Cass. Sez. III n. 7217 del 25 febbraio 2011 (Ud. 17 nov. 2010)
Pres. Ferrua Est. Fiale Ric. Pubblico Ministero in proc. La Terra
Urbanistica. Nozione di volume tecnico

Per l’identificazione della nozione di “volume tecnico”, assumono valore tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, relativo al rapporto di strumentalità necessaria del manufatto con l’utilizzo della costruzione alla quale si connette; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse (nel senso che tali costruzioni non devono potere essere ubicate all’interno della parte abitativa) e dall’altro lato ad un rapporto di necessaria proporzionalità  tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti. Ne deriva che la nozione in esame può essere applicata solo alle opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, ed invece esclusa rispetto a locali, in specie laddove di ingombro rilevante, oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi esterni.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. GIULIANA FERRUA                                                - Presidente
Dott. CLAUDIA SQUASSONI                                           - Consigliere
Dott. MARIO GENTILE                                                    - Consigliere
Dott. ALDO FIALE                                                          - Consigliere Rel.
Dott. ELISABETTA ROSI                                                 - Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


- sul ricorso proposto da:
1)PMT PRESSO TRIBUNALE DI RAGUSA
2) SCHEMBARI GIUSEPPA N. IL 06/06/1937 (parte civile)

3) LA TERRA SALVATORE N. IL 12/05/1964 * C/
- avverso la sentenza n. 668/2008 TRIBUNALE di RAGUSA, del 07/01/2010
- visti gli atti, la sentenza e il ricorso
- udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/11/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE
- Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gioacchino Izzo che ha concluso per l'accoglimento del ricorso del P.M. e di quello della parte civile limitatamente alle disposizione risarcitorie. Declaratoria di inammissibilità del ricorso dell'imputato udito - per la parte civile - l'avv.to Salvatore Schembari - il quale ha chiesto l'accoglimento del proprio ricorso.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Il Tribunale monocratico di Ragusa, con sentenza del 7.12010:
a) affermava la responsabilità penale di La Terra Salvatore in ordine ai reati di cui:

- (capo A della rubrica) all'art. 44, lett. a), D.P.R. n. 380/2001 [per avere realizzato un manufatto di circa mt. 3,50 x 6,00, con struttura portante in muratura e solaio in cemento armato - all'interno del quale è stata totalmente interrata una cisterna con diramazioni della rete di riscaldamento verso un edificio separato assentito con concessione edilizia del 10.2.2005 - senza che l'anzidetto manufatto fosse stato autorizzato con quel titolo concessorio ed essendo stato esso edificato senza il rispetto della distanza dai confini prescritta dalla normativa di piano - acc. in Comiso, in epoca prossima e successiva al maggio 2006];
- (capo C della rubrica) agli arti. 94 e 95 D.P.R. n. 380/2001 [per avere realizzato il manufatto anzidetto, in zona sismica, senza avere rispettato le norme e le prescrizioni tecniche contenute nei decreti ministeriali vigenti, senza avere denunciato l'inizio dei lavori alle competenti autorità e senza avere ottenuto la necessaria autorizzazione scritta]
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., lo condannava alla pena complessiva di euro 2.000,00 di ammenda;
b) condannava il La Terra al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Schembari Giuseppa, liquidati in euro 3.000,00;
c) assolveva l'imputato - per insussistenza del fatto - dai reati di cui agli artt. 64, 65, 71 e 72 D.P.R. n. 380/2001, contestati al capo 13 della rubrica [realizzazione del manufatto senza il progetto esecutivo e la direzione di un professionista abilitato e senza la prescritta denuncia di inizio dei lavori], sul rilievo che nessuna opera in cemento armato o in strutture metalliche era stata realizzata.


Il Tribunale qualificava nel senso anzidetto l'originaria imputazione riferita al reato urbanistico - che era stata formulata ai sensi della lett. b) dell'art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 - rilevando che, nella specie, doveva applicarsi la lettera a) della stessa norma incriminatrice, essendo stato realizzato un "locale tecnico" in violazione delle sole prescrizioni di piano che impongono una distanza minima dal confine.


Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa, l'imputato La Terra e la parte civile.


Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa ha eccepito

- limitatamente al reato urbanistico di cui al capo A) - violazione dell'art. 521 c.p.p. e vizio di motivazione, in quanto la contestazione originaria era riferita alla mancanza di permesso di costruire per l'edificazione del manufatto, mentre la sentenza impugnata ha ritenuto superflua ogni indagine circa la individuazione del titolo abilitativo necessario per quel tipo di edificazione, limitandosi a valutare esclusivamente il profilo della violazione delle distanze.


Il La Terra ha eccepito:
- l'insussistenza del reato urbanistico, in quanto non potrebbe attribuirsi alcuna rilevanza penale alla "presunta violazione delle distanze minime tra confinanti" in relazione ad un corpo tecnico realizzato all'interno della propria proprietà, configurandosi "una mera violazione di norme civili";
- la prescrizione dei reati;
- la determinazione della pena in misura eccessiva;
- la mancata concessione dei benefici della non menzione della condanna e dell'indulto;
- la incongruità della condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, per l'esistenza di una strada pubblica frapposta tra le due proprietà.


La parte civile Giuseppa Schemberi - dopo avere premesso che la costruzione del manufatto in oggetto sarebbe stata proseguita anche dopo la notifica dell'ordine di sospensione dei lavori (emessa il 19.10.2006) e dell'ingiunzione comunale di demolizione (emessa il 3.11.2006) - ha lamentato:
- la erronea derubricazione del reato urbanistico di cui al capo A) della rubrica, a fronte di quella che deve ritenersi "nuova costruzione" realizzata senza il prescritto permesso di costruire;
- la erronea assoluzione dell'imputato dai reati di cui agli artt. 64, 65, 71 e 72 D,P.R. n. 380/2001 (capo B della rubrica), poiché - contrariamente a quanto affermato dal Tribunale - il solaio del manufatto era stato costruito (anche per ammissione dell'imputato) con struttura in cemento armato con travi di acciaio;
- la esiguità della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno (euro 3,000,00 a fronte di una richiesta per 20.000,00 euro);
- la mancata emissione dell'ordinanza di demolizione delle opere abusive.
Le doglianze sopra compendiate sono state ulteriormente illustrate e più specificamente articolate dal patrono della parte civile con "motivi nuovi" contenuti in una memoria del 28.10.2010.


MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Il ricorso del P.M. è fondato e merita accoglimento.


1.1 Al La Terra è stata contestata la realizzazione abusiva di un manufatto avente superficie coperta di mq. 21, altezza di mt. 2,60 e volume complessivo di mc, 54.
Tale manufatto è stato individuato dagli accertatori come "locale tecnico", essendovi state collocate all'interno una cisterna interrata e le diramazioni della rete di riscaldamento verso un immobile residenziale autorizzato con concessione edilizia n. 9167 del 10.2.2005: titolo abilitativo che non prevedeva, però, la realizzazione di quel locale esterno.
Risulta dagli atti che l'imputato ha chiesto "accertamento di conformità", ai sensi dell'art. 37 del D.P.R. n. 380/2001, ma la Commissione edilizia comunale - evidenziato l'assoggettamento dell'opera al regime della concessione edilizia e non a quello della mera autorizzazione - ha espresso (nella seduta del 24.10.2006) parere contrario, "in quanto il manufatto non rispetta la distanza di mt. 7,50 dal confine, prevista per la zona omogenea E1" (la relazione specifica è con la confinante proprietà della signora Giuseppa Schemberi, costituitasi parte civile).
Analogo parere negativo è stato formulato dalla Commissione edilizia (e comunicato il 21.10.2009) a seguito di una seconda richiesta di accertamento di conformità sanante.
Il Tribunale ha valutato esclusivamente tale segnalato contrasto con le vigenti norme di pianificazione (del quale non vi era menzione nel capo di imputazione originario) e, a fronte di esso, ha espressamente - ed erroneamente, secondo quanto verrà illustrato di seguito - ritenuto superflua la valutazione della assorbente questione della individuazione del regime edilizio al quale debba ritenersi assoggettato il manufatto non ricompreso nel titolo abilitativo rilasciato per la costruzione residenziale.
La realizzazione di un "locale tecnico", invero, non è attività di edilizia c.d. "libera", che può essere cioè eseguita senza alcun titolo abilitativo, essendo soltanto generalmente previsto (fatti salvi i casi di diversa definizione o disciplina da parte della legislazione regionale o delle norme urbanistico-edilizie vigenti in ambito comunale) che i "volumi tecnici', da indicare pur sempre negli elaborati progettuali, siano esclusi dal calcolo della cubatura utile di un edificio, che comunque deve essere autorizzato nei modi di legge.


1.2 Secondo l'interpretazione giurisprudenziale, inoltre - vedi Cass., sez. III: 3.10.2008, n. 37575, Ronconi; 21.5.2008, n. 20267, Valguarnera; nonché C. Stato, sez. V, 31.1.2006, n. 354 - sono volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere ed a consentire la sistemazione di quelle parti degli impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione (quali: serbatoi idrici, extracorsa degli ascensori, vani di espansione dell'impianto termico, canne fumarie e di ventilazione, vano scala al di sopra della linea di gronda etc.), che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione entro il corpo dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle nonne urbanistiche.
I volumi tecnici non rientrano nel conteggio dell'indice edificatorio, in quanto non sono generatori del c.d. "carico urbanistico" e la loro realizzazione è finalizzata a migliorare la funzionalità e la salubrità delle costruzioni.
Restano esclusi, invece, dalla nozione e sono computabili nel volume i vani che assolvono funzioni complementari all'abitazione (quali quelli di sgombero, le soffitte e gli stenditoi chiusi).
Ritiene questo Collegio - condividendo un consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa [vedi, tra le decisioni più recenti; T.a.r. Campania, Salerno, sez. II, 13.7.2009, n. 3987; T.a.r. Puglia, Lecce, sez. I, 22.11.2007, n. 3963; T.a.r. Liguria, Genova, sez. I, 30.1.2007, n. 1011 - che, per l'identificazione della nozione di "volume tecnico", assumono valore tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, relativo al rapporto di strumentalità necessaria del manufatto con l'utilizzo della costruzione alla quale si connette; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse (nel senso che tali costruzioni non devono potere essere ubicate all'interno della parte abitativa) e dall'altro lato ad un rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.
Ne deriva che la nozione in esame può essere applicata solo alle opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, ed è invece esclusa rispetto a locali, in specie laddove di ingombro rilevante, oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi esterni.


1.3 Tutte le valutazioni connesse ai principi dianzi affermati non hanno costituito oggetto della sentenza impugnata e la stessa, in particolare, non ha tenuto conto che il manufatto contestato, edificato pure in violazione delle prescritte distanze dai confini, non era indicato negli elaborati progettuali approvati con la concessione edilizia del 10.2.2005.

In proposito va altresì evidenziato che, in tema di illeciti edilizi, la previsione legislativa più lieve di cui all'art. 44, lett. a), del D.P.R. n. 380/2001 introduce una ipotesi di norma penale in bianco configurante sostanzialmente una categoria residuale di condotte penalmente rilevanti: nel caso di realizzazione di opere in assenza o in totale difformità della concessione edilizia, pertanto, il reato più grave ricomprende quello riferito all'inosservanza delle regole fissate (dagli strumenti urbanistici ed in particolar modo dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, dal regolamento edilizio e dalla concessione edilizia) per l'attività costruttiva [vedi Cass., sez. III, 26.3.2001, n. 11716, Matarrese ed altri].


1.4 In accoglimento del ricorso del P.M., conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata - limitatamente al reato di cui al capo A) della rubrica - con rinvio al Tribunale di Ragusa, per nuovo esame alla stregua dei principi di diritto dianzi enunciati.

2. Il ricorso proposto dal La Terra, invece, deve essere rigettato, perché infondato.
In particolare:
- infondata è la prospettazione di una rilevanza meramente civilistica della vicenda, perché nella specie è stato accertata, in punto di fatto, la violazione del regime delle distanze tra costruzioni, fissato in concreto dallo strumento urbanistico assumendo come termine di riferimento i confini e non il distacco tra edifici.
Tali prescrizioni - che hanno comunque natura integrativa delle disposizioni dettate in materia dal codice civile - mirano non soltanto a regolare i rapporti civilistici di vicinato, ma sono anche dirette a soddisfare esigenze più generali che riguardano l'assetto urbanistico di una determinata zona del territorio comunale e disciplinano la densità degli edifici in relazione all'ambiente (si tenga conto che, nel caso in esame, le opere insistono in zona agricola E1);
- la questione riferita all'entità della pena (suscettibile, tra l'altro, di mutamenti in seguito al disposto annullamento con rinvio) costituisce censura in fatto non proponibile nel giudizio di legittimità;
- i reati, accertati l'1.5.2006, si prescrivono l'1.5.2011 e devono altresì computarsi, (secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese) plurime sospensioni del corso della prescrizione, in seguito a rinvii disposti su richiesta del difensore non per esigenze di acquisizione della prova né a causa del riconoscimento di termini a difesa;
- il beneficio della non menzione della condanna non era stato richiesto;
- la questione dell'applicazione dell'indulto può essere sollevata, in sede di legittimità, soltanto nel caso in cui il giudice di merito, esaminandola, l'abbia risolta negando che l'imputato ne abbia diritto e non, invece, quando - come nella fattispecie in esame - al giudice non sia stato sottoposto affatto il problema;
- il danno conseguente alla violazione delle norme integrative del codice civile relative alle distanze nelle costruzioni deve ritenersi in re ipsa, senza necessità di una specifica attività probatoria, e si identifica nella violazione stessa, che costituisce un asservimento "de facto" del fondo del vicino [vedi Cass. civ., sez. II: 7.3.2002, n. 3341; 5.12.2001, n. 15367].
La pretesa interposizione di una strada pubblica tra i due fondi risulta inammissibilmente prospettata solo in sede di legittimità e comporta accertamenti fattuali non demandabili a questa Corte regolatrice.


3. Il ricorso della parte civile è fondato - per tutte le argomentazioni dianzi svolte - quanto alla lamentata illegittimità della derubricazione del reato urbanistico contestato al capo A).
Tale derubricazione, infatti, ha comportato la inapplicabilità dell'ordine di demolizione delle opere abusive che il giudice penale, ai sensi dell'art. 31, comma 9, del D.P.R. n. 380/2001, deve impartire nei casi di condanna per il reato di cui all'art. 44, lett. b), dello stesso D.P.R.
Detto ordine di demolizione non si connette all'accertamento della compromissione di diritti dei privati ma costituisce una sanzione amministrativa la cui adozione si giustifica con la semplice lesione dell'interesse pubblico urbanistico; la signora Schembari però - trovandosi in rapporto diretto con l'area sulla quale è stato realizzato il contestato intervento edilizio - ha sicuramente un interesse qualificato a che vengano correttamente adottate le sanzioni di legge.


Vanno rigettate le doglianze riferite agli aspetti risarcitori, perché la parte civile non ha chiesto il risarcimento del danno in forma specifica, attraverso la riduzione in pristino (vedi le conclusioni trascritte nel verbale di udienza) e la somma attribuita a titolo di risarcimento pecuniario risulta congruamente determinata alla stregua di coerenti criteri equitativi.


Il ricorso della Schembari, infine, deve essere dichiarato inammissibile limitatamente alle eccezioni concernenti l'assoluzione dell'imputato dai reati di cui al capo B), in relazione ai quali il P.M. non ha proposto impugnazione.


Nella vicenda che ci occupa, invero, il fatto che la costruzione possa essere sorta in violazione delle formalità prescritte per le opere in cemento armato non può configurarsi quale autonoma causa di danno risarcibile a favore del confinante, in quanto non incide sul diritto perfetto di questo all'integrità del fondo di cui è proprietario, inteso come facoltà di goderne con pienezza.


Nulla viene detto sul punto nel ricorso e questo Collegio ribadisce il principio secondo il quale la parte civile - legittimata a norma dell'art. 576, 1° comma, c.p.p. a proporre impugnazione contro i capi della sentenza di proscioglimento ai soli effetti civili - deve, in sede di impugnazione, fare riferimento specifico e diretto, a pena di inammissibilità del gravame, agli effetti di carattere civile che intende conseguire.
Ne deriva che allorquando, come nel caso in esame, la richiesta della parte civile impugnante riguardi esclusivamente l'affermazione della responsabilità penale dell'imputato prosciolto, deve essere dichiarata l'inammissibilità dell'impugnazione, in quanto riferita soltanto ad un effetto penale che esula dai limiti delle facoltà riconosciute dalla legge alla detta parte processuale (vedi Cass.: Sez. II, 16.1.2004, n. 897 e Sez. I, 8.6.1999, n. 7241).


P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 608, 615, 616 e 623 c.p.p.,
annulla la sentenza impugnata - limitatamente al reato di cui al capo A) della rubrica - e rinvia al Tribunale di Ragusa per nuovo esame.


Rigetta il ricorso dell'imputato, che condanna al pagamento delle spese processuali.


Dichiara inammissibile il ricorso della parte civile limitatamente al reato di cui al capo B).


ROMA, 17.11.2010

DEPOSITATO IN CANCELLERIA 25 Feb. 2011