La disciplina delle terre e rocce da scavo alla luce del D.L.vo n. 205/2010.

di Giulio FORLEO

 

 

 

La disciplina delle terre e rocce da scavo ha da sempre suscitato largo interesse e incertezza tanto in dottrina che in giurisprudenza a causa della sua difficile collocazione rispetto alla nozione di rifiuto.

La notevole produzione normativa in materia di rifiuti, degli ultimi anni, non ha certamente aiutato l’interprete a districarsi tra i differenti livelli normativi (nazionale, regionale, provinciale e comunale) che caratterizzano la materia.

Proprio per questo motivo è imprescindibile, nella trattazione dell’argomento terre e rocce da scavo, una breve ricostruzione storica della normativa statale, per poi passare all’analisi delle classificazioni che i materiali lapidei e terrosi scavati nell’ambito di differenti processi lavorativi possono assumere alla luce della attuale normativa in materia.

 

Premessa storica

Inizialmente, con il decreto Ronchi le terre e rocce da scavo venivano ricondotte nell’Allegato A e venivano inquadrate come rifiuti, laddove si fosse in presenza delle specifiche caratteristiche previste dall’art. 6, comma 1, lett. a) del D.L.vo n. 22/97.

Nel luglio 2000 il Ministero dell’Ambiente emanava una circolare1 con cui sottolineava la natura di rifiuto delle terre e rocce da scavo ponendo, però, l’attenzione sul concetto di “disfarsi, la decisione di disfarsi e/o l’obbligo di disfarsi”.

Data la disomogeneità dell’argomento, si registrarono numerosi interventi della giurisprudenza che, in contrapposizione alla delucidazioni fornite dal Ministero dell’Ambiente, focalizzava l’attenzione sulla natura di rifiuto delle terre e rocce da scavo2.

A ricomporre la frastagliata situazione interpretativa è, poi, intervenuta la legge 23 marzo 2001, n. 93 che ha ampliato l’elenco dei rifiuti/prodotti esclusi dal campo di applicazione dell’art. 8 del D.L.vo n. 22/97, introducendo due nuove lettere che prevedevano l’esclusione delle terre e rocce da scavo dalla disciplina dei rifiuti in presenza di due condizioni determinate: la destinazione ad un utilizzo effettivo e la non provenienza da siti inquinati e da bonifiche con concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti di cui al D.M. n. 471/1999.

Successivamente, con la legge n. 443/2001 (legge obiettivo), è stata prevista l’esclusione dal regime dei rifiuti delle terre e rocce da scavo, laddove si rilevasse la presenza di determinate condizioni.

L’argomento è stato però sottoposto a continue integrazioni e modificazioni e così, nuovamente, con l’art. 23 della legge 31 ottobre 2003, n. 306 (Legge comunitaria 2003) sono state introdotte talune innovazioni all’art. 1, comma 17, della legge n. 443/2001 in tema di terre e rocce da scavo.

Anche dopo l’approvazione del c.d. Codice dell’ambiente (D.L.vo 152 del 2006) che ha disciplinato la materia con l’art. 186 rubricato proprio “terre e rocce da scavo”, la produzione normativa non si è affatto arrestata.

Si devono, infatti, registrare gli importanti interventi legislativi del D.L.vo n. 4 del 2008 (che ha riformulato totalmente l’art. 186), della L. 28 gennaio 2009 n. 2 e del D.L.vo 3 dicembre 2010 n. 205 (che ha introdotto gli articoli 184 bis, 184 ter e ha riformulato l’art. 185).

 

Le possibili classificazioni delle terre e rocce da scavo.

Con l’espressione “terre e rocce da scavo” si intendono quei materiali provenienti da attività di scavo del terreno, lavorazione, taglio e lavaggio della pietra naturale e degli inerti in cui siano assenti corpi estranei compresi frammenti o frazioni di materiale quali detriti, macerie, frammenti di laterizi, asfalto.

A seconda dell’effettivo utilizzo che si fa dopo la loro escavazione e del processo trasformativo a cui vengono eventualmente sottoposte, le terre e rocce da scavo possono rientrare nelle differenti categorie normative delle materie prime, dei sottoprodotti, dei rifiuti e delle materie prime seconde.

 

1 – Materie prime – All’art. 185 Cod. Amb., modificato da ultimo ad opera dell’art. 13 del D.L.vo 205/2010, il legislatore indica le categorie di sostanze e oggetti che non rientrando nel campo di applicazione della parte quarta del decreto, relativa appunto alla gestione dei rifiuti e alla bonifica dei siti inquinati, possono qualificarsi come materie prime.

Proprio con riferimento al materiale scavato, al comma 1 lett. c) dell’art. 185 si legge che non rientra nel campo di applicazione della parte quarta “il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale scavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.

Per evitare dubbi interpretativi e per mettere in risalto la necessità, ai fini dell’esclusione, del riutilizzo in loco dei terreni in questione, nel successivo comma 4 dello stesso articolo il legislatore precisa che “il suolo scavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono scavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184 bis e 184 ter3.

 

2) Nell’ipotesi in cui, dunque, si accerti che i materiali siano destinati ad un utilizzo in sito diverso da quello di estrazione, l’attenzione dell’interprete deve necessariamente spostarsi sulla annosa questione della riconducibilità delle terre e rocce da scavo nella categoria dei c.d. sottoprodotti, di cui agli artt. 184 bis e 186, piuttosto che in quella dei rifiuti, di cui all’art. 183, comma 1, lett. a).

 

2.1 – Sottoprodotti – Quanto alla nozione di sottoprodotto, ragionando a contrario rispetto a quella di rifiuto, esso deve evidentemente intendersi, come quel bene di cui il produttore non intende disfarsi ma vuole riutilizzare in un ciclo produttivo preventivamente individuato e definito.

Sul punto bisogna dar conto delle importanti novità introdotte dal Decreto legislativo 205/2010 che, da un lato, ha introdotto l’art. 184 bis rubricato proprio “Sottoprodotto”, dall’altro lato, ha previsto con l’art. 39, comma 4) l’abrogazione dell’art. 186 “Terre e rocce da scavo”.

Con l’art. 184 bis il legislatore ha modificato la nozione di sottoprodotto, avvicinando la normativa italiana a quella comunitaria e prevedendo criteri di individuazione in parte differenti rispetto alla formulazione in precedenza vigente e contenuta all’art. 183, comma. 1, lett. p), che poneva diverse condizioni caratterizzanti il sottoprodotto (la circostanza per cui la sostanza o l’oggetto devono essere impiegati direttamente dall’impresa che li produce; la commercializzazione a condizioni economicamente favorevoli; il fatto che non sia necessario operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; la certezza di riutilizzo del sottoprodotto).

Oggi è definito “sottoprodotto” qualsiasi sostanza che presenti contemporaneamente alcune caratteristiche, ovvero:

  1. la sostanza deve essere originata da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non sia la produzione di tale sostanza od oggetto;

  2. è necessario che la sostanza venga riutilizzata nel corso di un successivo processo di produzione o anche di utilizzazione da parte del produttore o di terzi;

  3. deve essere inoltre certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso e/o di un successivo processo di produzione e/o di utilizzazione, da parte del produttore o anche di terzi e la sostanza o l’oggetto deve essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale4;

  4. infine, è necessario che l’ulteriore utilizzo sia legale, ossia che la sostanza o l’oggetto soddisfi, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porti a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

Al comma 2 dell’art. 184-bis è prevista la possibilità di emanazione di uno o più decreti del ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di definire, nel rispetto delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 184-bis, anche criteri qualitativi e/o quantitativi affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotto e non rifiuto. Al riguardo, l’amministrazione ha la facoltà di stabilire, con successivi Dm, regole tecniche che facilitino l’operazione di verifica della corrispondenza, per alcune categorie di sostanze, dei criteri indicati al primo comma.5

Come accennato sopra, l’altra rilevante modifica apportata dal D.L.vo 205/2010 è l’abrogazione dell’art. 186 del Codice dell’Ambiente.

In particolare l’art. 39 del D.L.vo 205/2010 prevede che “Dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’articolo 184-bis, comma 2, è abrogato l’articolo 186”6.

Ciò vuol dire che fino all’emanazione di un apposito decreto ministeriale, che detterà le condizioni in base alle quali le terre e rocce saranno qualificabili come sottoprodotto, l’art. 186 del D.L.vo 152/06 resterà in vigore.

Attualmente, dunque, è l’art. 186 che disciplina in maniera specifica, all’interno della categoria di sottoprodotti, le terre e rocce da scavo indicando le seguenti condizioni:

“Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 185, le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purché:

  1. siano impiegate direttamente nell'ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti;

  2. sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell'integrale utilizzo;

  3. l'utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari7 per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate;

  4. sia garantito un elevato livello di tutela ambientale;

  5. sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;

  6. le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d'uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione;

  7. la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata.

L'impiego di terre da scavo nei processi industriali come sottoprodotti, in sostituzione dei materiali di cava, è consentito nel rispetto delle condizioni fissate all'articolo 183, comma 1, lettera p).”

Ai fini della esclusione delle terre e rocce da scavo dal novero dei rifiuti è necessaria la sussistenza di tutte le condizioni sopraelencate. In caso contrario il loro riutilizzo rientra nella disciplina di gestione dei rifiuti.

 

2.2 – Rifiuti – Le terre e rocce da scavo che non soddisfano le condizioni previste dagli articoli 184 bis, 184 ter, 185 e 186 sono da considerarsi rifiuti8.

Là dove, dunque, il produttore-detentore delle terre e rocce da scavo, “si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi” di tali materiali, questi vengono definiti rifiuti ai sensi dell’art. 183 lett. a).

Il relativo codice CER da assegnare in questo caso è il 17.05.03* se contenenti sostanze pericolose, ovvero il codice 17.05.04 se non contenenti sostanze pericolose.

 

3 – Materie prime seconde – Le terre e rocce da scavo che vengono considerati rifiuti e portati in discarica possono essere stoccati e trattati per essere riutilizzati, diventando materia prima seconda. Al riguardo, il D.L.vo 205/2010 ha introdotto nel Codice dell’Ambiente l’articolo 184-ter in cui si prevede la specificazione delle modalità attraverso le quali un rifiuto cessa di essere tale, ovvero “quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici”9.

Tali criteri dovranno essere previsti con Dm da adottare nel rispetto di condizioni specifiche: che la sostanza o l’oggetto sia comunemente utilizzato per scopi specifici; che esista un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; che la sostanza o l’oggetto soddisfi i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetti la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; nonché che l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Tale disposizione prende il posto di quella contenuta nel previdente articolo 181-bis “materie, sostanze e prodotti secondari”. È rilevante constatare che al comma 2 si prevede che “l'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni”.

 

Da ultimo bisogna dar conto dell’ampliamento della nozione di terre e rocce da scavo messo in atto dalla L. 27 febbraio 2009 n. 13 attraverso l’introduzione dei commi 7 bis e 7 ter dell’art. 186 del Cod. Amb..

In particolare, al comma 7 bis è previsto che le terre e rocce da scavo possono essere utilizzate, qualora ne siano accertate le caratteristiche ambientali, per interventi di miglioramento ambientale e di siti anche non degradati a condizione che garantiscano il conseguimento di almeno uno dei seguenti obiettivi:

- miglioramento della copertura arborea o della funzionalità per attività agro-silvo-pastorali;

- miglioramento delle condizioni idrologiche rispetto alla tenuta dei versanti e alla raccolta e regimentazione delle acque piovane.

- miglioramento della percezione paesaggistica.

Quanto alla compatibilità del materiale rispetto all’intervento da realizzare, si può notare che il comma 7 bis fa un generico riferimento all’accertamento delle caratteristiche ambientali.

Sul piano pratico tale formulazione pone una serie di delicati problemi di coordinamento con le altre disposizioni contenute nell’art. 186.

Infatti, si può osservare che il comma 1 già prevede la possibilità di utilizzare le terre e rocce per rimodellazioni, riempimenti, reinterri, rilevati e cioè tipologie di opere che, nella loro accezione più ampia, ricomprendono le tipologie di opere espressamente indicate dal nuovo comma 7 bis.

Ciò detto si pone il problema se le condizioni per il reimpiego dettate dal comma 1 debbano essere osservate anche nei casi indicati dal comma 7 bis ovvero se per queste ultime tipologie sia sufficiente l’accertamento delle caratteristiche ambientali come previsto dal citato comma 7 bis.

Considerato che l’adesione a questa seconda tesi interpretativa creerebbe una sostanziale situazione di disparità di trattamento a parità di tipologia di materiale ed anche per molti aspetti di opera nella quale verrebbe riutilizzato, si propende nel ritenere che l’accertamento delle caratteristiche ambientali debba essere svolto attraverso la verifica delle condizioni indicate nel comma 1.

Con il comma 7 ter, invece, vengono equiparati alla disciplina dettata per le terre e rocce da scavo i residui provenienti dall'estrazione e lavorazione di marmi e pietre

Premesso che gran parte degli scarti estrattivi possono rientrare nella fattispecie più generale dei sottoprodotti, la nuova normativa è comunque rilevante in quanto facilita soprattutto l’utilizzo dei residui (siano essi derivanti dalla vera e propria attività estrattiva che dalle attività propedeutiche all’estrazione) quali le terre da coltivo o superficiali.

È però evidente che la qualifica di sottoprodotti potrà essere ottenuta solo nel rispetto delle prescrizioni degli artt. 184 bis e 186.

 

Procedura amministrativa per riconoscimento qualifica sottoprodotti.

La procedura di accertamento dei requisiti di cui all’art. 186 Cod. Amb., ai fini dello svincolo delle terre e rocce da scavo dal regime dei rifiuti, e i relativi tempi dell’eventuale deposito in attesa di utilizzo, è stata differenziata a seconda del tipo di procedimento di approvazione dei progetti da cui originano tali materiali.

In generale occorre premettere che con il D.L.vo 152/2006 il soggetto preposto allo svincolo dal regime dei rifiuti non è più quello che autorizza all’intervento di destinazione, ma quello competente ad autorizzare lo scavo da cui si originano le terre e rocce. Non è più necessario, inoltre, il preventivo parere obbligatorio dell’Arpa competente.

Per quanto concerne gli interventi soggetti a VIA o ad AIA, il comma 2 dell’art. 186 D.L.vo 152/2006 prevede che la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1, nonché i tempi per l’eventuale deposito dei materiali di scavo in attesa di utilizzo10, devono risultare da
apposito progetto che è approvato dalla autorità titolare del relativo procedimento di VIA o AIA.

Quindi, all’iniziale presentazione della domanda di autorizzazione di VIA o AIA dovrà seguire, prima dell’inizio delle operazioni di escavazione, la presentazione di apposito progetto di utilizzo delle terre e rocce da scavo ed infine, in presenza dei suddetti requisiti, l’approvazione del progetto di utilizzo da parte della Autorità competente.

Il deposito dei materiali di scavo in attesa di utilizzo di norma non può essere superiore a 1 anno, mentre può essere fino a 3 anni nell’ipotesi in cui sia previsto il riutilizzo nello stesso intervento oggetto della autorizzazione.

Ove, invece, la produzione di terre e rocce da scavo avvenga nell’ambito della realizzazione di opere o attività soggette a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività (DIA), la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1 dell’art. 186 deve essere dimostrata e verificata nell’ambito della stessa procedura del permesso di costruire, se dovuto, o secondo le modalità della dichiarazione di inizio attività.

In questa ipotesi alla presentazione del permesso di Costruire o alla DIA dovrà essere allegato apposito progetto di utilizzo delle terre e rocce da scavo.

La durata del deposito dei materiali in attesa di utilizzo non può mai essere superiore ad un anno.

Da ultimo, al comma 4 dell’art. 186, viene disciplinata la produzione di terre e rocce da scavo nel corso di lavori pubblici non soggetti né a VIA né a permesso di costruire o denuncia di inizio attività.

In questi casi la sussistenza dei requisiti, nonché i tempi dell’eventuale deposito in attesa di utilizzo, che non possono superare un anno, devono risultare da idoneo allegato al progetto dell’opera, sottoscritto dal progettista.


Giulio Forleo



1 Circolare del Ministero dell’Ambiente n. UL/2000/10103 sulla“Applicabilità del D.L.vo 22/97 alle terre e rocce da scavo”  con la quale il Ministero intendeva chiarire se le terre e rocce da scavo ricadessero o meno  nella sfera giuridica dei rifiuti, se “soddisfino la definizione di rifiuto di cui all’art. 6 Dlgs 22/97 " ed in particolare chiarire se la normativa rifiuti debba o meno  essere applicata solo ed esclusivamente a terre e rocce da scavo  se pericolose, in quanto classificate rifiuti speciali a norma dell’art 7 comma 3  Dlgs 22/97 :  “sono considerate  rifiuti le terre e rocce da scavo che presentino concentrazioni di inquinamenti superiori ai limiti accettabili del Dm 471/99  e vengano sottoposte o destinate al normale ciclo di utilizzo della terra quali, a titolo esemplificativo, la realizzazione di rilevati e sottofondi stradali, rimodellamenti morfologici, l’impiego in attività agricole, riempimenti ecc. il produttore non si disfa né decide di disfarsi di tali materiali e questi ultimi non sono rifiuti. ….Infatti, nel caso specifico viene meno il requisito essenziale per qualificare un materiale o un oggetto come rifiuto perché lo stesso non viene destinato né ad operazioni di recupero né di smaltimento. Infine, per quanto riguarda la possibilità di utilizzare direttamente le terre da scavo nel sito dove le stesse sono prodotte, si rileva che tale opzione per sua natura non comporta né un disfarsi nel senso sopra esposto né alcuna modifica qualitativa delle caratteristiche del sito. Si ritiene, perciò, che tale utilizzo non sia sottoposto al regime dei rifiuti ma possa essere effettuato sulla base degli elaborati progettuali relativi all’intervento che produce le terre da scavo medesime, salvo, in ogni caso, l’obbligo di procedere alla bonifica ai sensi dell’art. 17 e del D.M. 471/99 qualora ne ricorrano i presupposti.".

2 v. ex multis Cass. pen., sez. III, 4 agosto 2000, n. 241.

3 In linea con le indicazioni comunitarie il legislatore nazionale, con riferimento ai suoli scavati non contaminati utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, rimanda ad un esame in base alla nozione di rifiuto e alle disposizioni sui sottoprodotti o sulla cessazione della qualifica di rifiuti. Nelle premesse della Direttiva 2008/98/CE, al suo undicesimo considerando, è previsto infatti che “La qualifica di rifiuto dei suoli escavati non contaminati e di altro materiale allo stato naturale utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati dovrebbe essere esaminata in base alla definizione di rifiuto e alle disposizioni sui sottoprodotti o sulla cessazione della qualifica di rifiuto ai sensi della presente direttiva”.

4 Sul significato di “trattamento diverso” v. GIAMPIETRO P., SCIALO' A., I residui dell’industria cartaria: rifiuti o sottoprodotti?, in www.lexambiente.it, secondo cui “In particolare, la Commissione UE (nella sua nota  “Comunicazione del 2007 sui rifiuti e sui sottoprodotti” già citata a nota 6), optando per un’interpretazione estensiva dei trattamenti consentiti, ha affermato espressamente che “[…] dopo la produzione, il sottoprodotto può essere lavato, seccato,, raffinato o omogeneizzato…oggetto a controlli di qualità.., ecc.“. Quindi, in linea con gli orientamenti del Giudice comunitario, l’autorevole Organo esecutivo della Comunità si è espressamente pronunciato a favore dell’ammissibilità di tutti quei trattamenti che, da un punto di vista sostanziale,   non incidono, come si è detto sulla scorta della giurisdizione comunitaria,   sull’identità merceologica e sulle qualità ambientali del bene e, per ciò stesso, sono denominabili come “minimali” (oltre che riscontrabili nella “normale pratica industriale”).Nello stesso senso si orienta, anche se con qualche approssimazione e incoerenza, la giurisprudenza nazionale, individuando fattispecie di trasformazioni o trattamenti che, di volta in volta, sono stati considerati compatibili con la categoria giuridica del “sottoprodotto”.

5 v. relazione illustrativa al D.L.vo 205/2010 in www.minambiente.it.

6 Si tratta, in altri termini, di quel decreto ministeriale cui è affidata l’adozione delle misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. Tali disposizioni - come sottolinea la Relazione illustrativa – sono ormai rese superflue dalla nuova nozione di sottoprodotto, dalla previsione dei casi di cessazione della qualifica di rifiuto e dalla gamma di esclusioni prevista dall’art. 185.

7 Sul punto v. la pronuncia della Corte di Cassazione, sez. III, penale, 6 novembre 2008, n. 41331 la quale, con riferimento alle le terre e rocce da scavo, ha fatto rientrare, tra le operazioni di trattamento preliminare ammesse, anche interventi di frantumazione”  e cioè operazioni che si spingono sino addirittura a modificare la composizione fisica dei sottoprodotti, senza incidere però sulla loro identità merceologica o di qualità ambientale.

8A titolo di esempio v. Cass. pen, sez. III, 22 novembre 2010, n. 41016 secondo cui “La non assimilazione degli inerti derivanti da demolizione di edifici o da scavi di strade alle terre e rocce da scavo è stata ribadita con il decreto legislativo n. 156 del 2006 (Cass. pen. sez. III n. 103 del 15.1.2008 Pagliaroli). Pertanto, gli inerti provenienti da demolizioni di edifici o da scavi di manti stradali erano e continuano ad essere considerati rifiuti speciali anche in base al decreto legislativo n. 152 del 2006, trattandosi di materiale espressamente qualificato come rifiuto dalla legge, del quale il detentore ha l'obbligo di disfarsi avviandolo o al recupero o allo smaltimento”.

9 Insieme alla nozione di sottoprodotto, l’altro strumento idoneo a delimitare la nozione di rifiuto è, dunque dato dalla cessazione dello status di rifiuto (End Of Waste – EOW) che costituisce una misura concreta per dare attuazione alla “gerarchia dei rifiuti”, consentendo che determinati rifiuti cessino, dopo adeguate operazioni di recupero e riciclo, di essere rifiuto e possano, di conseguenza, essere reintrodotti nel ciclo economico con ciò riducendo il consumo di materie prime e il quantitativo di rifiuti da destinare allo smaltimento.

10 Nel caso in cui il progetto di riutilizzo approvato preveda un deposito intermedio, decorso il termine previsto (comunque non superore ai limiti di legge) si deve provvedere alla rimozione come riutilizzo, se nel cantiere di destinazione finale è stato approvato il progetto di riutilizzo, altrimenti si procede alla rimozione come rifiuto; se, invece, il materiale viene trattato come rifiuto fin dall'origine si devono seguire le procedure previste dalla parte IV del D.L.vo 152/06 e spetta al produttore gestire il flusso del rifiuto in modo corretto fino allo smaltimento o recupero in un impianto autorizzato. Nel caso si opti per il deposito in attesa di utilizzo in un sito intermedio che non è già ricompreso in un permesso di costruire o D.I.A. edilizia è necessario ottenere uno specifico titolo abilitativo edilizio.