vigilanza sull' esecuzione dei lavori, nella richiesta di provvedimenti abilitativi in corso d'opera, nella presentazione di una denunzia di inizio di opere di manutenzione ordinaria (10), nel compimento di atti di induzione o rafforzamento dell'intento, perfino nella consapevole tolleranza sempre che il titolo dominicale sia accompagnato dalla disponibilità materiale dell'area (11).

Ancora diverso, poi, è il problema della prova del concorso materiale o morale; la giurisprudenza ritiene sufficiente allo scopo la prova indiziaria (12), quale desumibile, di volta in volta, dall'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (13), dalla presenza in loco(14)dal regime patrimoniale dei coniugi o dai rapporti di parentela o affinità con l'autore materiale (15), nonché dal compimento di condotte successive (attive o omissive) quali l'acquiescenza rispetto a notifiche di provvedimenti di sequestro o sospensione lavori, la presentazione denunce di opere di manutenzione ordina- ria ovvero il deposito di domanda in sanatoria (16). Nella vicenda esaminata nella sentenza in commento la prova del contributo causale dei mariti delle proprietarie custodi del manufatto illecitamente edificato è stata desunta dall' essersi i lavori abusivi svolti presso la abitazione coniugale in difetto di manifestazioni di dissenso da parte dei predetti, nonché dalla disponibilità di fatto e di diritto, dal regime di comunione legale dei beni, dal comune interesse economico alla realizzazione dell'opera edilizia abusiva.

4. IL PROPRIETARIO (ESCLUSIVO O COMPROPRIETARIO) «INERTE»

Quid juris nel caso in cui il titolare del diritto reale sull'area interessata dai lavori edili, non committente, eppur consapevole degli abusi, nulla abbia fatto né per impedire né per rafforzare l'attività criminosa altrui, astenendosi deliberatamente da ogni intervento?

Se è vero che da ultimo Cass., sez. IV, 3 febbraio 2009, Assante Di Ponzillo (17)ha attestato l'esistenza di un obbligo giuridico del proprietario di non consentire la perpetrazione del reato da parte di altri, e su di esso ha fondato la responsabilità in caso di inerzia colpevole, un più consistente indirizzo giurisprudenziale (18)esclude che il proprietario dell'area sia gravato da un obbligo di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per impedimento della costruzione abusiva, a causa della mancanza di una fonte formale dell'obbligo; pertanto manda esente da pene il proprietario ut talis. In questo senso, recentemente, Cass. sez. III, 22 novembre 2007, n. 47083, Tartaglia (19), secondo cui la tesi più garantistica sarebbe confortata anche dalla previsione dell'art. 192 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152 che impone al proprietario del sito, oggetto di abbandono di rifiuti, azioni ripristinatorie soltanto nel caso in cui la violazione gli sia ascrivibile a titolo di dolo o di colpa.

Dunque la Cassazione propende (ma non in modo irremovibile) per l'insussistenza in capo al proprietario (non committente) di un obbligo di impedire il reato edilizio altrui, rilevante ex art. 40 comma 2 c.p. quale fondamento per la responsabilità penale. La dottrina, dal canto suo, aggiunge che siffatto obbligo non può desumersi né dall' art. 42 Cost. posto che secondo il tenore letterale della disposizione è la legge a dover fissare eventuali limiti alla proprietà privata onde assicurarne la funzione sociale; né dalla legge urbanistica, che non individua il proprietario tra i soggetti responsabili della conformità delle opere «alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo» (art. 29 d.P.R. n. 380 del 2001); né dal codice civile né dal codice penale, benché l'art. 677 c.p. sanzioni il proprietario inerte di edifici che minacciano rovina (20). Altra dottrina, più pragmaticamente, evidenzia l'impossibilità, per il proprietario, di scongiurare la commissione del reato, dato che non gli resterebbe altro strumento se non la proposizione di una domanda al giudice civile, dall'esito quasi certamente intempestivo (21).

4.1. Nostra opinione. Cenni sulla proprietà quale fonte di obblighi difacere

Una reinterpretazione della proprietà in termini solidaristici potrebbe condurre a conclusioni diverse.

Nelle sentenze che riconoscono l'esistenza di un obbligo del proprietario di impedire reati edilizi, spesso si richiama l'art. 42 comma 2 cost., nella parte in cui attribuisce alla legge la determinazione in modi di acquisto, di godimento e i limiti della proprietà allo scopo di assicurarne la «funzione sociale». Di qui la domanda: la funzione sociale inerisce in modo indissolubile alla proprietà oppure in mancanza di una determinazione legislativa è tamquam non esset?

Il problema sta nella esatta interpretazione del concetto. Secondo un indirizzo ermeneutico — per così dire, estremo — il riferimento alla funzione sociale avrebbe trasformato il diritto di proprietà in un potere-dovere da esercitarsi nell'interesse della società (22). Per altra impostazione, del tutto opposta, «funzione» sarebbe da intendersi come «strumento di mantenimento, o di conservazione, della società», talché la norma costituzionale non avrebbe altro scopo se non quello di riconoscere e garantire quel pilastro della conservazione sociale che è la proprietà privata. Per una lettura analoga, anche se meno radicale, il (persistente) diritto soggettivo dominicale si sarebbe arricchito di obblighi nei confronti della collettività, incontrando i vincoli che gravano sul proprietario per il fatto di appartenere alla generale comunità (23); per l'orientamento prevalente la citata disposizione costituzionale dovrebbe essere intesa (soltanto) nel senso di giustificare l'intervento del legislatore finalizzato a porre limiti e definire i poteri dei proprietari di alcune peculiari categorie di beni, in vista di una attenta ponderazione tra interessi individuali e interessi collettivi (24).

In questo marasma, non si può contestare un dato: nel dettato costituzionale è entrato il sintagma «funzione sociale» che invece non si ritrova letteralmente nel codice civile (25); la proprietà, agli occhi del legislatore costituzionale, ha cessato di costituire un diritto soggettivo erga omnes caratterizzato dall'assolutezza e dalla esclusività del potere su una res.

Dal confronto tra il passato e lo statuto costituzionale della proprietà si può dedurre altresì che la «funzione sociale» ha modificato la struttura tradizionalmente riconosciuta alla proprietà e opera indipendentemente dall'esistenza attuale di un dato normativo in cui si concreti (26).

D'altra parte la proprietà privata, in quanto destinata a soddisfare l'interesse dei privati, viene conformata dalla Costituzione in modo diverso in relazione alla diversa importanza sociale dei beni: la proprietà collegata all'impresa, la proprietà terriera, la proprietà dei beni inerenti alla persona. Dunque la funzione sociale non inerisce alla proprietà privata in sé, bensì ai beni che, in varia guisa, sono d'importanza sociale, perché rispondono a un interesse diffuso della collettività dei cittadini (27).

Altro non si può evincere dal testo costituzionale, a meno di voler confondere l'euristica con la personale ideologia dell'interprete.

Dato che la Costituzione va interpretata nel senso attribuito dalla Corte costituzionale, e il giudice delle leggi, in modo chiarissimo, in una celebre sentenza del 1983 ha statuito che l'art. 42 comma 2 Cost. non ha affatto trasformato la proprietà privata in una funzione pubblica, bensì si è limitato a imporre un indirizzo generale alla futura legislazione (28), non si può affermare che il richiamo alla funzione sociale, di per sé, fondi sia i doveri del proprietario di sopportare limitazioni alla propria sfera giuridica, sia i doveri di agire, al fine di commisurare il diritto ai bisogni generali della collettività.

A ben vedere nell'ambito della proprietà edilizia la legge ordinaria, nel sottoporre ad un regime concessorio/autorizzatorio il diritto di proprietario di edificare, ha introdotto proprio uno di quei limiti mediante i quali ha inteso realizzare la funzione sociale della proprietà, in vista della tutela della incolumità personale altrui, dell'ambiente e del paesaggio. In altri termini, se non la proprietà in generale, almeno la proprietà edilizia deve essere concepita come una proprietà «limitata», in cui la facoltà di edificare è subordinata a una fase di controllo pubblico, proiettata alla tutela di beni interessi diversi e ulteriori rispetto a quelli individuali del proprietario.

Appare agevole la conclusione: la legge ordinaria e la Costituzione si pongono alla base del divieto del proprietario-committente di compiere attività edilizie sui beni immobili senza autorizzazione del potere pubblico, in modo da arrecare un risultato dannoso per i consociati. Ma il passo da ciò all'obbligo del proprietario di impedire i reati commessi sull'area ovvero per mezzo dell'area oggetto del diritto dominicale sembra un salto logico giuridico troppo ardito.

Nelle sentenze che riconoscono l'esistenza di un obbligo del proprietario di impedire reati edilizi, si richiama ancor più spesso l'art. 41 Cost., che inibisce l'esercizio dell'iniziativa economica privata in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

Si afferma da parte di autorevolissima dottrina che l'utilità sociale non costituisce la ragion d'essere della iniziativa privata bensì un limite, dato che l'iniziativa economica privata è descritta come «libera» quindi fa parte delle libertà fondamentali, e un limite del genere, in quanto attinente a una delle libertà del cittadino, non può essere posto che dalla legge. Dunque la norma dell'art. 41 comma 2 Cost. avrebbe per destinatari gli organi legislativi dello Stato autorizzandoli a porre limiti, in nome «dell'utilità sociale», alla libertà di iniziativa economica privata (29).

Eppure la libertà di iniziativa economica privata, riconosciuta dal comma 1 dell'art. 41, non riceve quel carattere di «diritto inviolabile» che è, invece, attribuito alle libertà civili (art. 13 ss.) né è menzionata nei «principi fondamentali» né rientra fra quelle libertà che, a norma della Costituzione, è compito della Repubblica difendere.

Dunque l'iniziativa economica privata, da identificarsi in senso lato con l'attività di chi utilizza la ricchezza per produrre nuova ricchezza, costituisce il contenuto di una libertà, ma non rappresenta una libertà inviolabile. E soprattutto il tenore letterale del secondo comma dell'art. 41 Cost è chiarissimo: l'iniziativa economica privata, pur libera, non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Senza aggiunte. Se poi si considera che l'art. 2 Cost. richiede a tutti l'adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale la conclusione è presto detta: il proprietario di beni immobili, nella misura in cui utilizza la ricchezza per produrre nuova ricchezza, e quindi svolge su quei beni una attività imprenditoriale, non può impiegare la cosa propria né consentire che altri la impieghino in modo che da ledere determinati valori sociali o umani («l'utilità sociale», la «sicurezza», la «dignità umana», di cui al comma 2 dell'art. 41). Id est, il proprietario di beni immobili ha il dovere di non consentire che attraverso l'attività (imprenditoriale) edilizia sia arrecato un danno a interessi altrui, tanto più se collettivi.

In questo senso trova piena giustificazione quell'orientamento giurisprudenziale minoritario, ma di tanto in tanto riemergente, anche da ultimo, che ragionando in termini solidaristici ha ritenuto che il dominus non possa tollerare che altri utilizzi il proprio immobile in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l'obbligo giuridico di non consentire che l'evento dannoso o pericoloso si realizzi.

Se dunque l'ordinamento contempla un obbligo formale del proprietario di immobile di impedire reati edilizi commessi da altri, occorre verificare se ciò basti a fondare — sotto il profilo dell'elemento oggettivo — la responsabilità penale sub art. 40 comma 2 c.p.

4.2. (segue). La situazione soggettiva del proprietario quale «posizione di garanzia»exart. 40 comma 2 c.p.

Nella esegesi dell'art. 40 comma 2 c.p., ormai superata la (pur autorevole) tesi che pretendeva un obbligo extrapenale di fonte formale (30), anche a causa degli effetti paradossali in caso di invalidità del titolo ed apparendo minoritaria la posizione cd sostanzialistico funzionalistica che equipara gli obblighi ex lege ed ex contracto a quelli derivanti da mere situazioni fattuali (31), appare particolarmente condivisibile quella dottrina che arricchisce l'obbligo di agire (pur ancorato a una fonte formale) di un simmetrico complesso di poteri impeditivi, di vigilanza e di intervento sulla situazione di pericolo per il bene tutelato, preventivamente assegnati al garante per consentirgli di adempiere all'obbligo. Si afferma, infatti, sulla base del principio generale ad impossibilia nemo tenetur, e del principio costituzionale della responsabilità personale, che l'ordinamento può pretendere il compimento dell'azione doverosa, in quanto l'obbligato sia dotato di un effettivo potere di signoria sulla situazione fonte del pericolo (32)e che il potere sia preesistente alla situazione di pericolo (33). Si aggiunge che la differenza tra il garante e il soccorritore occasionale sta proprio la natura giuridica del potere impeditivo (34), ciò che, tra l'altro, consente anche di soddisfare il principio costituzionale di legalità (35). Si sostiene, in conclusione, che la posizione di garanzia-fondamento della responsabilità omissiva consti di doveri e poteri impeditivi, giuridicamente fondati e strettamente connessi tra loro.

Stando così le cose, occorre nettamente distinguere tra il proprietario immobiliare non committente che conserva il potere di fatto sulla res dal titolare della signoria dominicale privo del possesso: nel secondo caso occorre verificare se sussista quella simbiosi di doveri e poteri impeditivi sanciti da norme giuridiche che integra la «posizione di garanzia» di cui all'art. 40 comma 2 c.p.

Il proprietario che abbia conferito il bene in usufrutto ad altri, ossia il cd nudo proprietario, può fare costruzioni ma solo con il consenso dell'usufruttuario (arg. ex art. 983 comma 2 c.c.); deve effettuare le sole riparazioni straordinarie (arg. ex art. 1005 c.c.). Solo in tali casi ha il diritto di accedere nell'immobile; diversamente, non ha altro potere di controllo e verifica sulla res. Comunque, la legge non contempla alcun potere di intervento per impedire azioni antigiuridiche. Quanto detto vale anche nell'ipotesi di concessione in uso e di conferimento del diritto di abitazione (art. 1026 c.c.)

Analogamente il proprietario che abbia locato il bene è tenuto a mantenere la cosa in stato da servire all'uso convenuto e garantirne il pacifico godimento (artt. 1575, 1585 c.c.), deve inoltre effettuare tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore (art. 1576 c.c.). Benché in tali casi possa accedere nell'immobile, non gli è riconosciuto un potere «diretto» di intervento per impedire condotte antigiuridiche.

Di converso, il proprietario che abbia concesso la cosa in affitto ha il potere di accertare in ogni tempo, anche con accesso in luogo, se l'affittuario osserva gli obblighi che gli competono (art. 1619 c.c.) ed è tenuto ad effettuare le riparazioni straordinarie (art. 1621 c.c.). Si può dubitare tuttavia che il potere di accesso implichi anche il potere di intervento per impedire condotte antigiuridiche afferenti la disciplina urbanistica: infatti gli obblighi espressi dell'affittuario riguardano infatti la conformità alla destinazione economica della cosa (art. 1615 c.c.) e non è detto che la edificazione abusiva di per sé pregiudichi tale finalità.

Dunque, salve specifiche pattuizioni contrarie, il proprietario non può accedere nell'immobile concesso in altrui godimento al fine di accertare, controllare, impedire.

Detto questo, residuano tuttavia poteri «indiretti» di impedimento della condotta antigiuridica altrui sul proprio fondo. Si fa riferimento, in particolare, alla denuncia di nuova opera (art. 1171 c.c.), strumento cautelare di antichissima origine, attribuito al proprietario, al titolare di altro diritto reale di godimento e al possessore per prevenire il pericolo di danno o di far cessare il danno in itinere derivante dall'avvio di una nuova opera realizzata sul fondo del denunciante o di un terzo. Laddove il legittimato passivo all'azione è colui che ha intrapreso l'iniziativa della costruzione, qualunque sia il titolo in virtù del quale intende compierla: proprietà, possesso, diritto reale.

A norma dell'art. 1171 c.c., che fa riferimento a nuova opera «da altri intrapresa sul proprio come sull'altrui fondo», sembra indiscutibile che l'azione cautelare in parola possa riguardare anche la costruzione erigenda sul fondo del denunciante. La giurisprudenza civile di merito che ha giustificato la soluzione ha richiamato plurimi argomenti dell'interpretazione logica, storica, sistematica, ivi compresa l'assenza di rimedi diversi, una volta che il proprietario non disponga del potere di impedire l' accesso, mezzo più diretto e a carattere preventivo, per avere colui che ha intrapreso la costruzione diritto ad accedere al fondo, come l'affittuario, il locatario, il colono ecc. (36).

Né vale eccepire l'improponibilità della novi operis nunciatio a tutela della disciplina urbanistica posta a salvaguardia dell'interesse generale, dato che lo strumento cautelare, nel caso in esame, non è finalizzato a soddisfare un interesse legittimo, non tutelabile per il divieto di cui all' art. 4 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (37), bensì investe la posizione di diritto soggettivo del proprietario sul cui fondo la fabbricazione è in itinere.

Né rileva l'inevitabile contrasto tra l'immediatezza della edificazione e i tempi (comunque lunghi) della tutela giudiziaria, benché cautelare: ciò che interessa, qui, è sapere se il proprietario possa o non possa impedire l'altrui condotta penalmente rilevante.

In conclusione, il proprietario non possessore è gravato da un obbligo sorretto da adeguati poteri impeditivi giuridicamente fondati. Egli è quindi titolare di una posizione di garanzia nel senso tecnico del termine; di qui consegue la responsabilità per reati edilizi perpetrati dal terzo possessore. A maggior ragione alla medesima soluzione si deve pervenire qualora il proprietario conservi la disponibilità materiale e giuridica dell'immobile, laddove la legittimazione alla novi operis nunciatio si somma alla potestà diretta e di carattere preventivo di impedire l'accesso al fondo. E così non potrebbe escludersi la posizione di garanzia in capo al proprietario, rispetto a bene goduto da familiari (ad es. figli, generi ecc.) o compossessori precari.

4.3. (segue). La posizione di garanzia del comproprietario

Una volta ammessa l'esistenza di un obbligo impeditivo di reati in capo al proprietario, con riguardo a condotte abusive di terzi possessori, occorre accertare se il dominus non esclusivo disponga di idonei poteri nei confronti del terzo contitolare, autore di analoghi comportamenti sull'area in comunione.

La legge civile fornisce sufficienti indicazioni per pervenire ad una risposta affermativa. In base all'art. 1102 c.c., infatti, «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. ... Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso». Nei rapporti tra comproprietari, dunque, le innovazioni che danno alla cosa comune una diversa destinazione la distolgono dall'uso precedente e menomano il diritto soggettivo degli altri condomini; anche in tal caso il comproprietario che non volesse impedire «di fatto» l'accesso dell'omologo, autore della intrapresa costruzione, per evitare le possibili conseguenze di una opposizione diretta e anche violenta, potrebbe legittimamente rivolgersi al giudice con la denuncia di nuova opera per ottenere la sospensione dei lavori e la reductio in pristinum(38). Analogamente potrebbe agire l'amministratore di condominio, contro il singolo condomino che con la sua iniziativa avesse arrecato danno alle parti comuni o comunque avesse violato le pre scrizioni del regolamento condominiale, senza necessità di attendere l'autorizzazione dell'assemblea (39), in forza del potere conferitogli dall'art. 1130, n. 4, c.c.

In tal modo il potere si «abbina» al dovere e concorre a costituire quella «posizione di garanzia» fonte di responsabilità ex art. 40 comma 2 c.p.

Quanto detto vale, ovviamente, sia quando il comproprietario autore dell'illecito sia compossessore dell'area in comunione, sia quando costui sia possessore esclusivo, salvi i necessari distinguo in tema di elemento soggettivo e di prova.

4.4. (segue). Il problema del nesso di causalità

Ciò detto, perché il proprietario-possessore possa essere chiamato a rispondere del reato edilizio perpetrato da altri occorra accertare un ulteriore requisito della fattispecie omissiva: la efficienza condizionante rispetto alla concreta realizzazione del fatto criminoso altrui, da accertarsi secondo giudizio ex post, alla stregua dei comuni canoni di «certezza processuale» (40).

Se, come è stato affermato, il semplice consenso e la sola approvazione del proprietario ad un incarico conferito da altro proprietario o da altro detentore, non sono stati ritenuti idonei ad addurre un contributo causale alla realizzazione del fatto illecito (41), tanto più si dovrà giudicare inefficace dal punto di vista ideologico la «tolleranza» del proprietario rispetto alla ferma volontà dell'autore dell'illecito di proseguire il suo intento.

Alla opposta sicurezza espressa da sez. III, sentenza n. 7314 del 10 febbraio 2000, Isaia (42), secondo cui la semplice tolleranza, da parte di chi ha la disponibilità giuridica e di fatto del fondo, di un intervento dal quale deriva la trasformazione edilizia del fondo stesso pone in essere un contributo essenziale alla realizzazione dell'illecito, la dottrina e la giurisprudenza più garantistica eccepiscono che 1) il nesso di causalità deve essere accertato con rigore, e deve ritenersi sussistente quando con alta credibilità razionale l'azione omessa avrebbe impedito l'evento; 2) quando la condotta altrui sia idonea al più a rafforzare un proposito criminoso già formato il nesso di causalità è escluso dato che l'apporto è eziologicamente irrilevante; 3) la connivenza deve distinguersi in modo netto dal concorso penalmente rilevante e la prima sussiste propriamente nell'inerzia in cui si risolve la condotta del proprietario.

Dunque il problema dell'apporto causale della condotta omissiva antidoverosa del proprietario è lungi dall'essere risolto con formule di stile.

Nel contesto della teoria del concorso di persone, se è vero che «il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà» (43)e «anche la semplice presenza sul luogo dell'esecuzione del reato può essere sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa quando, palesando chiara ade sione alla condotta dell'autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all'azione e un maggiore senso di sicurezza» (44), ben difficilmente potrebbe sostenersi che l'inerzia del proprietario stimoli o anche semplicemente rafforzi la volontà criminosa di colui che già ha concepito, maturato e in parte concretizzato l'idea dell'abuso edilizio. Nella generalità dei casi, il reo saldo nel suo intento non può dirsi influenzato dal comportamento passivo altrui. Inoltre l'inerzia del proprietario non può rafforzare la volontà dell'autore materiale nei casi in cui questi non abbia neppure notizia della conoscenza della sua condotta da parte di quegli. Bene si afferma, dunque, che «la semplice condotta omissiva e connivente non è sufficiente a fondare un'affermazione di responsabilità a titolo di concorso nel reato, occorrendo, a tal fine, che sussista un contributo materiale o psicologico che abbia consentito una più agevole commissione del delitto, stimolando o rafforzando il proposito criminoso del concorrente» (45). A rigori, leggendo le massime della Suprema Corte in tema di distinzione tra connivenza e concorso, sembrerebbe impossibile anche solo concepire un concorso omissivo nel reato commissivo altrui, perfino nel caso della presenza fisica sul luogo del delitto, che consiste pur sempre in un comportamento esteriore.

Le cose cambiano, tuttavia, se si fuoriesce dalla tematica del concorso di persone —sulla quale la giurisprudenza sembra indulgere, forse per la persistente difficoltà di concepire l'omissione come causa autonoma in termini strettamente normativi, anche in difetto della consapevolezza tra i correi del reciproco contributo causale (46)— e si concentra l'esame sull'omissione in quanto tale.

È opinione comune che la mancata opposizione di agenti di polizia alle azioni delittuose altrui in atto e la successiva omessa denuncia di fatti penalmente perseguibili, sia giuridicamente apprezzabile sotto il profilo concausale della produzione degli eventi, e, come tale, equivalga a concorso morale nel cagionarli, stante l'imperatività dell'obbligo giuridico inadempiuto (art. 40 comma 2 c.p.) (47).

Del pari, l'educatore (genitore, tutore, insegnante) che non impedisce il reato commesso dal figlio, dal pupillo, dall'allievo risponde, a titolo di omissione, del reato commissivo altrui.

Così ragionando, la condotta antidoverosa del proprietario che, pur potendolo, non impedisce l'abuso edilizio altrui, sul proprio fondo, deve essere valutata alla stregua di concausa dell'evento, così come, d'altra parte, si desume dalla lettera dell'art. 40 comma 2 c.p. (48).

In tal modo non interessa sapere se e quanto il comportamento passivo del dominus abbia inciso sull'intento criminoso altrui. Occorre valutare se tale condotta abbia avuto una efficacia (con)causale rispetto all'evento criminoso complessivamente considerato e in tale valutazione è necessario accertare se, ipotizzandosi l'effettuazione dell'azione doverosa ed omessa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento non avrebbe avuto luogo, secondo un giudizio di elevato grado di credibilità razionale.

L'indagine a questo punto si sposta sul concreto. E così, assume un peso decisivo il momento in cui il dominus è stato informato della condotta criminosa altrui e quindi è stato messo in condizione di attivare i poteri impeditivi. Appare verosimile che il comportamento passivo non presenti alcuna efficacia condizionante allorché il presupposto fattuale di attivazione dell'obbligo sorga in una fase avanzata dei lavori edili, così che non sussistano tempi e modi per fermare il processo causale sfociato nell'evento criminoso. Ex converso, l'inerzia protrattasi fin dall'inizio dei lavori può assumere un ruolo condizionante, allorché, coeteris paribus, si ritenga che la contraria azione doverosa possa ostacolarne efficacemente il prosieguo, all' uopo essendo sufficiente un alto grado di possibilità (49).

5. IL PROBLEMA DELL'ELEMENTO SOGGETTIVO (CENNI)

Residua poi la problematica relativa ai profili soggettivi della condotta del proprietario che tolleri sull'area di sua spettanza condotte criminose offensive del corretto assetto del territorio.

A questo proposito appare arduo ravvisare, in capo al proprietario che ignori (quanto meno) l'incipit della edificazione abusiva, una responsabilità a titolo omissivo colposo, in primis per il difetto di un fondamento positivo della colpa. Non potrebbe individuarsi infatti il profilo colposo nel fatto stesso dell'inadempimento del dovere di vigilare/impedire, posto che la norma in ottemperata è la base, come si è detto, della responsabilità omissiva (50). Occorre considerare poi che in tanto l'omissione può dirsi causalmente condizionante in quanto il proprietario sia informato della condotta altrui: come si è visto, infatti, l'azione reattiva potrebbe impedire l'evento solo se posta in essere con tempestività.

Si deve concludere, quindi, che in tanto il proprietario può rispondere a titolo di omissione della trasformazione edilizia posta in essere da altri sul proprio fondo, in quanto ne sia informato e quindi, ne abbia consapevolezza e volontà (quanto meno a titolo di dolo eventuale). Con ciò che ne consegue in punto di prova soprattutto della volontà, non potendosi desumere automaticamente quest'ultima dalla mera componente cognitiva. A rigori, infatti, la conoscenza della trasformazione edilizia in fieri prova la coscienza e volontà dell'omissione, ma non anche dell'evento della stessa, tranne nel caso in cui sussista una concreta posizione di interesse rispetto al manufatto finale. In tal senso, sarebbe difficile escludere la volontà del coniuge inerte, al cospetto dell'attività edilizia abusiva dell'altro coniuge, nel caso in cui operi il regime di comunione dei beni. Del pari, l'acquiescenza dovrebbe giudicarsi pienamente volontaria qualora sia il risultato, maturato prima dell'inizio dell'abuso o durante la sua realizzazione, di un accordo con il committente o con l'esecutore materiale; in tal caso, anzi, neppure potrebbe parlarsi di responsabilità omissiva, dovendosi applicare la disciplina del concorso attivo di persone.

6. CONCLUSIONI

La disamina della dottrina e della giurisprudenza, finora tratteggiata. dimostra come gli interpreti si siano soffermati prevalentemente sul problema dell'esistenza di un obbligo giuridico del proprietario di impedire i reati edilizi riferibili materialmente a soggetti terzi. È evidente che la soluzione negativa al quesito renderebbe superflue ulteriori disquisizioni. Sembra tuttavia che la Suprema Corte da ultimo sia propensa a superare la tradizionale posizione di chiusura, rifacendosi alla funzione sociale della proprietà, al generale principio del neminem laedere, all'esegesi dell'art. 40 cpv. c.p. in termini solidaristici, alla luce delle norme di cui agli artt. 2, 32 e 41 Cost. Se la nouvelle vague rappresentata da Cass., sez. IV, 3 febbraio 2009, Assante Di Ponzillo (cit.) dovesse trovare conferma, occorrerebbe tuttavia fornire risposta a quelle ulteriori questioni che la tesi contraria (e per ora prevalente) rende superflue: in che modo il proprietario può concretamente impedire un reato che il possessore del fondo è fermamente intenzionato a perpetrare ? in quali condizioni sussiste il dolo del proprietario inerte ? può parlarsi di concorso omissivo (del proprietario) nel reato commissivo (dell'autore dell'abuso edilizio)? Si tratta di quesiti, afferenti al nesso di causalità tra a condotta omissiva del proprietario e l'evento realizzato materialmente da altri e alla componente soggettiva dell'apporto del dominus che non risulta, per il momento, adeguatamente analizzati.

Ciò che è certo, è che i principali elementi sintomatici del concorso di persone, enucleati dalla giurisprudenza, riguardano casi di vera e propria contribuzione materiale (ad es. la vigilanza nella esecuzione dei lavori, la presenza in loco ai fini di sorveglianza) che nulla hanno a che fare con il caso che qui ci interessa in linea teorica, ossia l'inerzia del proprietario consapevole. Oppure condotte ex post (la richiesta di provvedimenti di sanatoria, l'acquiescenza rispetto a notifiche di provvedimenti di sequestro o di sospensione lavori, l'avvenuta presentazione di denuncia di opere di manutenzione ordinaria, il silenzio rispetto alla notifica del verbale di sequestro delle opere), che poco o punto dicono sul ruolo del dominus allorché il reato era in fieri (se non altro perché è lo stesso Testo Unico sull'Edilizia a prevedere espressamente che la procedura di sanatoria sia attivata «dal responsabile dell'abuso o dall'attuale proprietario dell'immobile» — art. 36 comma 1 T.U.E. —, con ciò dando per scontato che il proprietario possa non essere l'autore dell'abuso, ma possa nondimeno avere interesse alla sanatoria). Con la conseguenza che il massimo sforzo interpretativo della giurisprudenza, per il fatto di ricercare indici del concorso commissivo non può aiutare a risolvere i problemi conseguenti alla soluzione del quesito relativo all'esistenza di una responsabilità omissiva del proprietario. Trattasi, a ben vedere, di un terreno pressoché inesplorato, sul quale la scienza giuridica dovrà impegnarsi negli anni a venire.

 

 

Note

(1) Si riporta il testo dell'art. 6 l. 28 febbraio 1985, n. 47: «1. il titolare della concessione, il committente, il costruttore e il direttore dei lavori sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché a quelle della concessione ad edificare e alle modalità esecutive stabilite dalla medesima. essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per la esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso. 2 il direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni della concessione edilizia, con esclusione delle varianti in corso d'opera di cui all' art. 15, fornendo al sindaco contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto alla concessione, il direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all'incarico contestualmente alla comunicazione resa al sindaco. in caso contrario il sindaco segnala al consiglio dell'ordine professionale di appartenenza la violazione in cui è incorso il direttore dei lavori, che è passibile di sospensione dall'albo professionale da tre mesi a due anni. ]

(2) Ex pluribusCass., sez. III, 26 agosto 2004, n. 35084 inwww.lexambiente.it e Ced Cass., n. 229651 e Cass., sez. II, 24 novembre 1998, Stigliano, inCed Cass., n. 212022.

(3) Cass., sez. III. 28 febbraio 2007, Roberto, inCed Cass., n. 236183.

(4) Cass., sez. III, 13 maggio 1997, Petroni, inCed Cass., n. 208298; Cass., sez. III, 12 marzo 1999, n. 201 inCed Cass., n. 213170; Cass., sez. III, 14 giugno 1999, n. 7626 in Ced Cass., n. 213998; Cass., sez. III, 26 agosto 2004 n. 35084, inGiur. it., 2005, 6, 1268; Cass., sez. III, 28 febbraio 2007, Roberto, cit.,

(5) Cass., sez. III, 17 marzo 1981, n. 2377, inRiv. pen., 1981, 580; Cass., sez. III, 17 novembre 1988, n. 11106, inRiv. pen., 1989, 1093.

(6) Rezzonico,I reati edilizi. Il regime penale degli illeciti urbanistico-edilizi e ambientali, Milano, 1992, 56;Fiale,Diritto urbanistico, Napoli, 1988, 533.

(7) Cass. 8 gennaio 1980, inGiur. pen., 1980, II, 484; Cass., sez. III 28 aprile 2004, D'Ascanio, inCed Cass., n. 228888.

(8) Rezzonico,I reati edilizi, cit., 116.

(9) Cass., sez III, 12 gennaio 2007, Forletti, inCed Cass., n. 236081.

(10) Cass., sez. III, 5 luglio 2006, Laforè, inCed Cass., n. 235124.

(11) Cass., sez. III, 27 gennaio 2000, inRiv. giur. ed., 2001, 256.

(12) Cass., sez III 11, luglio 2007, n. 35631, inCed Cass., n. 237391.

(13) Cass., sez. III, 3 ottobre 2002, Caravello, inCed Cass., n. 222658; Trib. Torre Annunziata, sez. dist. Torre del Greco, 18 maggio 2005, n. 158 inGuida dir., 2005, f. 35, 105.

(14) Cass., sez. III, 20 gennaio 2004, n. 9536, Mancuso, inCass. pen., 2006, 1903; Cass., sez III, 27 ottobre 2008, n 40014, inwww.lexambiente.it

(15) Cass., sez. III, 12 aprile 2005, Rosato, inCed Cass., n. 231954.

(16) Cass., Sez. III 5 luglio 2006,Laforè, cit.

(17) InCed Cass., n. 243961 eUrb. e app., 2009, 1390 con nota (contraria) diScarcella,Obbligo giuridico di impedire l'evento e responsabilità del proprietario ex art. 41 Cost.; conforme Cass., sez. III, 29 gennaio 1988, inRiv. pen., 1989, 239, Cass., sez. III, 24 agosto 1988, Camasta, inCed Cass., n. 179106; Cass., sez. III, 12 luglio 1999, Cuccì inCed Cass., n. 215078 eCass. pen., 2000, 2751; Cass., sez. III, 14 ottobre 1999, Di Salvo, inCass. pen., 2001, 3518 con nota diTanda,Il proprietario del fondo concorre nel reato edilizio commesso da altri?; Cass., sez. III, 10 febbraio 2000, Isaia inCass. pen., 2002, 341 eCed Cass., n. 216970; Cass., sez. III, 12 novembre 2002, Bombaci, inCed Cass., n. 222969 eCass. pen., 2003, 3159. Conforme anche Cass., sez. III, 8 febbraio 1991, inForo it., 1991, II, 720 in tema di responsabilità del proprietario di area che tolleri lo sversamento di rifiuti. Vi è da rilevare, in ottica ancor più rigoristica, i giudici di legittimità, pur condividendo l'assunto relativo alla titolarità in capo al proprietario di un obbligo di impedire l'evento-reato, hanno inquadrato il fattosubart. 40 comma 1 c.p., ritenendo che il consentire ad un terzo l'esercizio dellojus aedificandicostituisca atto di diretta disposizione dellares;in tal senso Cass., sez. III, 26 ottobre 1999, n. 2770, Pepe, e Cass., sez. III, 14 luglio - 3 novembre 1999, Mureddu, inUrb. e app., 2000, 452ss. con nota di Canaia e inRiv. pen., 2000, 28.

(18) Cass., sez. III, 24 novembre 1988, Monechi, inCed Cass., n. 179777; Cass., sez. III, 20 maggio 1994, Castellaneta, inRiv. pen. ec., 1996, 120; Csss., sez., III, 13 luglio 1995, Valente, inCed Cass., n. 203542; Cass., sez. III, 27 ottobre 1995, Abbate, inCass. pen., 1997, 193; Cass., sez. III, 20 marzo 1996, Aprile, inCass. pen., 1574; Cass., sez. III, 20 giugno 1996, Carli, inCass. pen., 1997, 3197 eCed Cass., n. 206413; Cass., sez. III, 4 aprile 1997, Celi, inGiust. pen., 1998, II, 363 eCass. pen., 1998, 1479 eCed Cass., n. 208046; Cass., sez. III, 1 giugno 1998, Capraro, inCass. pen., 1999, 1585 e inUrbanistica e appalti, 1998, 1372; Cass., sez. III, 17 novembre 1998, Baccani, inGiust. pen., 1999, II, 506; Cass., sez. III, 30 novembre 1998, inRiv. pen., 1999, 46; Cass., sez. V, 11 novembre 1999, Giovannella, inGiust. pen., 2000, II, 287 eCed Cass., n. 214609; Cass., sez. III, 27 settembre 2000, n. 1085, Cutaia, inCed Cass., n. 216945 eCass. pen., 2001, 2178; Cass., sez. III, 21 luglio 2000, Molinaro inRiv. pen., 2000, 890; Cass., sez. III, 3 maggio 2001 n. 17752, Zorzi, inCed Cass., n. 219387 e Cass. sez. III, 10 agosto 2001, Gagliardi, inUrb. e app., 2001, 357 ss. con nota di Cingari; Cass., sez. III, 18 aprile 2003, n. 18756 inRiv. pen., 2004, 98; Cass., sez. III, 24 novembre 2003, n. 45061, inRiv. giur. ed., 2004, I, 761 eD&G, 2003, f. 45, 16 con nota di Natalini; Cass., sez. III, 17 maggio 2005, inRiv. giur. ed., 2006, 258; Cass., sez. III, 15 luglio 2005, inRiv. giur. ed., 2006, 463. Per un'ampia disamina,ex pluribus,Scarcella,Obbligo giuridico, cit., 1395 specialm. nt. 15.

(19) In Ced Cass., n. 238471.

(20) Ruga Riva,L'obbligo di impedire il reato ambientale altrui. Rassegna giurisprudenziale sulla posizione di garanzia del proprietario e del pubblico ufficiale rispetto ai reati ambientali commessi da terzi, inwww.periti-industriali.firenze.it.

(21) Bresciano - Padalino Morichini,I reati urbanistici, Milano, 2000, 53;De Chiara,In tema di responsabilità dell' evento diritto sul terreno edificato che non abbia concorso nella costruzione, in questa Rivista, 1985, 467.

(22) Rodotà,Il terribile diritto, Bologna, 1990, 420.

(23) In questo sensoRescigno,Proprietà,dir. Priv, inEnc. dir., XXXVII, 1988, 277.

(24) Ex pluribus,Militerni,Proprietà privata, inIl diritto enciclopedia giuridica Il Sole 24 Ore, XII, 2008, 337.

(25) Tarello,La disciplina costituzionale della proprietà privata, Genova, 1973, 26 ss.

(26) Costantino,Contributo alla teoria della proprietà, Napoli, 1967, 25-29.

(27) Santoro-Passarelli,Presentazione, inAa. Vv.,Proprietà privata e funzione sociale, Padova, 1976, III s.

(28) C. cost. 21 aprile 1983, n. 127, inGiur. it., 1984, I, 889.

(29) Galgano,L'imprenditore, Bologna, 1980, 108-115.

(30) Ex pluribus,Spasari,L'omissione nella teoria della fattispecie penale, Milano, 1957, 178 ss;Vannini,Manuale di diritto penale, parte generale, Firenze, 1948, 137;Nuvolone,Il sistema del diritto penale, Padova, 1982, 183;Caraccioli,Manuale di diritto penale, parte generale, Padova, 1998, 266 ss;Antolisei - Conti,Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2000, 255 ss.

(31) Pagliaro,Causalità e diritto penale, inCass. pen., 2005, 1037;Bettiol - Pettoello Mantovani,Diritto penale parte gen., Padova, 1986, 323;Fiandaca,Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979, 162 ss.;Sgubbi,Responsabilità penale per omesso impedimento dell'evento, Padova, 1975, 118 ss.

(32) Leoncini,Reato omissivo, inIl diritto enciclopedia giuridica Il Sole 24 Ore, XIII, 39.

(33) Mantovani,Diritto penale parte gen., Padova, 2007, 157.

(34) Fiorella,IL trasferimento di funzioni nel diritto penale dell'impresa, Firenze, 1985, 203;Leoncini,Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, 74 s.

(35) Leoncini,Obbligo di attivarsi, cit., 70 ss.;Palazzo,Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2005, 240.

(36) Pret. Sulmona 17 luglio 1963, inRiv. giur. ed., 1963, I, 955. Conforme Pret. Veroli 3 luglio 1958, inMonit. trib., 1959, 559, in tema di costruzione iniziata dal colono sul fondo colonico contro il volere del concedente; Pret. Serra San Bruno 9 luglio 1952, inGiust. civ., 1952, I, 705, e Pret. Roma 31 dicembre 1957, inTemi romana, 1958, 295 in tema di costruzione intrapresa dal conduttore contro il volere del proprietario-locatore.

(37) Cass. civ., sez. un., 4 agosto 1992, n. 9235, inCed Cass., n. 478427, in tema di violazione del d.m. 1 aprile 1968 relativo ala distanza minima tra costruzione e ciglio stradale; Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1978, n. 532, inCed Cass., n. 389837, in tema di opera lesiva di norme edilizie non integrative del codice civile; Pret. Roma 18 gennaio 1954, inGiust. civ., 1954, I, 250 in tema di violazione di regolamento comunale non integrativo delle disposizioni del codice civile; Pret. Borgo Val di Taro 8 ottobre 1979, ined. in tema di violazione del piano comunale di fabbricazione; Pret. Roma 24 agosto 1965, inRiv. giur. ed., 1966, I, 825 in tema di costruzione intrapresa in violazione del vincolo di in edificabilità previsto dal piano regolatore.

(38) In tal senso Cass. civ., sez. II, 5 maggio 1962, n. 879 e Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1968, n. 1413, cit., inTedesco,Denuncia di nuova opera e di danno temuto, Milano, 2005, 73 s.

(39) Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1974, n. 1154 e Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1978, n. 4767, cit., inTedesco,Denuncia di nuova opera, cit., 74.

(40) In questi termini, da ultimo, Cass., sez. un., 12 luglio 2005, Mannino, inCed Cass., n. 231671.

(41) Cass., sez. III, 26 settembre 2002, Licari, inCed Cass., n. 222511.

(42) Cit.

(43) Cass., sez. IV, 22 maggio 2007, Di Chiara, inCed Cass., n. 236853.

(44) Cass., sez. I, 11 marzo 1997, Perfetto, inCed Cass., n. 207582. Conforme Cass., sez. II, 5 maggio 1971, Fantasia, inCed Cass., n. 119993.

(45) Cass., sez. VI, 26 novembre 2002, Delle Grottaglie, inCed Cass., n. 222976.

(46) Ex pluribus, Cass. sez. IV, 22 novembre 1994, n. 2310, inCed Cass., n. 201244: «Perché una persona possa essere ritenuta concorrente nel reato non occorre un suo preventivo accordo criminoso con gli altri soggetti in quanto è sufficiente che la stessa abbia dato quanto meno un contributo agevolatore che abbia reso più facile la consumazione del reato».

(47) Cass., sez. II, 6 dicembre 1991, Viani, inCed Cass., n. 189762. Si esprime invece in termini di concorso di persone, la più remota sentenza Cass., sez. III, 18 giugno 1965, Deiana, inCed Cass., n. 099812 per cui «diverso dalla omessa denuncia di reato (art 361 c.p.) e il concorso nel reato per non averlo impedito, pur avendone l'Obbligo (art 40 c.p.). nel primo caso il pubblico ufficiale omette o ritarda di denunciare un reato di cui sia venuto a conoscenza; nel secondo caso, invece, egli non omette la semplice notizia, ma omette il doveroso comportamento positivo (impedimento del reato) che poteva materialmente attuare e che invece non ha attuato, concorrendo cosi al compimento del reato stesso, onde sussiste concorso nel delitto di furto nel caso dell'agente di polizia giudiziaria che — sia di concerto col ladro, sia senza tale concerto — sorprendendo il ladro medesimo, quando sta compiendo l'Azione criminosa, permetta che questa sia compiuta».

(48) In questi termini, Cass., sez. III, 12 luglio 1999, Cuccì A, cit.: «Il proprietario consapevole che sul suo terreno sia eseguita da un terzo una costruzione abusiva e, potendo intervenire, deliberatamente se ne astenga, pone in essere una condotta omissiva che condiziona, rendendola possibile, la realizzazione della predetta opera abusiva che è, quindi, conseguenza diretta anche della sua omissione della quale egli deve essere ritenuto responsabile ai sensi del principio generale di causalità di cui al comma 1 dell'art.40 c.p.».

(49) Cass., sez. IV, 6 dicembre 1990, Bonetti, inCed Cass., n. 191791: «Il giudice, avvalendosi del modello di sussunzione sotto leggi statistiche, ove non disponga di leggi universali, dirà che è "probabile" che la condotta dell'agente costituisca,caeteris paribus, una condizione necessaria dell'evento; probabilità che altro non significa se non "probabilità logica o credibilità razionale", la quale deve essere di alto grado, nel senso che il giudice dovrà accertare che, senza il comportamento dell'agente, l'evento non si sarebbe verificato, appunto, con alto grado di possibilità».

(50) Cass., sez. III, 12 maggio 1995, Pulvirenti, inCed Cass., n. 202948: «...Ai fini penali spetta al titolare dell'azione penale dimostrare — senza ricorrere a inversioni dell'onere probatorio — che il concorrente nel reato proprio abbia concretamente portato il suo contributo causale, o doloso o colposo. Nei casi in cui venga in rilievo la colpa, questa deve essere dimostrata anche giuridicamente: nel senso che, se si ipotizza una negligenza dell'extraneus, deve essere anche indicato il dovere specifico di diligenza che si assume violato; e quandol'extraneusnel reato proprio dell'illecito urbanistico-edilizio è il proprietario (o il comproprietario) non esiste un suo specifico dovere di vigilanza o di diligenza normativamente fondato».

 

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Tribunale  Napoli 13 ottobre 2010

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto di citazione diretta a giudizio ex art. 550 c.p.p. emesso il 4.10.2005 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli A.G., D.A., C.G. e B.M. venivano tratti a giudizio, innanzi al Gm di Marano per rispondere dell'imputazione formulata dal PM e trascritta in epigrafe.
La prima udienza del 5.4.2006, nella dichiarata contumacia degli imputati, veniva rinviata su istanza della difesa per munirsi di procura speciale.
Seguivano due rinvii, il 10.7.2006 e il 17.11.2006, per l'astensione degli avvocati.
Il 12.3.2007, aperto il dibattimento, il GM dell'epoca ammetteva le prove richieste e si procedeva all'escussione del teste V. A. e G. A., in servizio rispettivamente presso la Polizia Municipale e l'UTC di Giugliano.
Seguiva un nuovo rinvio, il 19.9.2007, per impedimento del difensore, quindi l'1.2.2008 e il 12.5.2008 per l'assenza dei testi e il 2.7.2008 per impedimento del difensore.
Il 21.11.2008 - prima celebrata dallo scrivente Gm - chi scrive dava atto che l'istruttoria dibattimentale del presente processo risultava effettuata dinanzi ad un giudice - persona fisica diverso e che pertanto si rendeva necessario rinnovare la sequenza dibattimentale a partire dalla dichiarazione di apertura del dibattimento.
Le parti venivano pertanto invitate a rinnovare le proprie richieste istruttorie.
Il PM e il difensore si riportavano alle richieste di prova già avanzate in precedenza e questo Giudicante, ritenutane l'ammissibilità e la rilevanza ammetteva tutte le prove orali e documentali richieste dalle parti.
Il difensore nell'occasione non prestava il consenso all'utilizzazione degli atti istruttori già compiuti dinanzi a giudice diverso.
Si rendeva dunque necessario un nuovo rinvio del processo per l'assenza dei testi.
Il 10.4.2009 venivano risentiti i testi V.A. e G.A..
Nell'occasione il PM rinunciava al teste S. e, nulla osservando la difesa, questo Gm ne revocava l'ordinanza ammissiva.
Il 2.12.2009 veniva escusso il teste P. L..
All'odierna udienza veniva escusso il teste a discarico B. S. e all'esito, con il consenso delle parti, veniva acquisita la relazione della Polizia Municipale di Giugliano relativa all'identificazione dell'imputato D.A.
Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e l'utilizzabilità di tutti gli atti utilizzabili, Il PM e la difesa concludevano come riportato in epigrafe e questo Giudice pronunciava il dispositivo mediante lettura in pubblica udienza riservandosi il deposito dei motivi nei termini di legge.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Dalla compiuta istruttoria dibattimentale emerge chiara la penale responsabilità di tutti gli imputati in ordine ad entrambi i reati loro ascritti.
Per il reato di cui al capo b) tuttavia risulta spirato il termine massimo di prescrizione, nonostante nel presente processo a tale termine (tre anni, per il principio del favor rei, trattandosi di fatti precedenti alla l. 251/05) debba sommarsi un' ulteriore sospensione ex lege di anni 1 mesi quattro e giorni 11 in relazione ai rinvii operati per astensione degli avvocati ovvero su istanza della difesa non motivata da esigenze di acquisizione della prova.
I testi V.A., G.A e P.L. hanno ricordato le circostanze che videro la Polizia Municipale di Giugliano accertare prima la compiuta realizzazione di lavori edilizi abusivi sull'immobile di proprietà degli imputati e successivamente la prosecuzione degli stessi, nonostante gli apposti sigilli.
Il teste P.A. ha affermato in dibattimento di essersi portato con i colleghi della Polizia Municipale di Giugliano in data 15.2.2005 alla Via (omissis) presso le proprietà di A.G. e C.G. (ma, come si vedrà in seguito, ex actis risulta la comproprietà di tutti gli odierni imputati) e di avere constatato che c'erano dei lavori edilizi in corso, consistiti nella realizzazione fino a quel momento, sul lastrico degli appartamenti, di quattro pilastri in legno, di un'altezza di circa due metri e mezzo, con sovrastante una trave in legno di circa venti metri lineari.
Il medesimo teste ha precisato che le opere erano state realizzate al di sopra di un preesistente immobile che in passato era stato oggetto di condono edilizio e che il costruendo sottotetto appariva di un'altezza superiore a quella che si assumeva preesistere ed essere già stata oggetto di condono.
In assenza di alcun titolo abilitativo alla realizzazione del nuovo manufatto lo stesso fu perciò sottoposto a sequestro e affidato in custodia ad A.G. e a C.G. (cfr. verbale in atti).
Il teste V.A. ha ricordato di essersi portato con i colleghi sul posto il 7.3.2005 e di avere constatato che, nonostante gli apposti sigilli, i lavori abusivi erano proseguiti, in quanto entrambi i sottotetti erano stati completati, e in particolare si era finito di coprire il tetto con tegole e legno.
Il teste - a domanda della difesa - ha precisato che, mentre in occasione del precedente controllo i colleghi avevano riscontrato solo la presenza dei pilastri di legno, all'atto del sopralluogo del marzo 2005 i lavori erano stati completamente ultimati, con la creazione del sottotetto chiaramente visibile anche nell'acquisita documentazione fotografica che lo stesso ha riconosciuto.
Sul posto - ha ricordato il teste V.A. - erano ancora una volta presenti A.G. e C.G...
Si trattava - come precisato dal medesimo teste - di una villa bifamiliare costituita da un unico corpo di fabbrica, con due appartamenti posti l'uno alle spalle dell'altro e di proprietà delle odierne imputate e dei mariti. Il sottotetto realizzato copriva entrambi gli appartamenti.
Il teste G.A., dell'UTC di Giugliano, ha ricordato che furono emesse due ordinanze di sospensione dei lavori e di demolizione in data 10.3.2005, notificate alla A. e alla C.
È provato ex actis che in data 3.4.2006, cioè in epoca successiva agli accertamenti sono state presentate due domande di concessione a firma di A.G. e di C.G..
È altresì documentato in atti che gli immobili su cui é stato operato l'abuso sono stati acquistati per atto per Notar (omissis) il 10.5.1999 dai coniugi D.A. e A.G. (n. rep - omissis - in copia in atti) e dinanzi al medesimo notaio il 18.5.2001 dai coniugi B.M. e C.G. (n. rep. - omissis - in atti), tutti odierni imputati.
Come si evince dagli acquisiti atti di compravendita e dalla documentazione anagrafica in atti i coniugi odierni imputati sono in regime di comunione legale l'uno con l'altro.
Le testimonianze dei pubblici ufficiali escussi, univoche ed assolutamente coerenti tra loro, nonché corroborate dagli acquisiti verbali di sequestro, dalla documentazione fotografica, dai titoli di proprietà e dalla documentazione anagrafica in atti convincono ad avviso di questo GM al di là di ogni ragionevole dubbio della penale responsabilità di tutti gli odierni imputati.
Tali fatti integrano compiutamente le fattispecie astratte di cui alle norme la cui violazione è stata contestata a A.G., D.A., C.G. e B.M. .
Quanto alla violazione urbanistica di cui all'art. 44 lett. b Dpr 380/01 (capo a), appare ictu oculi che l'opera realizzata costituisce trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, come tale soggetta a regime concessorio e necessitante quindi di permesso di costruire.
Nel caso all'odierno esame andava tenuto conto, altresì, delle prescrizioni di cui agli artt. 83 e 95 del Dpr. 380/01 trattandosi di opere edili realizzate in zona sismica e senz'altro in grado di interessare la pubblica incolumità sotto il profilo della sicurezza (capo b), ma, come si diceva in precedenza, tale ipotesi di reato deve ritenersi estinta per prescrizione il 18.7.2009 .
Di tutti i sopra indicati reati A.G., D.A., C.G. e B.M. sono chiamati a rispondere nella qualità di proprietari e committenti.
Sono risultati inoltre sussistenti in capo a A.G., D.A., C.G. e B.M., infine, tutti gli elementi oggettivi e soggettivi, del delitto di violazione dei sigilli aggravata contestata a tutti al capo c) dell'imputazione.
Orbene, va rilevato che tutta l'attività difensiva é stata volta ad escludere la responsabilità degli odierni imputati D.A. e B.M..
La tesi dell'estraneità dei due mariti é stata incentrata soprattutto sulla circostanza che gli stessi non sono stati trovati sul posto all'atto di entrambi gli accertamenti, circostanza incontestata se é vero che custodi giudiziarie sono state nominate la A. e la C..
A dimostrazione della propria esclusiva responsabilità le due donne hanno anche presentato, il 3.4.2006, cioè due giorni prima della prima udienza dibattimentale di questo processo, due domande di concessione, evidentemente in sanatoria, per le opere abusive di cui all'imputazione.
Tale tesi, tuttavia, non convince né in punto di fatto né in punto di diritto.
Si é detto che gli odierni imputati hanno acquistato i due appartamenti ciascuno in comproprietà con il proprio coniuge. E che i coniugi D.A.-A.G. e C.G.-B.M. sono tra loro in regime di comunione legale.
Si può aggiungere che risulta provato in atti che tutti vivevano con le proprie famiglie all'epoca nei fatti nell'immobile ove é stato realizzato l'abuso edilizio di cui all'imputazione (cfr. certificati di stato di famiglia del 14.4.2005 in atti) alla via (omissis), ove peraltro continuano ad abitare.
Poco convince sul punto quanto riferito dal teste a discarico B. a proposito di una generica e assolutamente non circostanziata separazione di fatto dei coniugi D.A.-A.G. di cui alcuna prova é stata fornita, ad esempio, quanto al tempo e al luogo in cui l'odierno imputato avrebbe vissuto lontano da Giugliano.
E certo non può avere impedito al D.F. di essere partecipe dei compiuti reati la circostanza, riferita dal collega escusso quale teste, di essere, in quanto (omissis) spesso impegnato per lavoro fuori sede per diversi giorni, abbracciando la competenza di quell'ufficio non solo la Campania, ma anche l'Abruzzo e il Molise.
Peraltro, va detto che la funzione pubblicistica svolta dal D.F., evidenziata dalla difesa, lo rende soggetto ancora più consapevole del disvalore dell'attività illecita posta in essere rispetto al quisque de populo.
In punto di diritto va ricordato che tra le figure contemplate dall'articolo 29 del Dpr. 380/01 quelle del titolare del permesso di costruire, del committente e del proprietario dell'area possono, in alcuni casi, essere in tutto o in parte sovrapponibili, nel senso che le diverse qualificazioni di titolare del permesso, committente e proprietario dell' area edificata abusivamente possono riguardare la stessa persona.
Il riferimento al titolare del permesso, inoltre, presuppone l'esistenza di un titolo abilitativo cosicché, in caso di interventi completamente abusivi, come avviene per lo più, questa figura (come anche il direttore dei lavori) potrebbe mancare del tutto tra i soggetti responsabili di un determinato abuso.
Pochi problemi comporta nella pratica giudiziaria l'individuazione del reo e della condotta dallo stesso materialmente posta in essere nella realizzazione dell'intervento edilizio abusivo quando si é di fronte ad un unico proprietario. E magari lo stesso é presente sul posto all'atto dell'accertamento dell'illecito da parte della P.G.
Diverso e più controverso é, invece, il caso, come quello che ci occupa, in cui vi siano più soggetti comproprietari dell'immobile ed uno solo sia sempre stato trovato sul posto.
L'obiezione più ricorrente e ascoltata nelle arringhe difensive - peraltro, come si avrà modo di dire, assolutamente condivisibile, é in questi casi che "non si può essere condannati per il solo fatto di essere comproprietari".
La giurisprudenza sul punto é stata negli anni talvolta oscillante, ma é ormai da tempo consolidata.
Varrà tuttavia la pena di ripercorrerne alcune tappe.
In alcuni casi, maggiormente risalenti nel tempo, si è ritenuta la responsabilità del proprietario del terreno sul quale era stata eseguita una costruzione abusiva a titolo di concorso morale nel reato consumato dall'autore materiale della edificazione abusiva, nel caso in cui, potendo intervenire, se ne fosse astenuto deliberatamente.
La S.C. ha infatti affermato all'inizio degli anni Duemila che l'accertamento della proprietà o della comproprietà da parte dell'imputato del suolo su cui sorge un manufatto abusivo costituisce un elemento di prova idoneo su cui il giudice di merito può fondare il proprio convincimento della partecipazione dell'imputato stesso all'attività edificatoria, in assenza di elementi negativi di prova dai quali possa desumersi che il proprietario (o il comproprietario) sia rimasto estraneo all'attività edilizia o in assenza di elementi di prova (ad esempio l'intestazione di fatture o bolle di accompagnamento) dai quali possa desumersi che detta attività è ascrivibile in via esclusiva ad altri (cfr. sul punto Cass. 23.5-24.8.2000, n. 9168 ric. Chiazza e altro).
Secondo tale tesi, anche a ritenere che uno dei comproprietari non sia il committente dei lavori, lo stesso non potrebbe ritenersi esonerato dalla responsabilità in concorso nel reato edilizio:
a) quando vi è la consapevolezza dell'esecuzione della costruzione abusiva sul proprio fondo;
b) quando vi sarebbe stata la possibilità di un intervento per impedire la prosecuzione dei lavori e invece vi sia stata una deliberata astensione.
Tale impostazione - fatta propria da Cass. Sez. III, 12.11-20.12.2002 n. 43232, Ced Cass. 222969 - riteneva sussistente sul proprietario l'obbligo giuridico di non consentire che con l'utilizzo della cosa propria si realizzasse l'evento dannoso o pericoloso che le disposizioni della legge urbanistica tendono ad evitare.
Questo Gm non ha tuttavia mai ritenuto convincente tale orientamento, ritenendo condivisibili le perplessità di quanti, soprattutto tra i difensori, evidenziavano la genericità e la mancanza di un ancoraggio normativo a tale dovere di controllo, che pareva quasi un obbligo di garanzia, in capo al proprietario.
Chi scrive ha perciò da sempre ritenuto di condividere l'assunto maggiormente restrittivo della giurisprudenza di legittimità secondo cui "in tema di reati edilizi, non può essere attribuito ad un soggetto, per il mero fatto di essere proprietario dell'area, un dovere di controllo, dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva, prescindendo dalla concreta situazione in cui venne svolta l'attività incriminata, cioè senza identificare, in relazione alla specifica situazione di fatto, il comportamento positivo o negativo posto in essere dal soggetto medesimo che possa essere assunto ad elemento integrativo della colpa" (Cass. Sez. III, 7-27.9.2000, n. 10284, Ced Cass 216945; conf. Cass. Sez. III, 29.3- 3..5.2001, n. 17752, Ced Cass. 219387).
Ne conseguiva - secondo tale orientamento- che "il proprietario risponde dei relativi reati non in quanto tale, ma solo se abbia la disponibilità dell'immobile ed abbia dato incarico dei lavori o li abbia eseguiti personalmente; mentre se l'incarico sia stato dato da altro proprietario o da altro detentore, non può essere ritenuto responsabile dell'abuso, anche se abbia espresso adesione alla realizzazione dell'opera"(Cass. Sez. III, 7-27.9.2000, n. 10284, Ced Cass. 216945; conf. Cass. Sez. III, 29.3- 3..5.2001, n. 17752, Ced Cass. 219387)
La giurisprudenza di legittimità maggiormente condivisibile, dunque, ha sempre l'accento sulla situazione concreta posta all'esame del giudice, al fine di valutare adeguatamente la condotta del proprietario non committente, la cui responsabilità deve essere accertata caso per caso sulla base di indizi precisi e concordanti.
È stato così affermato che: "in materia di reati edilizi la responsabilità del proprietario, qualora non sia committente o esecutore dei lavori, può ricavarsi da indizi precisi e concordanti quali l'abitare sul luogo ove si è svolta l'attività illecita di costruzione, la assenza di manifestazioni di dissenso, la fruizione dell'opera secondo le norme civilistiche dell'accessione, ed altri comportamenti positivi o negativi valutabili dal giudice" (così Cass. Sez. III, 22.1.-7.3.2003 n. 10632; Ced Cass. 224334 che ha affermato la compartecipazione di entrambi i coniugi, comproprietari, alla realizzazione dell'opera abusiva)
La giurisprudenza di legittimità, sulla scorta di tale impostazione, ha perciò provveduto nel 2005 ad enucleare quelli che sono più ricorrenti elementi indiziari che possono ragionevolmente portare a presumere che il comproprietario non formalmente committente abbia concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori:
a) la piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo;
b) l'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione;
c) i rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario;
d) la sua eventuale presenza "in loco";
e) lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori;
f) la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria;
g) il regime patrimoniale dei coniugi (così Cass. Sez. III, 12.4-15.7.2005, n. 26121, Ced Cass. 231959).
Andranno, in altri termini, valutate dal giudice tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa.
Orbene, detto ciò ci si rende immediatamente conto di come sia davvero difficile provare la propria estraneità al commesso reato quando, come nel caso in esame, si abiti e si continui ad abitare sul posto in cui é stato realizzato l'abuso.
Pare improbabile, in altri termini, pensare o poter credere, come nel caso in esame, che la prova possa essere integrata dal fatto che i due mariti non sono stati trovati sul posto all'atto degli accertamenti della polizia municipale, peraltro avvenuti nel corso della giornata in orari in cui é normale che fossero al lavoro. E certo poco prova, come detto, la testimonianza di un collega circa lo svolgimento di un'attività lavorativa che porti talvolta ad allontanarsi anche dal proprio comune di residenza
La prova della propria estraneità ai fatti da parte del concorrente, in casi come quello che ci occupa, non é tuttavia esclusa a priori.
La giurisprudenza di legittimità ha sottolineato, però, come gravi sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (così Cass. Sez. III, 19.9.2008 n. 35097, in www.lexambiente.it).
In tale ottica se é difficile provare la propria estraneità al reato per il comproprietario, ancora di più lo é per il coniuge.
Anche per il coniuge che non risulti immediatamente essere stato committente dei lavori vale il principio che il suo concorso nel reato non può essere desunto dal solo essere comproprietario e nemmeno dal solo regime di comunione legale dei beni.
In tal senso la Cassazione ha affermato in un primo tempo che "in tema di reati edilizi, nel regime di comunione legale tra i coniugi, la costruzione abusiva realizzata con le risorse finanziarie di entrambi i coniugi, sul suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno di essi, appartiene esclusivamente a quest'ultimo e l'imputazione non può essere estesa al coniuge non comproprietario, se non come committente dei lavori abusivi con apposita e specifica contestazione" (Cass. Sez. III, 25.9.2002, n. 35848, Ced Cass. 223079).
In altra pronuncia la S.C. ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito i quali avevano fondato la responsabilità del comproprietario, coniuge del committente, non solo sulla considerazione che la comunione di vita rende solitamente partecipe il coniuge delle deliberazioni che assumono rilevanza familiare e sulla mancanza di qualsiasi opposizione manifestata dal coniuge in merito alle opere abusive, ma su plurimi elementi positivi, quali la comunanza di interessi tra i coniugi in relazione all'attività commerciale che veniva svolta nel manufatto, il concreto interessamento posto in essere dal coniuge comproprietario per la realizzazione dell'opera, evidenziatosi anche per mezzo della sottoscrizione diretta di istanze presso varie autorità amministrative (Cass. Sez. III, 4-28.5.2004, n. 24319, Ced Cass. 229428)
La giurisprudenza, nel corso degli anni successivi, nel solco della affermata necessità di valutare il caso concreto e una pluralità di elementi indizianti del concorso, ha creato anche per i coniugi una casistica ormai quasi esaustiva di quelli che sono gli elementi perché si possa e si debba affermare la responsabilità concorrente di quello dei due non committente.
Il primo é che entrambi i coniugi siano proprietari del suolo su cui è stato realizzato il manufatto abusivo e che entrambi abbiano interesse alla violazione dei sigilli per completare l'opera al fine di trasferire colà la propria residenza (Cass. Sez. III, 18.7.2007, n. 28526, in lexambiente.it)
Altro elemento fortemente indiziante del concorso é l'abitare nel luogo ove si è svolta l'attività illecita di costruzione, in uno con l'assenza di manifestazioni di dissenso rispetto alla costruzione dell'opera. E, ancora, il comune interesse alla realizzazione dell'opera.
Proprio in virtù di tale ultimo elemento la Cassazione ha affermato sussistere la responsabilità di un'imputata la quale, benché formalmente residente in altro comune, conviveva con il marito, era con il predetto in regime di comunione di beni e ne condivideva anche le iniziative patrimoniali, tanto da rimanere coinvolta, in un precedente giudizio, unitamente al coniuge, in altri illeciti edilizi) (Cass. Sez. III,, 10.6.2008, n. 23074, in www.lexambiente.it).
In altra ipotesi passata al vaglio dei giudici di legittimità é stato dato assoluto rilievo, ai fini dell'affermazione della penale responsabilità del coniuge concorrente, al regime patrimoniale dei coniugi (comunione dei beni), allo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori, alla richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, alla presenza in loco all'atto dell'accertamento (Cass. Sez. III, 27.10.2008, n. 40014, in www.lexambiente.it).
In tema di reati edilizi, dunque, é oggi pacifico che l'individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell'abuso edilizio, può dunque essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria e che tale valutazione si sottrae al sindacato di legittimità della Suprema Corte in quanto comporta un giudizio di merito che non contrasta nè con la disciplina in tema di valutazione della prova né con le massime di esperienza (così Cass. Sez. III, 11.7-29.9.2007, n. 35631, Ced Cass. 237391; conf. Cass. Sez. III, 24.2-16.4.2009, n. 15926, Ced Cass. 243467).
Orbene, nel caso all'odierno esame non può sfuggire come sussistano una pluralità di elementi indizianti, gravi precisi e concordanti, della concorrente responsabilità dei coniugi, e in primis:
1) l'essersi i lavori abusivi svolti presso l'abitazione coniugale senza che sia stata data alcuna prova di manifestazioni di dissenso da parte dei mariti;
2) l'essere i coniugi comproprietari dell'immobile e pertanto entrambi avendone la disponibilità di fatto e di diritto;
3) l'essere in regime di comunione legale dei beni;
4) il comune interesse economico alla realizzazione dell'opera edilizia abusiva.
Provata appare poi la concorrente responsabilità di tutti gli imputati quanto al reato di violazione dei sigilli aggravata di cui al capo c) dell'imputazione..
È provata la circostanza che le odierne imputate A.G. e C.G., in qualità di custodi del manufatto de quo e, quindi, titolare della disponibilità materiale e giuridica dell'immobile in questione (cfr. verbali di sequestro e di affidamento in custodia in atti), proseguirono o fecero proseguire i lavori per il completamento dello stesso, già sottoposto a sequestro, con coscienza e volontà di ledere l'integrità, quanto meno strumentale e funzionale, dei sigilli legittimamente apposti, nonché con la consapevolezza della sottoposizione dell'immobile a sequestro e della ragione per la quale questo era intervenuto.
Quanto all'estensione ai mariti, "extranei" rispetto al reato proprio commesso dal custode, dell'aggravante di cui all'art. 349 cpv c.p., lo scrivente Giudice ritiene di aderire all'indirizzo, più volte confermato dalla Corte di Cassazione dopo la modifica dell'art. 118 c.p., che vuole estese al concorrente -il quale ne sia a conoscenza o le ignori per colpa - le circostanze relative al "munus publicum" del colpevole.
In proposito la Suprema Corte ha osservato da epoca ormai risalente che "a seguito della sostituzione del testo dell'art. 118 c.p. ad opera dell'art. 3 l. 4.2.1990 n. 19, al concorrente non si comunicano più le circostanze soggettive concernenti i motivi a delinquere, l'intensità del dolo, il grado della colpa e quelle relative all'imputabilità ed alla recidiva. Conseguentemente sono ancora valutate riguardo a lui le altre circostanze soggettive indicate dall'articolo 70 primo comma n. 2 c.p. cioè quelle attinenti alle qualità personali del colpevole ed ai rapporti tra il colpevole e la persona offesa. Si estendono, dunque, al concorrente -il quale ne sia a conoscenza o le ignori per colpa - le circostanze relative al munus publicum del colpevole" (in tal senso Cass. Sez. VI 24.3-21.5.1983 n. 853, Ced Cass. 194189 che ha applicato tale principio proprio ad un caso di estensione della circostanza aggravante della qualità di custode al concorrente nel reato di violazione di sigilli).
Nel caso all'odierno esame, trattandosi di coniugi comproprietari, appare indubitabile che i mariti conoscessero lo stato di custodi giudiziali delle mogli.
Tenuta presente la tipologia delle opere ed i tempi degli accertamenti da parte dei vigili, appare chiara l'esistenza di un medesimo disegno criminoso volto ab initio alla realizzazione dell'intero immobile in assenza del necessario permesso per costruire. Se a ciò si aggiunge l'intima connessione obiettiva esistente tra i predetti reati e il necessario nesso teleologico intercorrente tra la violazione di sigilli e il reato urbanistico, il primo momenti delittuosi di necessario transito al fine della realizzazione dell'opera abusiva, non può non riconoscersi tra tutte le fattispecie contestate l'esistenza del vincolo della continuazione ai sensi dell'art. 81 cpv. cp.
Quanto alla vexata quaestio in merito alla possibilità di riconoscere la continuazione tra reati contravvenzionali e delitti e circa i criteri da seguire per l'individuazione tra questi del reato più grave, questo Giudice ritiene di aderire alla tesi -che trova anch'essa largo riscontro in giurisprudenza- che dà una risposta positiva al primo quesito e che afferma come obbligato il riconoscimento di una maggiore gravità, indipendentemente dalla maggiore o minore afflittività del regime sanzionatorio previsto dal legislatore, per i delitti rispetto alle contravvenzioni.
Al riguardo la S.C. ha affermato che "al fine di identificare la violazione più grave, ai sensi dell'art. 81 cp., occorre rifarsi alle valutazioni operate dal legislatore nel momento di posizione delle norme incriminatrici: da ciò discende, che, nel concorso tra delitto e contravvenzione, violazione più grave debba essere sempre ritenuta il delitto, al di là dell'entità delle sanzioni previste, giacché a tale figura di reato il legislatore attribuisce valore di più grave violazione dell'ordine sociale e conseguenze più rilevanti per le relative condanne. In applicazione testuale dell'art. 81 la pena base che dovrà essere aumentata per effetto della continuazione, non potrà che essere quella prevista per il reato più grave, senza riguardo alla qualità della sanzione edittalmente prevista per i reati satelliti". (Cass. Sez. Un. ud. 27.3.92, pres. Zucconi Galli Fonseca, imp. Cardarilli).
Né può affermarsi che la pena infliggenda agli imputati per effetto della riconosciuta continuazione possa dirsi "illegale" - come sostenuto da taluni- in quanto non prevista dal legislatore.
Il principio di legalità, infatti, non si esaurisce nelle pene stabilite per le singole fattispecie legali, ma trova applicazione anche nelle pene risultanti dall'applicazione di varie disposizioni di legge che incidono sul regime sanzionatorio medesimo, quale quella di cui all'art. 81 cpv. c.p.
Agli imputati, in relazione all'assenza di precedenti penali e per meglio adeguare l'irroganda pena, vanno concesse ex art. 62 bis c.p le circostanze attenuanti generiche, che - giudicate equivalenti all'aggravante contestata al capo c) della rubrica - portano la contestata violazione di sigilli dall'ipotesi aggravata del secondo comma a quella semplice del primo comma dell'art. 349 del codice penale.
Quanto alla pena, tenuto conto dei criteri espressi dall'art. 133 c.p. e principalmente dei mezzi e delle modalità dell'azione criminosa, appare congruo determinarla in mesi nove di reclusione ed euro novecento/00 di multa ciascuno (pena base per il più grave reato, cioè il delitto di cui all'art. 349 c.p. ritenuto quoad poenam nella forma semplice in virtù dell'espresso giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche, mesi sette di reclusione ed euro 500,00 di multa, aumentata come sopra per la continuazione con il reato di cui al capo a) dell'imputazione).
Segue la condanna degli imputati al pagamento in solido delle spese processuali.
Ai sensi dell'art. 31 c.p. A.G., D.A., C.G. e B.M. vanno inoltre condannati all'interdizione dai pubblici uffici per una durata pari alla pena inflitta e, comunque, non inferiore ad anni uno, per essere stati riconosciuti colpevoli di un reato commesso con l'abuso dei poteri ed in violazione dei doveri inerenti la pubblica funzione di custode giudiziario.
A tutti gli imputati, in considerazione dell'incensuratezza, può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena ex art. 164 c.p.c., ritenendo questo Giudice che possa dirsi presumibile che gli stessi si asterranno per il futuro dal compiere nuovi reati.
Ai sensi dell'art. 31, co. 9 Dpr. 380/01 va in ogni caso ordinata la demolizione del manufatto meglio descritto in rubrica se non altrimenti eseguita.
Ai sensi dell'art. 323 c.p.p. va altresì disposto il dissequestro dell'immobile, se non già eseguito, e la restituzione dello stesso all'imputato al passaggio in giudicato della sentenza.
La norma suddetta prevede, infatti, al terzo comma, in materia di perdita di efficacia del sequestro preventivo, che "se è pronunciata sentenza di condanna, gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate". Nel caso di specie la confisca non può essere disposta.
In materia di violazioni edilizie è stato, infatti, in più occasioni rilevato come l'immobile abusivo, pur essendo il corpo del reato, non sia un bene confiscabile a causa dei concorrenti poteri riservati dalla legislazione all'autorità amministrativa (si confronti per tutte Cass. Sez. Unite 10.10.1987, Bruni, in Cass. pen. 1988, p. 420, n. 349).
Orbene, per giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, allorquando non debbano essere confiscati, i beni oggetto del sequestro preventivo devono essere restituiti, a meno che ciò non avvenga prima per il venir meno delle esigenze cautelari che avevano determinato il sequestro, una volta intervenuta la sentenza definitiva.
In tal senso appare condivisibile l'orientamento espresso sino a qualche anno or sono dalla S.C. secondo cui "il sequestro di un manufatto edilizio abusivo non può essere mantenuto oltre il termine di irrevocabilità della sentenza" e "detta misura cautelare è operativa, medio termine, fino a quando lo consiglino le esigenze probatorie e le altre prognostiche, ad evitare che il reato sia portato a conseguenze ulteriori" (così Cass. Sez. III sent. 26.9.1989 - ud. 7.10.1988 - Pres. Colasurdo Rel. Sacchetti P.M. Guardascione (concl. conf.), Fabiani in Cass. Pen. 1990 1433).
Le misure cautelari, infatti, si caratterizzano per la loro strumentalità rispetto alla decisione finale ed è quindi chiaro che una volta concluso il processo non c'è ragione che esse siano mantenute.
Rispondendo ad una serie di obiezioni sul punto, la S.C. ha peraltro affermato la piena compatibilità tra il dissequestro dell'immobile e l'ordine di demolizione di cui all'art. 7 l. 47/1985, precisando che dopo la sentenza definitiva il sequestro preventivo non può essere mantenuto al fine di consentire alla pubblica amministrazione di assumere le proprie determinazioni, perché altrimenti la misura cautelare rimarrebbe operante per finalità che non le sono proprie e l'Autorità Giudiziaria verrebbe ad esercitare un potere che l'ordinamento non le conferisce (si cfr. sul punto Cass. sez. 3, 12.3.1988, Riccioni; Cass. sez. VI, 4.12.1980, Caforio, in Giust. Pen. 1981,III, pag. 193).
È stato inoltre precisato che la restituzione dell'immobile sequestrato perché abusivamente realizzato non può che avvenire nei confronti di colui al quale ne sia stata sottratta la disponibilità al momento dell'esecuzione del provvedimento di sequestro.
La S.C. ha, infatti, ribadito il principio che "non è consentita la restituzione in favore dell'Amministrazione neppure al solo fine della demolizione, poiché questa è una sanzione amministrativa, applicabile direttamente dalla pubblica amministrazione medesima in sede di autotutela" e che l'immobile va restituito all'ente territoriale "solo quando il predetto iter amministrativo sia stato completato (acquisizione e titolo per l'immissione in possesso) in modo incontestato e definitivo" (così Cass. sez. VI sent. n. 676 del 25.1.1993 -ud. 22.12.1992- rv. 193476; conf. Cass. sez. III, 4.4.1991, in Mass. uff. C.E.D. n. 187004).
Il dissequestro andrà effettuato al passaggio in giudicato della sentenza.
Non appare, infatti, condivisibile l'orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui "il sequestro di uno stabile, costruito abusivamente, non può essere mantenuto dopo la sentenza di primo grado, data ultima di cessazione della permanenza del reato, qualora esso sia finalizzato ad impedire la prosecuzione dell'attività criminosa" (si confronti per tutte Cass. sez. III sent. 27.4.1989 - ud. 13.3.1989, Pres. Piozzi, Rel. Specchio - P.M. Ciani (concl. conf.) Palombo (181137) In Cass. Pen. 1990, 1432).
Vari sono i motivi che inducono lo scrivente giudicante a non aderire alla più recente tesi propugnata dalla Suprema Corte.
In primo luogo viene in rilievo la considerazione che la permanenza del reato di costruzione abusiva non cessa unicamente con la sentenza di primo grado.
La stessa Cassazione, infatti, ha riconosciuto in alcune pronunce (ad esempio Cass. sez. III sent. N. 5780 del 15.3.1988 -10.05.1988, ric. Oppermann rv. 178369) che già l'esecuzione del provvedimento di sequestro interrompe la permanenza del reato perché sottrae all'imputato la disponibilità, di fatto e di diritto, dell'immobile.
Se si accede a tale tesi, combinata con quella che vuole che non si possa mantenere il sequestro allorquando cessi la permanenza del reato, si giungerebbe alla conclusione paradossale che il sequestro dovrebbe essere revocato un attimo dopo averlo posto in esecuzione. Inoltre, appare chiaro come l'istituto del sequestro, sia quello previsto dall'art. 219 del codice di rito previgente che quello di cui all'art. 321 del nuovo c.p.p., non sia finalizzato unicamente ad evitare l'aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato, concetti che peraltro non coincidono necessariamente con quello di permanenza del reato stesso. ma miri anche ad impedire che la libera disponibilità di cose pertinenti al reato possa agevolare la commissione di altri reati.
In altri termini, non è detto che una volta cessata da un punto di vista meramente formale la permanenza del reato con la sentenza di primo grado vengano necessariamente a cessare anche le esigenze preventive che avevano giustificato la misura coercitiva reale.
Ben potrebbero, infatti, i destinatari della misura, attraverso l'utilizzazione degli immobili dissequestrati nelle more del passaggio in giudicato della sentenza, aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero commettere ulteriori reati.
Del resto, verso tale interpretazione conduce anche l'analisi del combinato disposto dei commi primo e terzo del citato art. 323 c.p.p.
Al primo comma, infatti, il legislatore ha espressamente previsto che "con la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ancorché soggetta a impugnazione, il giudice ordina che le cose sequestrate siano restituite a chi ne abbia diritto, quando non deve disporre la confisca a norma dell'articolo 240 del codice penale" e che in tal caso "il provvedimento è immediatamente esecutivo". Al terzo comma identica previsione di immediata esecutività non è stata prevista allorquando il legislatore ha previsto che "se è pronunciata sentenza di condanna, gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate", quindi che in caso di sentenza di condanna (passata in giudicato) gli effetti del sequestro, come disposto da questo G.M., non possono permanere.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 cpp., dichiara A.G., D.A., C.G. e B.M. colpevoli dei reati ascritti loro ai capi a) e c) dell'imputazione e, concesse agli stessi le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, unificati i reati suddetti con il vincolo della continuazione, li condanna alla pena di mesi nove di reclusione ed euro novecento/00 di multa ciascuno oltre al pagamento in solido delle spese processuali.
Letto l'art. 31 c.p. dichiara A.G., D.A., C.G. e B.M. interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni uno.
Concede a A.G., D.A., C.G. e B.M. il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Letto l'art. 31 co. 9 Dpr 380/01 ordina la demolizione del manufatto meglio descritto in rubrica, se ancora non sia stata già altrimenti eseguita
Dissequestro del manufatto, al giudicato, e restituzione agli aventi diritto.
Letto l'art. 531 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di A.G., D.A., C.G. e B.M. in ordine al reato loro ascritto al capo b) dell'imputazione per essersi lo stesso estinto per intervenuta prescrizione.
Marano, 4.10.2010
IL GIUDICE MONOCRATICO
(dr. Vincenzo Pezzella)