Ambientopoli veneta (seconda parte)

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Ambientopoli veneta (seconda parte)

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LA LEGGE VENETA: UNA LEGGE CHE AUMENTA IL CONSUMO DI SUOLO SOSTENENDO IL CONTRARIO

C’è un urgente e grande bisogno che tutti gli amministratori della cosa pubblica adottino una nuova “strategia ecologica”, che metta in relazione nel “tempo” ( fermare “subito” il consumo di nuovo suolo) e nello “spazio” (“nuova dispersione e allargamento” delle aree urbanizzate) un quadro di azioni atte ad evitare alle future generazioni gli effetti irreversibili di un’antropizzazione non sostenibile.
L’auspicato rigore di queste misure risponde anche ad un “principio di precauzione”, un “principio del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza, per l’ambiente facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici”.
Non si può prescindere nell’azione amministrativa da un dato oggettivo: il Veneto condivide con altre regioni del Nord Italia il suo situarsi, per una gran parte del suo territorio, nella Pianura Padana: una delle regioni più “cementificate” e “inquinate” d’Europa. Il ruolo ecosistemico del suolo non cementificato in regioni con tali tare ambientali assume un valore fondamentale e diventa un baluardo ecologico che la legge del Veneto ignora completamente. La definizione di “ambito di urbanizzazione consolidata” contenuta nella legge, unita alla “liceità”, sancita nella medesima legge, di procedere alla trasformazione insediativa delle “aree libere intercluse” o di “completamento” all’interno di tale ambito, o all’ espansione limitrofa (residenziale e produttiva) all’esterno di tale ambito, consentono di consumare suolo e per di più in deroga alla limitazione dei 400 ettari fissati dal provvedimento della Giunta regionale. L’Ispra ci ricorda che nel Veneto l’80% delle trasformazioni del suolo degli ultimi anni è avvenuto in aree urbanizzate. Un tale “accanimento edificatorio” in una realtà già gravemente compromessa è una violazione dell’art. 9 della nostra Costituzione, perché ignora le “evidenze scientifiche” e i “dati statistici” sulla perdita dei “servizi ecosistemici essenziali” per la vita biologica di tutti gli esseri viventi, umani, animali e vegetali, che vivono in “ambiti urbanizzati”. La saturazione insediativa delle aree “libere intercluse” o di “completamento” all’interno degli “ambiti di urbanizzazione consolidata” viene esentata dalla legge dalla contabilità del suolo consumabile (400 ettari) e la sua realizzazione nei PAT priva i cittadini del diritto ad avere un ambiente sano, sicuro, umanamente, culturalmente e socialmente fruibile. Non va dimenticato che in Veneto la perdita della capacità del terreno di immagazzinare acqua per 3,4 milioni di mc nel periodo 2012-2016 (dati Ispra) è dovuta alla impermeabilizzazione dei suoli, che non possono più raccogliere, filtrare e immagazzinare l’acqua. Si determina una correlazione tra zone iper-urbanizzate e piene più aggressive (piogge intense chiamate anche bombe d’acqua), dovute, oltre che agli effetti dei cambiamenti climatici in atto, anche alla massiccia cementificazione. In secondo luogo, il mancato assorbimento e immagazzinamento di acqua produce un ulteriore danno ambientale, ossia l’impoverimento delle falde e conseguenti problemi di siccità sempre più frequenti. Quei suoli liberi scampati al saccheggio della rendita fondiaria vanno salvaguardati e messi in condizione di fornire i servizi ecosistemici ai cittadini, “servizi ecosistemici” ancor più necessari a seguito degli effetti del surriscaldamento in atto nel pianeta. La cementificazione in Veneto accentua e peggiora gli effetti dei cambiamenti climatici in atto. Una legge rigorosa e coerente a tutela dei diritti fondamentali e inalienabili della persona dovrebbe prevedere la trasformazione degli spazi non edificati, sfuggiti alla speculazione edilizia, in parchi urbani, opportunamente fatti oggetto di piantumazioni di alberi, siepi e vegetazione varia, allo scopo di ridurre le “ondate di calore”, raffreddare l’aria contenendo l’aumento della temperatura superficiale, sequestrare la CO2, depurare l’aria dalle polveri sottili (PM 10, PM 2,5). Il 90% della popolazione mondiale respira aria inquinata e sono ben 7 milioni i decessi dovuti all’inquinamento atmosferico. In Italia le morti premature attribuibili all’inquinamento, secondo l’Agenzia Ambientale Europea, sono circa 60.000, dovute alla presenza di “biossido di azoto”(diesel), di “polveri sottili” e “ozono”, con i relativi costi collegati alla cura sanitaria di un così alto numero di vittime dell’inquinamento ( fra i 47 e i 142 miliardi, stima 2010). Le provincie di Vicenza, Treviso e Venezia producono in un anno più di 2500 tonnellate di PM10, un dato impressionante che deve far riflettere sull’urgenza di salvaguardare e aumentare gli spazi verdi urbani, di incentivare, nella pianificazione urbanistica delle città, spazi verdi naturali, seminaturali e agricoli e di procedere a sistematiche piantumazioni di alberi e siepi negli spazi liberi sopravvissuti all’assalto della rendita fondiaria. La popolazione padano-veneta paga un prezzo molto alto in termini di vite umane e di malattie provocate dall’inquinamento e che la soppressione delle superfici libere rischia di accentuare in modo drammatico. Gli spazi liberi verdi sono un tassello importante nelle politiche anti-inquinamento, proprio per garantire l’equilibrio ecologico delle zone iper-urbanizzate del territorio regionale, mentre nella legge regionale tali spazi verdi liberi vengono artificializzati e addirittura esentati dal conteggio di suolo consumato. Quello che viene sottratto ai cittadini, in una Regione in cui il consumo di suolo pro-capite è di 455 mq/ab. contro una media nazionale di 378 mq/ab., è il diritto ad un’esistenza sana e dignitosa. I cittadini dei contesti urbanizzati vengono privati della possibilità di avere un contatto con la natura, di poter disporre di parchi, verde urbano e forme di agricoltura contadina, veri e propri magazzini della biodiversità, oltre che essere luoghi per la ricreazione e la socialità delle comunità. In un’ epoca di sconvolgimenti climatici e di auspicabili impegni vincolanti delle nazioni a contenere l’aumento della temperatura del Pianeta entro un grado e mezzo è doveroso riconoscere e valorizzare, dando loro spazio vitale, il “ruolo degli alberi” che ci danno ossigeno, rimuovono il biossido di azoto, polveri sottili, CO2, attenuano le ondate di calore e assorbono le piogge intense. Tutto questo apporto gratuito di servizi ecosistemici viene precluso dalla legge della Regione Veneto che liberalizza il consumo di suolo negli ambiti urbanizzati e non lo conteggia come consumo di suolo nella quantità massima stabilita dal provvedimento della Giunta. L’aumento della temperatura indotto dal surriscaldamento del Pianeta sta producendo un fenomeno sempre più preoccupante nelle nostre città e nei nostri centri abitati urbanizzati: le ondate di calore. In Europa l’ondata di calore del 2003 ha causato oltre 7000 morti, con effetti maggiori sugli over 75 affetti da patologie croniche e residenti nei grandi centri abitati. La pianificazione urbanistica deve favorire e incentivare l’incremento del verde pubblico e privato anche ai fini del contenimento dei fenomeni estremi di calore estivo. Il maggiore assorbimento di energia dal sole dovuto alle superfici asfaltate o in calcestruzzo, ai tetti, alle pietre, contribuisce in misura significativa a produrre l’effetto noto come “isola di calore urbano”. La salvaguardia delle aree verdi in ambito urbano, il blocco di nuove superfici impermeabili urbane (fonti di accumulo di calore) e l’aumento dell’ombreggiatura attraverso l’uso di alberature sono azioni indispensabili per mitigare l’effetto “isola di calore urbano”. Non va dimenticata, inoltre, la dissonanza urbanistica e legislativa, all’interno degli “ambiti urbanizzati consolidati”, della legge veneta “consuma suolo”, rispetto alla legge statale nr. 10 del 14 gennaio 2013 per “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” che prevede all’art. 4 che “Il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico presenta un rapporto annuale sull’applicazione nei comuni italiani delle disposizioni relative agli strumenti urbanistici generali e attuativi, e in particolare ai nuovi piani regolatori generali e relativi piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate, ai nuovi regolamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate e alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti”. Così come prevede all’art. 6 che “le regioni, le provincie e i comuni promuovono l’incremento degli spazi verdi urbani, di cinture verdi per l’assorbimento delle polveri sottili e a ridurre l’effetto “isola di calore stiva” e ai fini del risparmio del suolo e della salvaguardia delle aree comunali non urbanizzate, i comuni possono prevedere particolari misure di vantaggio volte a favorire il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti, rispetto alla concessione di aree non urbanizzate ai fini di suddetti insediamenti”.
La legge veneta esenta dal conteggio del consumo di suolo consumabile (i 400 ettari) i “lavori e le opere pubbliche o di interesse pubblico”, le attività di “cava”, gli interventi programmati dai Consorzi di sviluppo (“nuove zone industriali”), l’ampliamento delle “zone produttive” in essere e gli ampliamenti residenziali del “Piano Casa”. La SUPERPEDEMONTANA VENETA è una infrastruttura che riesce a includere nella sua attuazione diverse forme di consumo di suolo (rigorosamente escluse dalla contabilità del suolo consumabile), perdita di funzioni ecosistemiche e conseguente grave e irrimediabile degrado ambientale (effetti che si realizzano per la costruzione di qualsiasi infrastruttura, non solo la Superpedemontana Veneta). In particolare, ai sensi della legge veneta, questa infrastruttura di 94,5 chilometri di percorso (più 53 chilometri di viabilità secondaria) comporta un consumo di suolo di 800 ettari, esente dal conteggio di suolo consumato. Lo scenario che si prospetta per le aree interessate dall’opera è ecologicamente sconvolgente. Le conseguenze dirette ed indirette sull’ambiente sono evidenti e si manifestano per la colpevole rinuncia a ricercare soluzioni alternative che consentissero di risparmiare consumo di suolo e mitigassero l’inquinamento atmosferico, magari destinando le risorse previste per la costruzione della SPV a migliorie della viabilità esistente, al ripristino e valorizzazione di vecchie linee ferroviarie e all’efficientamento delle linee ferroviarie esistenti. Ci troviamo di fronte ad una legge e a dei provvedimenti di Giunta che creano una deroga pesantissima per una tipologia di consumo di suolo rilevante. Infatti, secondo lo studio di ISPRA, il peso complessivo delle infrastrutture di trasporto sul consumo di suolo è notevole: pari al 47% del totale. Questa infrastruttura diventa, purtroppo, un “paradigma dello sviluppo insostenibile” portato avanti in questa Regione perché, da un lato, limita e riduce la quantità e la qualità dei servizi ecosistemici, dall’altro evidenzia l’assoluta incapacità di governare il territorio (art.117, “competenza concorrente”) attraverso una pianificazione urbanistica attenta all’ambiente (art.117 lettera s, “competenza statale”) presente e futuro. La Super Pedemontana Veneta è una infrastruttura che “esce” dal monitoraggio sul consumo di suolo, “riduce” i servizi ecosistemici e crea le premesse, unitamente alle altre deroghe previste dalla legge, per ulteriore “dispersione insediativa”:
• La strada in trincea. 8 milioni di metri cubi per la costruzione della SPV equivalgono ad una vera e propria cava: una cava di ghiaia stretta, ma lunga decine di chilometri. Il governatore del territorio veneto considera addirittura rispettosa dell’ecosistema la collocazione del manto stradale in trincea, come questo taglio trasversale, con i suoi 10/15 metri di profondità, non interferisse sui movimenti dei flussi di falda che dalle montagne scende da nord a sud, dalle quote più alte alle quote più basse, in una zona ricca di risorgive. Si ignorano gli effetti del “pompaggio prolungato delle acque di falda” e di come questo possa modificare equilibrio e direzioni dei flussi. In tema di impatto ambientale si ignorano gli effetti delle strada in trincea, sia per il “mancato drenaggio” della ghiaia asportata e la conseguente penetrazione nel terreno dei metalli pesanti ( azoto, fosforo, cadmio, petrolio, gomma, cadmio, piombo, zinco, nichel) presenti nelle acque meteoriche di dilavamento provenienti dalla pavimentazione stradale, sia per “l’abbassamento delle falde” e il loro impoverimento ai fini di una problematica ambientale emergente, come la “siccità”, sempre più frequente e legata anche ai “cambiamenti climatici”.
• Lo Sprawl e zone produttive. La “moratoria su nuove infrastrutture e nuove edificazioni” e il “censimento obbligatorio preventivo” del già edificato e del già infrastrutturato sono le misure che garantiscono “efficacia” ad una legge che vuol fermare il consumo di suolo e affermarne la coerenza con la carta costituzionale. La legge regionale del Veneto arriva al paradosso di esentare gli ampliamenti delle zone produttive dal conteggio del consumo di suolo. Nonostante ci siano in Regione 1940 capannoni dismessi gli interventi dei Consorzi di Sviluppo (nuove zone industriali) vengono esentati dal conteggio del consumo di suolo. L’incapacità di tutelare l’ambiente si manifesta negli effetti combinati della legge sul suolo (con le sue deroghe illimitate) e la costruzione della SuperPedemontanaVeneta. In nome della “funzionalità” (criterio evidentemente non soppesato quando il cosiddetto Miracolo del Nord-Est aveva il suo apice di sviluppo grazie alla creazione di zone produttive in ogni borgo di paese e sotto ogni campanile) la legge, come varata dalla Regione, consentirà una lievitazione dello “Sprawl” nell’ambiente pedemontano veneto: le zone produttive potranno sorgere lungo la grande arteria, perché più funzionali. È l’ennesima prova di un “pessimo governo del territorio” e della necessità di un “intervento dello Stato a tutela dell’ambiente”. A uno Sprawl fuori di ogni limite eco-sostenibile si aggiunge altro Sprawl: c’è un problema ambientale da affrontare.
• Infrastruttura genera nuove infrastrutture, inquinamento, traffico. Ai 94,5 km della SUPER PEDEMONTANA VENETA, vanno aggiunti altri 53 km di viabilità secondaria, di collegamento e mitigazione urbanistica dell’opera. Anche questo nuovo e ulteriore consumo di suolo è consentito ed esentato dal conteggio del suolo consumabile. Il valore e la quantità di servizi ecosistemici che la SPV sottrae alla popolazione diventa ecologicamente “insostenibile”. Le evidenze scientifiche e le emergenze climatiche impongono un intervento dello Stato che supplisca alla sconsiderata inconsapevolezza degli amministratori locali che stanno disattendendo le norme che la Costituzione ha posto a difesa del bene comune ed il suolo è, come l’aria e l’acqua, un bene comune.
• La perdita di suolo agricolo. Dal 1971 al 2010 (dati Ispra) la Superficie Agricola Utilizzata dell’Italia è diminuita di 5 milioni di ettari (28%) e larga parte di questa diminuzione riguarda i terreni fertili di pianura. La SuperPedemontanaVeneta distrugge 800 ettari di suolo agricolo, una superficie su cui possono esistere 160 aziende agricole di cinque ettari cadauna, aziende che potrebbero, oltre che non compromettere le funzioni ecosistemiche del suolo, creare buona occupazione, produrre cibo e permettere il raggiungimento della sovranità e della sicurezza alimentare. In Veneto, se si esclude la monocoltura del Prosecco con tutte le sue minacce agli ecosistemi per il massiccio uso di prodotti chimici, è stato ridimensionato il peso dell’agricoltura nel PIL regionale e sono state ridimensionate le colture a seminativo industrializzate e a scapito dell’agricoltura contadina. La cementificazione e la dispersione insediativa rendono difficile l’affermarsi di una significativa filiera agricola “multicolturale” con tutti i benefici per l’economia, per il paesaggio, per il dissesto idrogeologico, per la biodiversità e la sovranità alimentare. L’Italia, il paese della dieta mediterranea, importa (stime Coldiretti) 2,3 milioni di tonnellate di grano duro. Il nostro paese importa il 30% di grano duro e quasi il 75% di grano tenero, mancando l’obiettivo della sovranità alimentare ed esponendo la popolazione italiana ai rischi legati all’importazione di cibo dall’estero, la cui produzione e trasformazione, spesso, non risponde a criteri della sicurezza alimentare. La SPV nell’alta provincia trevigiana e vicentina fa scempio di terreni fertili di pianura e bassa collina, terreni, che se coltivati senza la monopolizzazione del Prosecco, possono garantire paesaggio, agro- biodiversità, sovranità e sicurezza alimentare, controllo del dissesto idrogeologico e contrasto ai cambiamenti climatici.
Mettendo in fila le varie deroghe previste dalla legge ne esce un quadro sconvolgente: è di fatto una legge che favorisce il consumo di suolo (stiamo parlando di una Regione con una percentuale di suolo consumato del 14,2% al lordo di un 30,76 % di zone montuose).
Deroghe, deroghe, deroghe, questa la struttura portante di una legge che dovrebbe prevedere le deroghe con il contagocce. Si comincia con le “deroghe artificiosamente burocratiche e formali” che riguardano i procedimenti e i piani edificatori in corso, si passa poi ad un nutrito elenco di “deroghe urbanistiche” (ambito di urbanizzazione consolidato, piano cave, Piano Casa, infrastrutture e opere pubbliche o di interesse generale, zone produttive). Ma la deroga più sfacciatamente ambigua e fuorviante è quella che consente di consumare suolo negli “ambiti di urbanizzazione consolidata”. Gli spazi liberi “interclusi” delle zone industriali, gli spazi verdi liberi interclusi delle città, dei paesi, delle frazioni, se dentro questo “ambito di urbanizzazione consolidata”, sono edificabili e non rientrano nei 400 ettari all’anno come quantità massima di suolo consumabile. La truffa urbanistica sta nell’ignorare la diffusa dispersione insediativa (Sprawl) e la potenziale qualifica di spazio libero intercluso attribuibile a quasi tutto il suolo non cementificato presente tra un agglomerato urbanistico e l’altro. Gli stessi comuni nell’identificare gli ambiti di urbanizzazione consolidata dei loro comuni manifestavano disagio e imbarazzo, perché, di fatto, “i comuni del Veneto, per la loro sventurata storia urbanistica, hanno quasi tutti un ambito di urbanizzazione consolidata che coincide quasi per intero con l’intera superficie comunale”. Il richiamo all’anti costituzionalità della legge, nella sua violazione degli art. 9, 41 e 42 e dell’art. 117 lett. s: “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali, sta in un disegno complessivo di lassismo amministrativo, che non pone limiti all’ulteriore degrado ambientale e all’aumento complessivo dell’entropia, incurante dello stato di fatto del territorio.


GIURISPRUDENZA E AMBIENTE

Riporto questa sentenza del TAR Campania, recentissima e rivoluzionaria, quando afferma: “attesa l’ormai pacifica compenetrazione delle problematiche ambientali in quelle urbanistiche”. (TAR Campania (NA) Sez. VII n. 2965 del 3 maggio 2018: Danno ambientale. Legittimazione associazioni ambientaliste e disciplina urbanistica).
“Gli atti che costituiscono esercizio di pianificazione urbanistica, la localizzazione di opere pubbliche, gli atti autorizzatori di interventi edilizi, nella misura in cui possono comportare danno per l’ambiente ben possono essere oggetto di impugnazione da parte delle associazioni ambientaliste, in quanto atti latamente rientranti nella materia “ambiente”, in relazione alla quale si definisce (e perimetra) la legittimazione delle predette associazioni, attesa l’ormai pacifica compenetrazione delle problematiche ambientali in quelle urbanistiche”.
La “materia urbanistica” avendo effetti di “natura permanente” sul territorio merita una legislazione chiara e uniforme in tutto il territorio nazionale e, pur soffrendo la mancanza di una legge nazionale a tutela del suolo, è evidente, nella legge della Regione Veneto, l’incongruenza tra lo scopo dichiarato e gli effetti reali che produce sullo stato dell’ambiente. Una legge “astratta” che non tiene in considerazione le modifiche pesanti e diffuse subite nel tempo dal territorio a seguito di un consumo di suolo considerato l’unico motore dello sviluppo della Regione. La “rimozione” del rapporto tra “consumo di suolo” e “stato dell’ambiente”(su cui si fonda l’ipotesi di “illegittimità costituzionale”: art.9, art.41, art.42, art.117 lett.s) la ritroviamo nella legge regionale del Veneto nr. 13 del 16.3.2018 che regolamenta le “attività di cava”, recentemente impugnata dal governo. Tale legge, analogamente al permissivismo urbanistico della legge sul suolo, viene attualmente impugnata dal governo perché:
• sottrae la gestione dei materiali di scavo alla competenza esclusiva statale;
• viola le norme legislative statali in materia di Valutazione di Impatto Ambientale;
• proroga le autorizzazioni all’escavazione senza verificare in sede di rinnovo lo stato di fatto delle modifiche subite nel tempo dal territorio e dall’ambiente;
• non da attuazione alle misure previste dalla direttiva 92/43/CEE "Habitat" relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, ai fini della salvaguardia della biodiversità.

Anche nella legge regionale nr. 45 del 29.12.2017, nelle parti che norma il “nomadismo venatorio” recidendo il legame cacciatore-territorio, ritroviamo una violazione delle “competenze esclusive” statali in materia di “tutela ambientale”. Nella legge sul suolo della Regione Veneto è il legame tra “l’uomo e la terra” che viene reciso, violando gli articoli della Costituzione e fa opportunamente giurisprudenza la sentenza del TAR Emilia Romagna del 10.1.2018 in cui si afferma il “potere di controllo” del Ministero perché il “paesaggio”, quale bene potenzialmente pregiudicato dalla realizzazione di opere di rilevante impatto ambientale, si manifesta in una proiezione spaziale più ampia di quella riveniente dalla singola opera. L’evoluzione giurisprudenziale considera il paesaggio un bene giuridico da tutelare. E il suolo? Elemento indispensabile per la vita di tutti gli esseri viventi sulla terra, non merita altrettanta tutela?
Analogamente, fanno giurisprudenza le disposizioni per il “fermo-pesca” o il “divieto di caccia” imposti per impedire l’estinzione di specie in pericolo o la stessa sentenza del TAR della Sardegna che dichiara illegittimi i calendari venatori della Regione in assenza di preventivi censimenti faunistici. Infatti l’illegittimità della legge regionale veneta sul suolo e il suo venire meno al compito di “tutela dell’ambiente” si sostanziano nella mancanza di un blocco per alcuni anni dal procedere a nuovo consumo di suolo senza aver effettuato preventivamente un censimento obbligatorio preventivo delle edificazioni inutilizzate e delle infrastrutture esistenti. A seguito di un massiccio processo di impermeabilizzazione e cementificazione che la legge veneta non solo non arresta, ma incentiva con deroghe e concessioni per nuovo consumo di suolo e date certe condizioni di diffuso degrado ambientale, “certificate” dall’ISPRA, dall’Istat, da studi e rapporti di centri studi e di ricerca, è legittimo inquadrare l’arresto del consumo di suolo in Veneto come una “emergenza ambientale” non più confinabile nell’ambito del “governo del territorio”: in Veneto il consumo di suolo è un problema di “tutela dell’ambiente”.
Sono cinque i filoni giurisprudenziali che permettono a cittadini, comitati, politici e amministratori di contestare e impugnare una legge sul suolo così permissiva:
1. Il principio di precauzione. Ce lo ricorda una sentenza del TAR Piemonte del 22.1.2018: “il principio di precauzione fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente. La Valutazione di tali rischi deve essere seria e prudenziale, condotta alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili”.
2. Impugnazione di provvedimenti lesivi del bene comune. Ce lo ricorda una sentenza del TAR Lombardia del 22.12.2017 che “riconosce ad un comitato spontaneo di cittadini la legittimazione ad impugnare provvedimenti ritenuti lesivi di interessi collettivi”.
3. L’articolo della Costituzione117 terzo comma: “nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
4. La Direttiva 2008/99/CE: impone agli Stati membri uno standard minimo di tutela penale, limitato alle violazioni ambientali concretamente lesive del bene ambiente. Le condotte devono essere punite qualora: “provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora” (art.3)
5. La legge 68/2015 (in vigore dal 29.5.2015): introduce nel codice penale un autonomo titolo (Titolo VI-bis) riguardante i delitti contro l’ambiente. L’art. 452-bis c.p. prevede l’incriminazione di condotte (“abusive”) che abbiano cagionato una “compromissione” o un “deterioramento significativo e misurabile” di: 1) Acqua, aria o di porzioni estese e significative del suolo o del sottosuolo; 2) Di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora e della fauna.

L’impostazione tecnico-normativa della legge sul suolo della Regione Veneto paradossalmente legalizza una sorta di “abusivismo edilizio istituzionale”: tutte le determinazioni scientifiche, i dati statistici, le denunce dei comitati di cittadini, gli indirizzi legislativi e giurisprudenziali sono come fantasmi che aleggiano solo nella premessa alla legge, mentre il rigore del corpo normativo affoga in un ingiustificato lassismo amministrativo.
La mancanza di una legge statale sul consumo di suolo non può giustificare una legge basata su un “sistema strutturale e sistematico” di “deroghe urbanistiche”. La stessa sentenza della Corte Costituzionale nr. 189 del 20 luglio 2016 ci ricorda che “ le norme di tutela paesaggistica prevalgono sulle disposizioni regionali urbanistiche, visto che gli interventi edilizi ivi previsti non possono essere realizzati in deroga ne’ al piano paesaggistico regionale, ne’ alla legislazione statale”, e, aggiungo io, agli articoli 9, 41 e 42 della nostra Costituzione.
In una Regione con indici di “intensiva urbanizzazione” e di altissima “dispersione insediativa” (abitativa e produttiva), ricoperta da numerose e ridondanti “infrastrutturazioni stradali” e soggetta alla perdita ecologica, sociale ed economica di “servizi ecosistemici” e di “paesaggio” la coerenza della legge con la nostra Costituzione può realizzarsi solo se prevede un “censimento preventivo obbligatorio” dei manufatti civili, industriali e infrastrutturali, per un loro “riutilizzo e valorizzazione”, a salvaguardia del suolo fertile sopravvissuto ai profondi e diffusi processi di impermeabilizzazione che hanno caratterizzato lo sviluppo economico del Nord Est del paese. Che lo Stato debba tutelare l’ambiente in una zona del paese in cui il governo del territorio è stato condizionato da una licenza illimitata alla distruzione di suolo, di biodiversità, di paesaggio è una necessità a cui ci richiama il dettato costituzionale. Al di là del dato comparativo sul consumo di suolo della Regione Veneto rispetto alla media nazionale ed europea, entrando nel merito dei provvedimenti ossimoro della Regione Veneto, c’è da chiedersi: quanti ettari di suolo fertile verranno consumati da qui al 2050 se venissero considerate le tipologie di consumo di suolo oggetto di deroghe? O se venisse considerato il consumo di suolo dei progetti edificatori non ancora deliberati? La sproporzione fra lo stato dell’ambiente e i provvedimenti emanati per fermare il prolungato processo di cementificazione , che sottrae alla collettività una risorsa non rinnovabile, ci fa capire l’urgenza con cui cercare di sanare, fin che si è in tempo, una situazione di grave e definitiva compromissione dell’ambiente.









PENSARE GLOBALMENTE, AGIRE LOCALMENTE

Vorrei ricordare la sentenza del 1967 della Corte Costituzionale tedesca: “Il commercio di terreni rurali non deve essere libero come il commercio di qualsiasi altro capitale, perché la terra è irrimediabile e indispensabile. Un equo “ordine giuridico” dovrebbe considerare l’interesse pubblico del terreno, molto più che nel caso di qualsiasi altra proprietà”. La crescita tumultuosa e disordinata di lottizzazioni civili, industriali e infrastrutturali ha determinato in Veneto uno squilibrio ecologico rilevante. Gli stessi procedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale hanno mostrato i loro limiti, concentrati sul singolo progetto consumatore di suolo, tant’è che una Delibera del Cipe del 2002 richiedeva che i criteri di sostenibilità fossero verificati a monte da una Valutazione Ambientale Strategica. Già nel 2003 la Relazione della Commissione al Parlamento Europeo sull’applicazione, sull’efficacia e sul funzionamento della direttiva della VIA negli Stati membri riscontrava problemi sul livello di soglie di ammissione alla VIA, sul “controllo di qualità” del procedimento di VIA, sul frazionamento dei progetti e la valutazione degli effetti cumulativi sull’ambiente. La nuova direttiva 2014/52/UE fa un ulteriore passo avanti e la legge veneta sul suolo mostra, in modo palese, tutto il suo disallineamento. La nuova direttiva invita gli stati membri ad aggiornare e ampliare gli asset ambientali da sottoporre a Verifica di Impatto Ambientale:
1. considerare le nuove questioni ambientali quali: efficienza e sostenibilità delle risorse, tutela della biodiversità, vulnerabilità ai cambiamenti climatici, contaminazione delle acque, calamità e loro effetti sulla popolazione e salute umana
2. considerare la sottrazione di suolo, compresa la componente organica, l’erosione, la compattazione e l’impermeabilizzazione;
3. considerare la percezione del paesaggio per meglio preservare il patrimonio storico e culturale e tener conto dell’impatto visivo dei progetti, ossia del cambiamento di aspetto o di visuale del paesaggio edificato.
Il Veneto, come abbiamo visto nei diversi capitoli che precedono, è completamente fuori norma rispetto alle indicazioni della nuova direttiva sulla VIA perché ha seguito una esasperata rotta edificatoria e produttiva su cui ha basato interamente il suo modello di sviluppo ed ha finito per creare un territorio iper-urbanizzato, le cui conseguenze sull’ecosistema e sulla salute della popolazione sono preoccupanti.
La popolazione veneta vive in una delle regioni più cementificate e inquinate d’Europa e la necessaria terapia amministrativa e politica esige un rigore che la legge non contiene minimamente.
Il Veneto è diventato, per effetto degli attacchi molteplici e diffusi all’ambiente, come una gigantesca infrastruttura regionale che avrebbe bisogno di una Valutazione Ambientale Strategica di livello regionale che valutasse gli effetti cumulativi del consumo di suolo sulla perdita di servizi ecosistemici (acqua, aria, cibo, biodiversità, paesaggio, ecc.). Nell’attuale situazione urbanistica e ambientale della Regione e con una legge estremamente permissiva sul consumo di suolo è reale il rischio di essere soggetti a procedimenti di infrazione o reprimende politiche sulle emergenze ambientali e climatiche che, ragionevolmente e politicamente, sono state assunte e si stanno assumendo a livello europeo e mondiale:
 Attuazione dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (Cop21): il verde agricolo, seminaturale e naturale e il verde urbano negli “ambiti di urbanizzazione consolidata”, sono il primo baluardo nella lotta all’inquinamento da polveri sottili, ozono, biossido di azoto e che provocano migliaia di decessi e malattie in Italia e in particolare nelle zone del Nord Italia, più inquinate e cementificate.
 Alla conferenza internazionale “Governance Ambientale e città sostenibili” svoltasi a Roma il 20-21 aprile 2018 la DICHIARAZIONE DI ROMA manifesta una forte preoccupazione per le sorti del nostro Pianeta in relazione alla crisi globale del clima, della biodiversità, dell’acqua, del suolo e richiede una urgente e vera riposta dell’intera Comunità internazionale in termini di “norme giuridiche cogenti”, in grado di obbligare l’economia a rispettare la natura e ribadisce che deve mutare il ruolo degli Enti locali rispetto al territorio, dando spazio alle persone ed alla società civile in tutti i momenti di creazione ed attuazione dei nuovi strumenti giuridici di pianificazione, programmazione e controllo.
 Dare attuazione ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 sottoscritti dalle Nazioni Unite nel 2015, tra cui quello di assicurare l’accesso universale all’acqua (salvaguardandone il ciclo di formazione naturale), al cibo (con un’agricoltura sostenibile), a spazi vitali inclusivi nelle città (spazi verdi di socialità, di bellezza, di agricoltura urbana).
 Svolgere le 15 azioni previste dal “Piano d’azione per la natura, i cittadini e l’economia della UE”. Il completamento di Rete Natura 2000 e il mantenimento, nella loro integrità “ecologica”, delle Zone di Protezione Speciale e dei Siti di Interesse Comunitario continuamente messi in discussione e scalfiti dalle propaggini infrastrutturali, produttive e residenziali (ultimo atto in ordine di tempo è lo spostamento, a seguito dei lavori per la SuperPedemontana Veneta, dell’alveo del torrente Poscola, ricompreso in un’area facente parte di Rete Natura 2000). La Direttiva 92/43/CE “Habitat” comprende, in alcuni habitat di interesse comunitario, molte tipologie di “prato stabile e tutela” e varie specie vegetali ed animali in esse presenti. I “prati stabili” stanno scomparendo per l’invasione della monocoltura del Proseccco e della iper-urbanizzazione. La Regione Friuli Venezia Giulia, in applicazione della Direttiva “Habitat” ha promulgato una legge a tutela dei “prati stabili”.
 Dare attuazione alle direttive comunitarie in coerenza con il Piano Strategico per la Biodiversità, come la Direttiva 2009/147/CE “Uccelli”per la preservazione, il mantenimento o il ripristino di una varietà e di una superficie sufficienti di habitat, per “contenere le ripercussioni delle attività umane”, per la gestione delle risorse naturali in quanto parte integrante del patrimonio dei popoli europei.
 La legge nr. 194 del 1 dicembre 2015, in conformità alla convenzione sulla biodiversità, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992, stabilisce i principi per l’istituzione di un sistema nazionale di tutela e valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare, finalizzato alla protezione delle risorse genetiche di interesse alimentare ed agrario locali dal rischio di estinzione e di erosione genetica.
In Veneto lo scostamento rispetto alle indicazioni della Comunità Internazionale per la preservazione di un ambiente a misura di tutti gli esseri viventi assume una connotazione assai più pericolosa. Infatti, la diminuzione della Superficie Agricola Utilizzata e la dispersione insediativa, unite all’espansione imperialistica della Monocoltura Intensiva di Prosecco, stanno producendo un grave problema sanitario, in termini di decessi e gravi patologie per i 12 kg di sostanze chimiche per ettaro che vengono irrorate contro una media nazionale di 5 kg per ettaro (dati ISTAT).
La contrazione delle superfici agricole favorisce lo sfruttamento intensivo del residuo suolo coltivabile. Il calo della S.A.U. determina la necessità di avere un’alta resa per ettaro e la conseguente diffusione di pratiche agricole che prevedono un largo impiego di prodotti chimici di sintesi, con conseguenze mortali sulla popolazione e tutti gli esseri viventi, vegetali e animali. La “rotazione delle colture” e la diffusione di un modello di agricoltura biologica possono realizzarsi solo se si riesce a fermare nuovo consumo di suolo. Il Veneto, con una percentuale di aree montuose pari al 30,76% della sua superficie, non solo deve legiferare per arrestare il consumo di suolo, ma deve operare per preservare ed aumentare le aree coltivabili secondo i principi della agro-biodiversità e della rotazione delle colture. Il Veneto fa parte di un paese che è in grado di produrre solo l’80-85% del proprio fabbisogno alimentare primario (era il 92% nel 1991): senza importazione di cibo 20 italiani su 100 restano a digiuno. La S.A.U. del nostro paese si è ridotta da 18 milioni di ettari nel 1991 ai 12,7 milioni di ettari attuali. È di questi giorni la notizia che una nota azienda italiana produttrice di pasta non ha rinnovato il contratto con il Canada per l’importazione di grano per via del glisofato utilizzato in pre-raccolta. Attualmente l’Italia ha 1 milione e 350.000 ettari di coltivazioni di grano duro che dovrebbero aumentare di altri 220.000 ettari per garantire la sostituzione del grano canadese. Il Veneto come potrebbe fare la sua parte se prevede di consumare suolo per ulteriori 21323 ettari ed escludendo, con deroghe ed eccezioni, un elenco interminabile di tipologie di consumo di suolo? Una legge che si proponga di fermare il consumo di suolo non può prescindere dall’obiettivo di perseguire localmente e globalmente la “sovranità alimentare”, tanto più che nel fatidico 2050 la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi ed è necessario incrementare la produzione agricola, in Italia e nel mondo, del 30%

IL NUOVO EQUIVALENTE GENERALE DEL PENSIERO POLITICO-AMMINISTRATIVO: LA FUNZIONALITÀ. IN FUNZIONE DELLA VITA O DEL PROFITTO?

I fautori e i responsabili di questo progresso, che Andrea Zanzotto ha definito “scorsoio” per gli effetti che produce sull’ambiente, sulla salute, sulla natura, sul paesaggio e non ultimo sul debito pubblico, difendono l’impianto di una legge che mantiene la possibilità, con la clausola prevista dall’art. 4 comma 6 (verifica quinquennale ad opera della Giunta per rivedere la quantità massima di suolo consumabile di 400 ettari l’anno) di consumare suolo fino a raggiungere la totale edificabilità degli iniziali 33.547 ettari richiesta dai Comuni, sebbene sovrastimata ai sensi della Legge Regionale nr. 11 del 23 aprile 2004, art.13, comma 1 lettera f che fissa il limite quantitativo massimo della zona agricola trasformabile in zone con destinazione diversa da quella agricola, avendo riguardo al rapporto tra la superficie agricola utilizzata (SAU) la superficie territoriale comunale (STC) (che in sede di “verifica decennale” tale rapporto può essere modificato ad opera della Giunta).
Come abbiamo visto lo spirito “deregolatore” della legge si manifesta sul piano amministrativo attraverso cifre ragguardevoli sulla quantità di suolo consumabile da qui al 2050, nonostante un sistema totalizzante di deroghe
E si manifesta anche e soprattutto su un piano culturale, economicistico, iper-produttivo, attraverso la rimozione più o meno inconscia del dato relativo al già edificato, al già infrastrutturato, come il suolo fosse una risorsa illimitata.
Per queste ragioni va impugnata una legge che non impone una moratoria al procedere a nuove edificazioni e non prevede un censimento obbligatorio preventivo degli edifici inutilizzati. Una statistica sociologica evidenzierebbe come la mancata crescita demografica e l’invecchiamento di una larga fetta della popolazione rendono disponibili, anche nel breve e medio periodo, una quantità rilevante di cubature edilizie da riutilizzare, oltre a quelle già oggi ampiamente disponibili per un processo di riqualificazione, recupero e rigenerazione.
La legge non riconosce la situazione di partenza del consumo di suolo in Veneto, ossia: in quale contesto ambientale e geografico approda il suo intento legislativo. Questa legge finge che il Veneto sia stata amministrata come i “dipartimenti” francesi o i “lander” tedeschi, dove vastissime superfici agricole, naturali e semi-naturali sono state preservate dalla cementificazione grazie ad una lungimirante pianificazione “anti-sprawl”. Ma il Veneto non ha il 4,5% di suolo già cementificato, ha bensì il 14,2% di suolo consumato, al lordo delle aree montuose che occupano il 30,76% della superficie regionale. Per queste ragioni alla legge mancano due passaggi preliminari: una “moratoria” su nuove edificazioni e infrastrutturazioni e un “censimento” delle infrastrutture esistenti e delle cubature e delle superfici già edificate. Assumono i caratteri di un vero e proprio “crimine ambientale” le assegnazioni di ulteriore consumo di suolo da qui al 2050 a comuni iper-urbanizzati:
o Padova 49,2% di suolo consumato assegnati 353,40 ettari;
o Treviso 39,7% di suolo consumato assegnati 50,18 ettari;
o Venezia 45,1% di suolo consumato assegnati 284,88 ettari;
o Casier 35,7% di suolo consumato assegnati 13,85 ettari.
Il censimento deve ricomprendere, necessariamente, oltre all’edificato “residenziale e produttivo”, il capitolo “opere pubbliche o di interesse pubblico” alla luce delle recenti emergenze climatiche e ambientali. Anche su questo versante l’avidita’ di pochi (in violazione degli art. 41 e 42 della Costituzione) ha favorito la rimozione grossolana, più o meno inconsapevole, della possibilità di riqualificare, valorizzare, implementare, migliorare le infrastrutture esistenti (stradali e ferroviarie), salvaguardando il suolo, la qualità dell’aria, l’accumulo in falda della risorsa acqua, la biodiversità, il paesaggio con i suoi risvolti culturali e sociali per le popolazioni. La legge, in modo spregiudicato, determina la quantità di suolo consumabile da qui al 2050 in 400 ettari all’anno ( che con la verifica prevista dall’art. 4 comma 6 della legge possono arrivare a 665 ettari l’anno allo scopo di assorbire tutti i 33.547 ettari programmati dai Comuni), per di più esentando le opere pubbliche o di interesse pubblico dalla contabilità del suolo consumato. Solo la seria ricerca e individuazione di soluzioni alternative al “consumo di nuovo suolo” può conferire una “legittimità costituzionale” ad una legge “ossimoro”, in profonda e totale contraddizione con le premesse. In una Regione caratterizzata da un’altissima densità infrastrutturale, stradale e autostradale, l’assenza di una moratoria e di un impegno vincolante in direzione di un utilizzo e riutilizzo delle infrastrutture esistenti e la scarsissima rilevanza data alle infrastrutture ferroviarie fanno della legge un pessimo esempio di legislazione ambientale. Il cavallo di Troia dell’ultima ora che maschera il torbido giro d’affari legato alle grandi opere si chiama “funzionalità”. Anche qui opera il meccanismo della “rimozione”, ma conscia e colpevole. Se fino a ieri lo “sterminio dei campi” operato dal Miracolo del Nord Est veniva contrabbandato come declinazione di sviluppo e benessere, ora, dopo gli effetti della globalizzazione e della crisi economica, la nuova parola d’ordine, la nuova giustificazione filosofico-economicistica per distruggere ancora pezzi residui importanti della campagna veneta ruota attorno alla parola “funzionalità”. Tutto questo slancio “iper-modernizzante” dell’assetto produttivo veneto lascia sul campo “capannoni in disuso”, “infrastrutture stradali sottoutilizzate” e, avvalorato dalla legge regionale e da urbanisti senza scrupoli, nuovo e ulteriore consumo di suolo legato a nuove infrastrutture stradali e relativo “sprawl urbanistico” (strade di collegamento alle nuove infrastrutture), “sprawl produttivo” ( nuovi capannoni e nuova logistica lungo le nuove infrastrutture), “sprawl residenziale” (espansione e completamento degli ambiti di urbanizzazione consolidata in prossimità delle nuove infrastrutture) e “sprawl commerciale” ( nuovi centri commerciali e nuovi parcheggi in prossimità delle nuove infrastrutture), tutte fattispecie comprese nelle deroghe della legge regionale. Tutto questo scempio legalizzato di suolo il Veneto non può più permetterselo: la funzionalità iper-produttiva non può compromettere la funzionalità ecologica. C’è un limite all’antropizzazione disordinata e il Veneto tale limite lo ha già superato: una legge deve prenderne atto e prevedere misure rigorose ed efficaci per fermare il consumo di suolo.

CONCLUSIONE

Il suolo è il “convitato di pietra” della politica urbanistica regionale. Se chiediamo a un sindaco o a un cittadino qualsiasi cos’e il suolo, la risposta sarà identica: una superficie su cui costruire qualcosa, che poi altro non è che il “mantra antropocentrico” di generazioni di politici, imprenditori, privati. Ma se fino ai primi anni novanta poteva essere tollerata una certa mancanza di conoscenze sulle condizioni degli elementi fisici, chimici e biologici costitutivi dell’eco-sistema e della loro interazione con i fenomeni antropici, oggi non è più ammissibile da parte della classe politica perpetuare scelte irresponsabili e lassiste su una materia fondamentale per la stessa sopravvivenza di condizioni minime di vita e di vivibilità di tutti gli esseri viventi, umani, animali e vegetali. La legge regionale nr. 14 del 6 giugno 2017 ha l’ardire ipocrita di elencare nelle premesse la serie di conoscenze acquisite e condivise sul valore ecologico assoluto e vitale del suolo, peccato che tali conoscenze non vengano interiorizzate nella coscienza civile del legislatore e non si traducano “normativamente” nella consapevolezza che, al punto a cui siamo giunti, solo il rigore e lo spirito di sacrificio, collettivo e individuale, possono connotare una efficace legge per fermare il consumo di suolo. Come dice il Prof. Pileri “ il valore del suolo deve essere conosciuto, dobbiamo averne coscienza ed esserne consapevoli” come cittadini, ma soprattutto come politici. Il criterio del rigore politico, amministrativo e legislativo è stato talvolta applicato (e condiviso dai cittadini) anche nella nostra storia politica recente dinnanzi a fenomeni che possono, se non adeguatamente contrastati, avere conseguenze negative sulla collettività: il divieto di fumare nei luoghi pubblici, il contenimento del debito pubblico, il contrasto ai cambiamenti climatici, lo stop a nuove centrali nucleari, ecc. E la politica deve scegliere di tutelare il bene comune, deve educare la collettività al rispetto delle “compatibilità ambientali”, imporre decisioni in nome di un futuro decente per le future generazioni e in Veneto, per i dati e la situazione che abbiamo descritto nei capitoli precedenti, l’arresto del consumo di suolo è ormai una necessità imprescindibile. La legge regionale nr.14 del 6 giugno 2017 non solo non arresta il consumo di suolo, ma lo incentiva, ignorando completamente lo stato di fatto odierno del territorio e del paesaggio veneto. Il “passe-partout” sono le deroghe, le esenzioni formali e burocratiche, gli artifizi semantici, le eccezioni, tutti elementi che perseguono l’assioma: “consumo di suolo=sviluppo. Non si spiega diversamente come a un comune come Padova, che ha una percentuale di suolo consumato del 49,2%, venga concessa dalla legge la libertà di consumare da qui al 2050 ben 353,40 ettari, un quantitativo che non ricomprende: il consumo di suolo per “infrastrutture”, edificazioni negli “ambiti urbanizzati consolidati”, “ampliamenti” di “zone industriali”, “nuove zone industriali”, progetti urbanistici solo “intenzionati” (ma senza delibera o permesso di costruire alla data di entrata in vigore della legge).
In Veneto è in corso, da almeno due decenni, una devastazione lenta e silenziosa dell’ambiente che Andrea Zanzotto per primo aveva denunciato. lo Stato deve intervenire (art.117 lettera s, art. 9, 41, 42 della Costituzione) per fermare “ l’ambientopoli veneta”.
La realizzazione della Super Pedemontana Veneta è emblematica della sinergia, diabolicamente distruttiva dell’ambiente, che inaugura la legge veneta sul contenimento del consumo di suolo. All’esenzione delle infrastrutture dalla contabilità del suolo consumato si salda un’altra deroga, quella per i “ sistemi produttivi locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo industriale”. Il risultato è grave e drammatico per l’ambiente: lungo l’arteria possono sorgere così “nuove zone produttive” il cui insediamento non viene conteggiato come consumo di suolo. Una zona industriale di 120.000 metri quadrati risulta già autorizzata in prossimità del casello di Povegliano, in barba ai quasi 2000 capannoni dismessi nel Veneto, ai servizi ecosistemici compromessi, ai costi diretti e indiretti generati dal consumo di suolo, alla perdita di paesaggio, al dissesto idrogeologico e al mancato accumulo di acqua nelle falde, alla salvaguardia del verde nel contrasto all’inquinamento atmosferico, alle tratte stradali e ferroviarie che possono essere valorizzate e/o ripristinate, alla lacerazione sociale di intere comunità il cui territorio viene smembrato, diviso, frammentato da strade, caselli, rotonde. Come possono esserci ancora dubbi sulla “illegittimità Costituzionale” di una legge che opera uno “sterminio dei campi” senza precedenti, non riscontrabile in altre regioni d’Europa e a dispetto delle evidenze scientifiche, dei dati statistici e delle nuove e impellenti emergenze ambientali e climatiche.
Se anche fosse stata promulgata una legge rigorosa che bloccasse nell’immediato e seriamente nuovo consumo di suolo, ci troveremmo comunque a fare i conti con le conseguenze di un’ “ambientopoli veneta”: uno sviluppo insediativo residenziale, produttivo e infrastrutturale disperso e quantitativamente molto rilevante da riutilizzare. In Italia nel triennio 2012-2016 le morti hanno superato le nascite. Ci sono 7 milioni di abitazioni non utilizzate (ISTAT) e centinaia di migliaia di abitazioni occupate da anziani, spesso soli, che incrementeranno ulteriormente il dato dell’edificato da riutilizzare, già oggi estremamente significativo. Chiedo alla magistratura, alla politica, alle associazioni, ai cittadini, al mondo imprenditoriale, come può una legge ignorare il “dato di partenza urbanistico e ambientale”? Alla devastazione da “sprawl urbano”, che si è già dispiegato in Veneto per decenni, non possiamo porre rimedio perché, purtroppo, si è già materializzato in modo sconsiderato: il danno è già stato fatto. Ma come si può sostenere una legge così smaccatamente “decontestualizzata”? La legge veneta sul suolo sembra come una pianta, assalita da un parassita: la deroga. È un parassita che si è impadronito del tessuto interno della pianta, si è propagato a dismisura, basta pensare alle deroghe della legge sulle cave (impugnata dalla Consulta) o alla deroga della deroga (le deroghe del Piano Casa esentate dal conteggio del suolo consumato): un continuum inarrestabile di esenzioni ed eccezioni che annientano le premesse della legge divenute solo propaganda demagogica.
Diventa quindi legittimo sollevare la questione di “legittimità costituzionale” in uno scenario così delineato nei diversi capitoli di questo documento. Sentenze della Corte Costituzionale, della Cassazione, dei Tribunali Amministrativi Regionali, direttive europee, comitati scientifici, studiosi, comitati di cittadini riaffermano il valore assoluto della tutela dei beni comuni e una legislazione regionale non può, in un territorio documentalmente compromesso, prescindere dal rispetto di compatibilità ambientali e costituzionali.

«I problemi non possono essere risolti dallo stesso livello di conoscenza che li ha creati.»
Albert Einstein, scienziato e Premio Nobel per la Fisica
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