Lo stato della normativa e del contenzioso amministrativo in materia di inquinamento elettromagnetico

di Matteo Ceruti

 

 

 

1.- Premessa: il bilancio di un decennio dall’approvazione della legge quadro.

A dieci anni dall’approvazione della legge quadro 36/2001, possiamo stilare un primo bilancio della sua concreta attuazione, evidenziando come la stessa, pur enunciando importanti principi (è la prima legge italiana in cui ha fatto ingresso il principio della precauzione, ora diventato principio generale del diritto ambientale) ed avendo una solida impostazione normativa di base (sia in termini di disciplina degli strumenti di tutela, che di equilibrata distribuzione delle competenze tra diversi livelli di governo, ed anche in termini di meccanismi controllo e sanzionatori), lo diciamo amaramente, ha sostanzialmente fallito.

Di più. Per certi versi legge 36 è un classico esempio di un buon testo normativo che tuttavia subisce un fenomeno di “eterogenesi dei fini” in quanto il concreto esito oggettivo della sua applicazione è contrario al risultato voluto dal legislatore.

Questo fallimento è imputabile, in sintesi, a quattro ordini di ragioni:

  • problemi intrinseci alla legge quadro,

  • un’attuazione soltanto parziale della stessa legge,

  • il suo depotenziamento ad opera della normativa statale successiva,

  • ed infine un’applicazione giurisprudenziale da parte del G.A. largamente insoddisfacente.

 

2.- I limiti intrinseci della legge quadro (i problemi della regolamentazione locale).

Le maggiori timidezze ed in certezze la legge 36 le sconta in relazione alla distribuzione delle competenze tra i diversi soggetti istituzionali e, più precisamente, con riferimento alla regolamentazione locale degli impianti di cui all’art. 8, comma 6.

Le questioni fondamentali che riguardano la disciplina comunale sono di quattro tipi.

Il primo attiene alla prevista facoltatività della regolamentazione. L’art. 8, comma 6, statuisce che i comuni “possono” e non “debbono” adottare un regolamento per il corretto insediamento degli impianti. E, come vedremo, in assenza di una disciplina locale (prevista dalla legge 36 come non obbligatoria), non vi sono altre possibilità di governo della installazione delle infrastrutture di TLC (fatta salva, ovviamente, la possibilità d pervenire ad un accordo con i gestori).

Il secondo riguarda la possibilità o meno per gli enti locali di approvare una regolamentazione locale anche laddove manchi una legislazione regionale cui è rimesso dalla legge 36 il compito (che per taluno è necessariamente preliminare ad una legittima disciplina locale) di definire criteri localizzativi e standard urbanistici (art. 3, comma 1, lett. d, n. 1; e art. 8, comma 1, lett. a ed e). E ci sono ancora regioni i cui manca una tale legislazione.

Il terzo riguarda le incertezze circa le finalità di questa regolamentazione comunale: si deve perseguire un obiettivo soltanto di ordine urbanistico - territoriale di “corretto insediamento” degli impianti, oppure in quell’obiettivo -espressamente previsto dall’ultimo comma dell’art. 8- di “minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici” sta anche una finalità sanitaria?

Il quarto riguarda i concreti contenuti dei regolamenti comunali e, in primis, la possibilità o meno degli stessi di operare una pianificazione/zonizzazione, ossia di individuare aree idonee o non idonee alla localizzazione degli impianti.

 

3.- L’attuazione solo parziale della legge 36.

Forse il problema fondamentale è che la 36/2001 è una legge che sconta un’attuazione soltanto parziale.

E’ una legge cui sono mancati “gambe e piedi” perché i diversi decreti attuativi che dovevano essere emessi, a distanza di un decennio dall’entrata in vigore della legge attendono ancora di essere approvati.

Così, in particolare, manca l’apposito regolamento che deve contenere “misure specifiche” relative alla progettazione, costruzione, modifica e localizzazione tanto degli impianti di TLC-telecomunicazioni che degli elettrodotti, con la previsione di particolari misure di tutela dell’ambiente e del paesaggio, con ulteriori misure di tutela per la localizzazione degli elettrodotti in zone sottoposte a vincoli (art. 5, comma 1). E le conseguenza di tale omessa disciplina in termini di impatto sul paesaggio sono dinanzi agli occhi di tutti.

Inoltre ad oggi manca l’apposito DPCM che deve determinare i criteri per l’elaborazione dei piani di risanamento degli impianti radioelettrici e degli elettrodotti (art. 4, comma 4 e art. 9). E qui viene paralizzata il fondamentale obiettivo della legge 36 di risanare l’esistente non a norma sotto il profilo elettromagnetico.

E’ mancata, nei due DPCM dell’8.7.2003 che stabiliscono gli standard di inquinamento elettromagnetico ad alta e a bassa frequenza, l’individuazione delle autorità competenti all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie che superi i limiti previsti (come prevede l’art. 15, comma 3). E si capisce bene come tale omessa individuazione possa anch’essa paralizzare l’applicazione della funzione sanzionatoria, di fatto disarmando la legge 36.

E’ poi mancato l’aggiornamento scientifico che era stato previsto dalla legge.

In particolare non mi risulta che ci sia stata l’ “informazione annuale” al Parlamento da parte del Governo circa gli esiti della prescritta attività di ricerca e sperimentazione tecnico - scientifica nel settore funzionale soprattutto alla valutazione degli effetti a lungo termine dell’esposizione ai campi elettromagnetici, come non mi risulta che, a un decennio dall’approvazione della legge quadro, sia stato promosso (e tanto meno) condotto da parte del Ministero della salute il prescritto “programma pluriennale di ricerca epidemiologica e di cancerogenesi sperimentale al fine di approfondire i rischi connessi all'esposizione a campi elettromagnetici a bassa e alta frequenza" (attività previste dall'art. 4, comma 1, lett. b), della legge 36/2001).

Inoltre mi pare completamente inottemperato l'aggiornamento triennale dello stato delle conoscenze in materia di possibili rischi alla salute derivanti dai CEM (cui evidentemente adeguare eventuali nuovi parametri di esposizione), prescritto dagli artt. 7 dei due D.P.C.M. del 2003.

Ora, io non so se i 6 V/m per l’alta frequenza e i 10 ovvero i 3 microtesla (rispettivamente, come valore di attenzione e obiettivo di qualità) per la bassa frequenza siano o non siano soglie di inquinamento elettromagnetico rispettose dei proclamati principi di precauzione o di prevenzione (lo diranno i tecnici, gli scienziati, i medici)2. Come pratico del diritto però mi corre l’obbligo di evidenziare che è mancata e manca a tutt’oggi quella verifica periodica dell’adeguatezza degli standard a tali principi che era ed è voluta dal legislatore. E aggiungo che, in una tale situazione di inottemperanza legislativa, gli spazi di sindacato giudiziale di tali standard statali non aggiornati dovrebbero ampliarsi, tanto per il Giudice ordinario (che peraltro già lo fa) che per quello amministrativo.

Infine, la legge 36/2001 è una “legge quadro” che stabilisce norme di principio in materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, norme che attendono dunque di essere precisate da parte della legislazione regionale. Non tutte le Regioni italiane hanno approvata una legislazione in materia (ad es. il Veneto non ha approvato una legge organica di recepimento ed attuazione della legge 36). E questa è un’ulteriore causa di solo parziale attuazione della legge 36/2001.

 

4.- Il depotenziamento della legge quadro ad opera della legislazione successiva.

La legge quadro 36 è stata in parte superata e depotenziata dalla normativa statale successiva.

Ciò è avvenuto nel settore degli impianti radioelettrici per TLC, dapprima con l’incostituzionale decreto Gasparri (d.lgs. 198/2002) e poi con il Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. 259/2003 il quale detta una disciplina delle autorizzazioni degli impianti di TLC che è ispirata ad una logica di semplificazione spinta e con l’espressa assimilazione di questi impianti alle opere di urbanizzazione primaria.

Il depotenziamento dei principi della legge quadro è ravvisabile sotto due profili: sul piano autorizzatorio e su quello della regolamentazione/pianificazione locale.

Sul piano della procedura autorizzatoria si consideri che la legge 36 aveva attribuito alle Regioni la competenza a disciplinare le modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’installazione degli impianti, sia di telefonia sia radiotelevisivi, (art. 8, comma 1, lett. c). Eppure questa competenza, come detto, è stata oggetto di un completo riaccentramento per cui è ora la legge dello Stato (l’art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche) che detta una disciplina delle autorizzazioni degli impianti di TLC, minuziosa ed assolutamente esaustiva, senza cioè lasciare spazio alcuno di intervento al legislatore regionale.

Sul piano pianificatorio, l’equiparazione tra “impianto di telecomunicazione” ed “opera di urbanizzazione primaria” rende queste infrastrutture realizzabili -almeno in linea di principio- in qualsiasi parte del territorio comunale, e le sottrae alla tradizionale disciplina urbanistico-edilizia applicabile a tutti gli altri interventi (limiti di altezza, di volumetria, distanze, distacchi).

Il fenomeno dello svuotamento dei principi della legge 36 ad opera della legislazione successiva si è avuto anche nel campo della bassa frequenza, e in particolare nella materia dell’approvazione dei progetti degli elettrodotti.

Si consideri ad esempio i criteri stabiliti dall’art. 5, comma 3, della legge quadro cui avrebbe dovuto ispirarsi il nuovo regolamento sui procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio dei nuovi grandi elettrodotti (quelli con tensione superiore a 150 kV) -regolamento che come detto non c’è ancora malgrado dovesse essere approvato entro 120 gg. dalla data di entrata in vigore della legge 36.

Tra questi principi l’unico rispettato (anzi, rigorosamente seguito) è quello della “semplificazione dei procedimenti amministrativi” : la legislazione vigente che prevede una procedura unica accelerata che coinvolge tutti i soggetti interessati e che si conclude con un decreto di autorizzazione alla costruzione del ministero dello sviluppo economico di concerto con il ministro dell’ambiente il quale assorbe tutti gli atti di assenso necessari)3.

Ma gli ulteriori criteri stabiliti dalla legge quadro sono invece totalmente disattesi dalla successiva legislazione statale, la quale non si è affatto preoccupata di individuare e promuovere “le tipologie di infrastrutture a minor impatto ambientale, paesaggistico e sulla salute dei cittadini” (art. 5, comma 3, lett. b): ad oggi di queste misure volte a promuovere queste tipologie di elettrodotti a basso impatto, e tra queste in primo luogo le tecnologie per l’interramento (e la schermatura) delle linee elettriche, non v’è neanche l’ombra.

Inoltre si consideri che la legge 36 prescrive l’attuazione del principio della “Concertazione con le regioni e gli enti locali interessati nell’ambito dei procedimenti amministrativi di definizione dei tracciati”. Quando in realtà nella ricordata legislazione successiva alla legge quadro ed attualmente vigente è prevista una “concertazione” nella scelta dei tracciati, ma solo con le regioni (che sono chiamate ad esprimere un’intesa sul progetto (anche perché diversamente si rischierebbe che la normativa fosse dichiarata incostituzionale dalla Consulta la quale giustifica l’accentramento di competenze amministrativi in materia di legislazione concorrente, come l’energia e il governo del territorio, soltanto a patto che sia previsto un meccanismo di collaborazione forte tra Stato e Regione, appunto l’intesa). Ma invece nessuna concertazione c’è invece con gli enti locali interessati dai tracciati degli elettrodotti, i quali sono semplicemente chiamati ad esprimere un parere, che normalmente l’amministrazione decidente non tiene in gran conto: vds. la recente autorizzazione ministeriale per la costruzione e l’esercizio dell’elettrodotto a 380 kV Dolo-Camin rilasciata malgrado in conferenza di servizi conclusiva si fossero espressi in senso contrario ben sei Comuni (e solo due favorevoli) ed entrambe le Province interessati: e questa la chiamano concertazione con gli enti locali !

 

5.- L’insoddisfacente applicazione giurisprudenziale.

A fronte del ricordato quadro normativo alquanto scoordinato, il contenzioso nella materia, specie della telefonia mobile, è stato molto elevato almeno sino al 2008-2009, perché nell’ultimo biennio il numero delle controversie è diminuito drasticamente: un po’ perché i gestori hanno oramai occupato interamente il territorio con i propri impianti (la rete di telefonia è stata in gran parte realizzata) e perché i cittadini, singoli e associati, ed i Comuni hanno un po’ “gettato la spugna”, si sono rassegnati ad una giurisprudenza che in questi anni ha scoraggiato le loro azioni (o difese) giudiziali in questa materia.

La giurisprudenza amministrativa maggioritaria ha infatti censurato pesantemente le iniziative di regolamentazione locale nel settore.

E’ vero che la preoccupazione igienico - sanitaria delle comunità locali ha talvolta provocato la proliferazione di una disciplina comunali la più varia e talvolta fantasiosa, Ma è anche vero che la scure del G.A. è caduta su regolamentazioni e pianificazioni locali assolutamente ragionevoli e attentamente ponderate.

A tali risultati, il G.A. è pervenuto fissando dei paletti molto rigorosi per la regolamentazione locale partendo dalla premessa che la fissazione dei limiti di esposizione della popolazione ai CEM spetta esclusivamente allo Stato, per cui i Comuni (né le Regioni) non possono stabilire valori diversi, né direttamente, né indirettamente attraverso misure apparentemente urbanistiche, come la fissazione di distanze minime da determinati ambiti particolarmente sensibili ovvero anche come individuazione di zone idonee o inidonee. Si è fatto così in molti casi un vero e proprio “processo alle intenzioni” della disciplina comunale, pervenendo alla conclusione che la regolamentazione locale aveva una finalità non urbanistica, bensì igienico - sanitaria, come detto, di esclusiva competenza statale, e quindi preclusa ai Comuni.

Non mancano tuttavia pronunce più ragionevoli che, sulla scorta delle pronunce della Corte Costituzionale, hanno invece riconosciuto la legittimità della regolamentazione/pianificazione locale, anche in termini di zonizzazione del territorio in aree idonee o meno alla localizzazione degli impianti, tutte le volte in cui tale disciplina comunale non sia tale in concreto da impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli impianti e quindi consenta soluzione di localizzazione alternative per la realizzazione della rete di telefonia.

Poi c’è tutta la giurisprudenza sul titolo abilitativo: qui si è ormai raggiunto un punto fermo che la relaizzazione degli impianti di TLC è subordinata solo ed esclusivamente all’autorizzazione o denuncia prevista dal d.lgs. 25972003, la quale assorbe tutti i provvedimenti necessari (salvo il nulla osta paesaggistico per le aree vincolate) e dunque anche il titolo edilizio.

La discussione ora riguarda le sanzioni penali ed amministrative per gli impianti privi di autorizzaizone giacché c’è chi sostiene che non essendo prevista alcuna sanzione dal Codice delle comunicazioni elettroniche, l’impianto abusivo non potrebbe essere rimosso in nome del principio “nullum crimen sine poena”. E’ evidente che una tale soluzione, la quale avrebbe effetti di sostanziale inutilità della regolamentazione locale e della stessa autorizzazione, non tiene conto del fatto che in realtà le norme del T.U. edilizia valgono anche per gli impianti di telefonia i quali continuano a necessitare del titolo edilizi ancorché lo stesso sia formalmente assorbito nell’autorizzazione del d.lgs. 259/2003. Così la pensa la Corte Costituzionale e la Cassazione penale, ma il Consiglio di Stato non si è ancora pronunciato: e si attende a giorni la prima sentenza sul punto: e riguarda un’antenna di telefonia priva di autorizzazione realizzata in un comune del veneziano (il Comune di Stra lungo la riviera del Brenta).

 

6.- Conclusioni.

Se lo “stato dell’arte” nella materia è quello sopra descritto, le ricette per uscire dall’ impasse sono relativamente semplici, ma quel che è difficile è comprendere se vi sia la reale volontà politica per attuarle.

La cosa più urgente è dare “gambe e braccia” alla legge quadro, approvando con urgenza a livello statale i regolamenti attuativi e, nelle Regioni che ancora ne sono prive, la necessaria legislazione regionale di recepimento.

In secondo luogo sarebbe necessario intervenire con modifiche legislative mirate sulla legge 36 per chiarirne alcuni passaggi chiave, in primo luogo in ordine alle finalità e ai contenuti della regolamentazione locale: in tal senso il disegno di legge del Sen. Casson e altri va certamente nella giusta direzione.

In terzo luogo è necessario assicurare il costante approfondimento delle conoscenze scientifiche e mediche nel settore, con la conseguente informazione del Parlamento e dell’opinione pubblica, ai fini dell’eventuale aggiornamento degli standard di inquinamento elettromagnetico.

Il tutto garantendo la necessaria indipendenza agli studi scientifici e medici.

Quello dei conflitti di interesse nella ricerca medico-scientifica è un tema fondamentale sul quale aveva con forza richiamato l’attenzione il compianto prof. Tomatis e su cui oggi , proprio nel campo dell’inquinamento elettromagnetico, si rivolgono le denunce di studiosi altrettanto sensibili come Angelo Gino Levis.

Ma questo è un tema trasversale nel nostro Paese che tocca anche la giustizia amministrativa, perché avere un Giudice amministrativo indipendente dal potere politico ed economico ed imparziale rispetto agli interessi in gioco, costituisce una primaria esigenza in uno stato di diritto.

Speriamo che il nostro legislatore se ne accorga, e se se ne accorga in fretta perché, malgrado i lodevoli sforzi di una parte della magistratura amministrativa, le attuali garanzie non sono sufficienti.

 

1 Relazione al convegno dal titolo “Telefonia mobile, Wi-Fi e Wi-Max: un pericolo per la salute?”, Roma, Camera dei deputati, Palazzo Marini, 14 giugno 2011.

2 Certo, le relazioni scientifiche che sono state illustrate nella mattinata del convegno (si fa in particolare riferimento agli interventi del dott. F. Martinelli dell’istituto di Genetica molecolare del C.N.R. di Bologna, del dott. E. Burgio dell’ISDE-International Society of Doctors for Environment, del prof. D. Belpomme del Centre Hospitalier Universitaire Necker-Enfants malades e del prof. O. Johansson del Karolinska Institute di Stoccolma) qualche consistente dubbio lo sollevano.

3 Infatti la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica sono assentiti con autorizzazione unica rilasciata dal Ministero delle attività produttive (ora dello Sviluppo economico) di concerto col Ministro dell’ambiente nell’ambito di un procedimento unico (art. 1-sexies del DL 239/2003 convertito nella L. 290/2003) che comprende anche l'accertamento della conformità urbanistica delle opere, l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità, mediante convocazione di una conferenza dei servizi ai sensi della legge 241/1990 (art. 52-quater del DPR 327/2001)